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Un caregiver dev’essere accanto alla persona con disabilità grave ricoverata

Mano di una caregiver tiene la mano di una persona in un letto di ospedale«Siamo consapevoli dello sforzo e della dedizione che i sanitari impiegano per tutti i pazienti, rischiando essi stessi il contagio. Ai percorsi di cura, però, occorre aggiungere un protocollo che preveda la presenza di un caregiver accanto alla persona con disabilità grave ricoverata»: a chiederlo con forza è Tiziana Grilli, presidente dell’AIPD (Associazione Italiana Persone Down), dopo il caso della donna con sindrome di Down, morta per Covid al Policlinico di Catania, lontana dai familiari che sempre si erano presi cura di lei.

«Si tratta – prosegue Grilli – di un problema che riguarda le persone con Sindrome di Down e tutte quelle con disabilità intellettiva, che non si autodeterminano e non hanno sempre la capacità di esprimere i propri bisogni. Infatti, essere ricoverati in un reparto ospedaliero per la necessità di cure, significa per tutti cambiare completamente il contesto di vita abituale, ma si pensi cosa possa accadere alle persone che non hanno gli strumenti per decodificare e sopportare le nuove condizioni e che spesso non hanno una comunicazione verbale efficace. Occorre quindi prevedere la presenza, accanto alla persona con disabilità, di un caregiver che volontariamente svolga questo compito e possa mediare la lettura del nuovo contesto. Questo permetterebbe di facilitare l’accettazione della sofferenza e delle cure, ma anche di facilitare il lavoro degli operatori sanitari, che devono comprendere a volte una forma di comunicazione a loro completamente sconosciuta».

A tal proposito, l’AIPD evidenzia che le buone prassi su tale questione già esistono: «Sappiamo bene – dichiara infatti la Presidente dell’Associazione – che la presenza di un parente è stata permessa, almeno nei reparti di degenza se non in terapia intensiva, in diverse analoghe situazioni, determinando per altro una condizione di miglioramento del benessere emotivo del paziente con disabilità: e questo può avere una ricaduta positiva anche sul percorso terapeutico. Non chiediamo quindi l’impossibile, ma di mettere a sistema, di rendere esecutiva, una pratica umanizzante e indispensabile perché le persone con disabilità abbiano sì le stesse opportunità di cura, ma con sostegni adeguati a realizzare l’efficacia necessaria alla sopportazione della sofferenza e alla guarigione, dove possibile».

Per quanto riguarda infine il tema dei vaccini, Grilli fa riferimento a quanto emerso «da un recente studio dell’organizzazione internazionale di ricercatori sulla sindrome di Down T21RS [se ne legga anche sulle nostre pagine, N.d.R.], in base al quale, dopo i 40 anni, le persone con sindrome di Down sono più vulnerabili alle complicanze del contagio da Covid-19, con decessi tre volte più frequenti rispetto alla popolazione di controllo senza sindrome di Down di pari età. Per questo, dopo questa età, vengono considerati come una popolazione ad alto rischio, per la quale si raccomanda fortemente la vaccinazione per tutti, non appena sarà possibile».
«E del resto – conclude la Presidente dell’AIPD – la pandemia ha messo sotto i riflettori, e non creato, il bisogno di sostegni individuali e tipizzati, a volte anche straordinari, di cui necessitano gli interventi sanitari per le persone con disabilità grave in ogni contesto di vita considerato, soprattutto se ospedaliero: ed è questo che chiediamo alle Istituzioni, a maggior ragione quando c’è in gioco la sofferenza per una malattia, cui si aggiunge la sofferenza dell’anima, che per alcuni potrebbe essere impossibile sopportare». (S.B.)

Per ulteriori informazioni e approfondimenti: ufficiostampaaipd@gmail.com.

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