I diritti umani delle persone con disabilità e le varie Convenzioni dell’ONU

«Bisogna includere i diritti umani delle persone con disabilità – scrive Luisella Bosisio Fazzi – nei processi di monitoraggio di tutti i Trattati delle Nazioni Unite, combattendo la discriminazione in ogni àmbito protetto dal corpus di quei Trattati e considerando la disabilità come una questione “trasversale”»: su questo lavora anche il FID (Forum Italiano sulla Disabilità), il cui più recente contributo riguarda il collegamento tra la disabilità e la Convenzione contro la Tortura e altri Trattamenti Crudeli, Inumani e Degradanti, anche alla luce di quanto accaduto durante la pandemia

Figure bianche che coprono una donna in carrozzina (© Dadu Shin)

Elaborazione grafica dedicata alla segregazione delle persone con disabilità (©Dadu Shin)

Nel 2002, un rapporto delle Nazioni Unite documentò la completa esclusione delle persone con disabilità dal sistema dei diritti umani delle stesse Nazioni Unite. Fino ad allora solo alcuni documenti politici tra gli Anni Settanta e Novanta avevano citato i diritti delle persone con disabilità e solo gli articoli 2 e 23 della Convenzione sui Diritti dell’Infanzia e dell’Adolescenza (1989) riportavano un esplicito riferimento alla disabilità. Che dire poi degli Obiettivi di Sviluppo del Millennio, sottoscritti nel 2000, della programmazione degli aiuti umanitari e del lavoro delle istituzioni finanziarie internazionali, che hanno mostrato anch’essi un quadro desolante e sistemico dell’esclusione? E su un altro versante sia l’Organizzazione Mondiale della Sanità che la Banca Mondiale, nel loro ultimo report sulla disabilità del 2011, hanno dichiarato e riconosciuto che le persone con disabilità sono uno dei gruppi più emarginati della società globale, vittime di violazioni dei diritti umani a un tasso più alto rispetto alle persone senza disabilità.

La data del 30 marzo 2007, apertura della sottoscrizione da parte degli Stati della Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità, è da considerare uno spartiacque, un  confine tra un prima e un dopo per l’approccio ai diritti umani delle persone con disabilità. Un confine tra il vedere queste ultime come soggetti e non come oggetti; una visione di persone con disabilità come titolari di diritti e non come problemi, determinando che se problemi esistono, questi stanno al di fuori della persona con disabilità e devono essere affrontati e risolti solo se i vari processi sociali ed economici accolgono la differenza insita nella condizione di disabilità.
In conclusione, i diritti umani delle persone con disabilità sono collegati al posto che la società dà alla differenza.
Riprendendo dunque un passaggio del citato report del 2002, The disability rights debate is not so much about the enjoyment of specific rights as it is about ensuring the equal effective enjoyment of all human rights, without discrimination, by people with disabilities (“Il dibattito sui diritti delle persone con disabilità non riguarda tanto il godimento di diritti specifici quanto la garanzia dell’uguale effettivo godimento di tutti i diritti umani, senza discriminazioni, da parte delle stesse persone con disabilità”).
A questo punto, pertanto, diventa necessario porre attenzione a tutti i Trattati delle Nazioni Unite il cui uso, nel processo di riforma dell’approccio alla condizione di disabilità, dev’essere maggiore e più mirato, affinché il loro utilizzo faccia progredire e rafforzare i diritti delle persone con disabilità. In altre parole, bisogna includere la prospettiva delle persone con disabilità nei processi di valutazione ed analisi dell’applicazione di tutti i Trattati delle Nazioni Unite, sfidando e combattendo la discriminazione in ogni àmbito protetto dal corpus dei Trattati internazionali, in modo tale da considerare la disabilità come una questione “trasversale”. Si tratta del cosiddetto mainstreaming della disabilità (Disability Mainstreaming).

Ad oggi possiamo affermare che la Convenzione sui Diritti delle Persone con Disabilità ha senza dubbio influenzato molto questa “trasversalità”. Da un’analisi, infatti, delle Osservazioni Conclusive proposte dai vari Comitati ONU sulle rispettive Convenzioni*, la disabilità, nel periodo 2000-2006, è stata menzionata nel 16% di tali Osservazioni, mentre nel periodo 2007-2014 è stata menzionata nel 62%.
Possiamo ritenere questo dato come un successo del mainstreaming, ciò che conferma anche che se i diritti delle persone con disabilità sono formalmente parte integrante del sistema internazionale dei diritti umani anche i vari organismi che se ne occupano, quali appunto i Comitati delle Convenzioni delle Nazioni Unite, sono tenuti a integrare la condizione di disabilità nei loro meccanismi di controllo e revisione dei rapporti degli Stati, nonché di interpretazione dei contenuti delle disposizioni (General Comment) sui diritti umani.

Per comprendere appieno l’importanza del mainstreaming, userò una citazione riguardante la Convenzione sull’Eliminazione della Discriminazione nei confronti delle Donne, che riporto integralmente: «Le femministe hanno sostenuto che se i diritti delle donne fossero considerati solo nell’ambito di questa Convenzione, ciò rafforzerebbe l’idea che i diritti degli uomini sono universali, mentre quelli delle donne sono un ripiego [afterthought]. L’effetto sarebbe lo stesso per quanto riguarda i diritti delle persone con disabilità». Di conseguenza il mainstreaming dei diritti umani delle persone con disabilità all’interno del proprio sistema di trattati, impedisce l’idea che essi siano un tipo diverso di diritto umano e che quindi debbano essere trattati separatamente. Senza il mainstreaming, infatti, si ripristinerebbe l’emarginazione politica, sociale ed economica delle persone con disabilità, frammentando ulteriormente il sistema dei diritti umani.
La Convenzione sui Diritti delle Persone con Disabilità ha riconosciuto per la prima volta i loro diritti umani e quindi la  loro piena e assoluta inclusione all’interno del corpus internazionale dei diritti umani. Un processo irreversibile.

È in questa prospettiva, ovvero nel processo di monitoraggio dei vari Trattati, che intendono inserirsi i  contributi del FID (Forum Italiano sulla Disabilità), il più recente dei quali risale al luglio dello scorso anno e contiene una serie di proposte per una List of Issue Prior to Reporting, vale a dire un elenco di priorità da sottoporre all’Italia durante l’esame sull’applicazione della  Convenzione contro la Tortura e altri Trattamenti Crudeli, Inumani e Degradanti nel nostro Paese, un contributo, questo, segnatamente sollecitato anche dagli effetti che la pandemia di Covid-19 ha avuto sulle persone con disabilità e le persone anziane in Italia.
Nel nostro Paese, va ricordato, il collegamento tra tortura e persone con disabilità l’ha imposto il Comitato ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità, ai punti 41 e 42 delle Osservazioni Conclusive prodotte nel 2016, ove si scrive: «41. Il Comitato è preoccupato per il fatto che la delega di mandato del Meccanismo Nazionale di Prevenzione (MNP) non si estende alle istituzioni psichiatriche o altre strutture residenziali per persone con disabilità dove esse vengono privati della loro libertà. 42. Il Comitato raccomanda che l’MNP visiti immediatamente gli istituti psichiatrici o altre strutture residenziali per persone con disabilità, specialmente quelle con disabilità intellettive o psicosociali, e riferisca sulla loro condizione».
Ora, pertanto, in occasione della preparazione della citata List of Issue Prior to Reporting all’Italia, è stato possibile per la prima volta rilevare, alla luce della Convenzione contro la Tortura e altri Trattamenti Crudeli, Inumani e Degradanti, quanto le persone con disabilità vedano violati i loro diritti umani negli istituti residenziali e cosa sia accaduto durante la pandemia da Covid-19.

Finora si è sempre evocata la tortura con l’immagine delle forme più crudeli di sofferenza fisica e psicologica perpetrate sempre nei confronti di persone prigioniere, migranti reclusi nei centri di raccolta, manifestanti, prigionieri politici ecc. Nessuno, se non pochissimi, hanno collegato alla tortura e ai trattamenti inumani e degradanti quelle azioni, quelle prassi nascoste in silenzio dietro le porte chiuse di istituti, destinati ad accogliere persone con disabilità intellettive, quelle con necessità elevate di sostegno, quelle con disabilità psicosociali.
Stiamo parlando di strutture sia pubbliche che private, di prassi comuni quali la contenzione fisica, quella farmacologica, quella psicologica; i trattamenti sanitari obbligatori; i luoghi isolati dove il mondo è fuori e dei quali il mondo si interessa poco. Luoghi dove esiste un enorme squilibrio di potere, dato anche dal fatto che le persone con disabilità in essi non hanno voce per denunciarlo, sono limitati nelle loro autonomie e non vengono ascoltati nei loro desideri.
Tutelare le persone con disabilità dalla tortura e dai trattamenti crudeli, inumani e degradanti significa quindi proteggerne e garantirne l’integrità fisica, emotiva e psichica, indipendentemente dal luogo in cui vivono. Tutti luoghi dove sembra non sia previsto operare alla luce della Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità e dove l’attenzione alla protezione e alla sicurezza di tutte le persone con disabilità nella situazioni di rischio e di emergenza, come quella della pandemia da Covid-19, si è tramutata in un diniego a godere delle stesse opportunità e possibilità riservate alla generalità della popolazione.
Le persone con disabilità che vivono nei servizi residenziali sono state poste ancor più in isolamento e con limitazioni forti alla vita sociale, che, se all’inizio della pandemia forse erano appropriate, quando tutta la società si è organizzata per “rimanere a casa”, ora continuano e le sottopongono a un trattamento differenziato di limitazione della libertà non giustificato.
La protezione e la sicurezza delle persone con disabilità che vivono nei servizi residenziali ha posto condizioni di prevenzione dal contagio diverse tra persone con disabilità e il resto della popolazione. Ma qual è la base scientifica e normativa che giustifica questo atteggiamento differenziato?
La missione, però, che la Convenzione contro la Tortura e altri Trattamenti Crudeli, Inumani e Degradanti, insieme a quella sui Diritti delle Persone con Disabilità, affida ai servizi residenziali non dovrebbe più essere quella di custodire e proteggere e neanche di assistere e curare, ma di «consentire alle persone con disabilità di vivere nella società e di inserirsi, impedendo che siano isolate o vittime di segregazione» e «che siano libere da trattamenti crudeli, inumani e degradanti».

*Human Rights Committee (Comitato per i Diritti Umani); Committee on Economic, Social and Cultural Rights (Comitato per i Diritti Economici, Sociali e Culturali); Committee on the Elimination of All Forms of Racial Discrimination (Comitato per l’Eliminazione di Tutte le Forme di Discriminazione Razziale); Committee on the Elimination of Discrimination against Women (Comitato per l’Eliminazione della Discriminazione nei confronti delle Donne); Committee on the Convention against Torture and Other Cruel, Inhuman or Degrading Treatment (Comitato sulla Convenzione contro la Tortura e altri Trattamenti Crudeli, Inumani e Degradanti); Committee on the Rights of the Child (Comitato per i Diritti dell’Infanzia e dell’Adolescenza).

Componente del FID (Forum Italiano sulla Disabilità), del Direttivo dell’EDF (European Disability Forum) e di quello della LEDHA, la Lega per i Diritti delle Persone con Disabilità, che costituisce la componente lombarda della FISH (Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap). All’interno di quest’ultima, inoltre, fa parte della Giunta Nazionale.

A questo link è disponibile una trattazione ulteriormente estesa, dedicata ai medesimi contenuti del presente approfondimento.

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