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Le case famiglia: servono più risorse, per non lasciare indietro nessuno

Operatrice di una casa famiglia insieme a una persona con disabilità

L’operatrice di una casa famiglia insieme a una persona con disabilità

«Non si lascia indietro nessuno. Mai»: è questo uno dei messaggi-chiave per la Giornata Internazionale delle Persone con Disabilità di domani, 3 dicembre, e per le case famiglia di Roma e del Lazio non si tratta di uno slogan, bensì di una frase che rappresenta il lavoro di tutti i giorni di centinaia di operatori, operatrici, educatori ed educatrici sociali.
Infatti, dare una casa e non un tetto di un qualsiasi istituto a persone con disabilità, compresi bambini e bambine con disabilità in stato di abbandono, insomma essere in tal modo famiglia per chi la famiglia non ce l’ha: è questo il compito portato avanti, anche al tempo del coronavirus, sia durante la prima che la seconda ondata, perché chi si prende cura delle persone più fragili non si è mai fermato, non ha mai smesso di farlo.

Eppure, in questo momento di emergenza sanitaria, le case famiglia per persone con disabilità e minori spesso sono invisibili, scompaiono dalla lista delle priorità delle Istituzioni: ci si dimentica, cioè, di chi sta lavorando a meno di un metro di distanza, ventiquattr’ore su ventiquattro.
Ad esempio, da più fonti si apprende che le prime dosi di vaccino anti Covid saranno riservate ai medici e al personale sanitario che operano in ospedale e RSA (residenze Sanitarie Assistenziali): è urgente, invece, includere nel piano italiano per la vaccinazione dal Covid anche tutti gli operatori delle case famiglia.
È proprio questa la richiesta immediata di Casa al Plurale, Associazione che riunisce tante case famiglia di Roma e del Lazio, insieme a quella ormai “storica” di stanziare un aumento per le rette nelle stesse case famiglia: «Non ci stancheremo mai di ripetere – ribadiscono infatti dall’Associazione – che è necessario mettere in campo un impegno comune nel garantire alle persone con disabilità i fondamentali diritti umani, senza alcuna forma di discriminazione. Le case famiglia sono un costo, perché ci lavorano tante persone, perché chi ci vive ha diritto ad essere felice come tutti gli altri. “Dopo di noi, chi si prenderà cura di nostro figlio disabile?”, è la domanda di tutti i genitori con un figlio con disabilità; le risposte possibili sono diverse: la vita autonoma e indipendente, per chi è in grado ed è messo nella condizione di esserlo, la vita in famiglia per chi ce l’ha e sceglie di restarci, oppure la vita in casa famiglia. Di certo mai più istituti o grossi centri di accoglienza. Le case famiglia, infatti, sono piccoli appartamenti, nei quali vivono in media sei persone con disabilità, con un gruppo di educatori presenti mattina, pomeriggio, notte, tutti i giorni della settimana, Natale, Capodanno, Pasqua, tutti i 365 giorni dell’anno. Complessivamente, però, il Comune di Roma stanza 15 milioni di euro, mentre quello di Torino, ad esempio, 60 milioni. Attualmente a Roma ci sono 400 persone in lista di attesa. A Torino nessuno».

«Il grado di civiltà di una comunità – dichiara Luigi Vittorio Berliri, presidente di Casa al Plurale – si misura sulla sua capacità di farsi carico delle persone più a rischio di emarginazione sociale. Nel mondo animale non c’è spazio per chi resta indietro. In quello umano sì? Se sì, allora occorre la concretezza dei gesti e delle risposte».
Solo un dato, per sostanziare con chiarezza ancora maggiore l’appello lanciato da Casa al Plurale: dai dati ISTAT emerge che nella Regione Lazio risultano 280.000 persone con disabilità sopra i sei anni di età, pari a circa il 5.2% della popolazione. (C.C. e S.B.)

Per ulteriori informazioni e approfondimenti: Ufficio Stampa Associazione Casa al Plurale (Carmela Cioffi), carmelacioffi@gmail.com.

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