Il “Recovery Plan” non può ignorare il lavoro delle persone con disabilità

«L’inclusione lavorativa delle persone con disabilità – scrive Marino Bottà – è un tema socialmente macroscopico: è pertanto inaccettabile che la classe politica intera se ne dimentichi ed è auspicabile che il Parlamento si ravveda, in occasione del dibattito sul “Recovery Plan”, il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, che finora sembra avere letteralmente ignorato tale tema. Non è però sufficiente essere fiduciosi, serve, su questo, un pronunciamento della società civile, di tutti cittadini e soggetti pubblici interessati e sensibili»

Ombra nera di persona con disabilitDa tempo la politica e le Istituzioni si sono totalmente dimenticati del tema disabilità/lavoro e nemmeno nel Recovery Plan [Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, per l’utilizzo dei fondi stanziati dal “Recovery Fund” dell’Unione Europea, N.d.R.] le centinaia di migliaia di persone con disabilità disoccupate, che attendono da anni una proposta di lavoro, sono state prese in considerazione, dimenticandosi anche dei richiami internazionali che denunciavano l’inefficacia del sistema del collocamento pubblico, che vede l’Italia fra gli ultimi Paesi europei per tasso di occupazione di lavoratori con disabilità. Solo il 35,8% di loro, infatti, sono occupati, mentre, per la stessa fascia di età, il tasso di occupazione delle persone senza disabilità è pari al 57,8%. E la media europea delle persone con disabilità occupate era, nel 2017, pari al 48,7% (Progress Report sull’attuazione della Strategia Europea sulla Disabilità).
Si tratta di un gravissimo indice di sottosviluppo umano e civile, puntualmente sottovalutato da tutti i Governi che si sono succeduti nell’ultimo quinquennio. Eppure tutti sanno che i Servizi Provinciali non riescono a collocare annualmente più del 3-4% degli iscritti e che per alcune categorie (disabilità psichica, intellettiva, malati rari, neuroatipici ecc.), la percentuale scende allo 0,2-0,1%. Alla bassa performance generale, si aggiunge poi il gravissimo divario territoriale, se è vero che le sperimentazioni e le iniziative di cooperazione pubblico-privato-privato sociale riguardano solo parti limitate di territorio.
Già nel 2010 un documento redatto dal Consiglio Europeo prendeva in esame le conseguenze che la crisi economica avrebbe avuto sull’ occupazione delle persone con disabilità; quel testo sottolineava che il ricorso a sostegni economici avrebbe incontrato crescenti difficoltà, e suggeriva  di predisporre adeguate strategie di politiche attive. Nulla, però, è stato fatto e oggi ci troviamo di fronte un sistema pubblico totalmente inadeguato e una crisi economica e pandemica che acuiranno ulteriormente le contraddizioni sociali esistenti. Ma è proprio dove la fragilità sociale si fa più acuta che si misurano il welfare e l’etica di uno Stato, cosicché gli attuali governanti si troveranno esposti non solo al giudizio degli italiani, ma di tutti gli Stati Europei.

Oggi si discute di un Recovery Plan che non prende in considerazione una fascia sociale comprendente oltre 5 milioni di cittadini (disabili, famiglie e operatori del settore). Eppure siamo  di fronte a un ingente pacchetto di misure e di risorse economiche finalizzato a ricostruire l’Europa dopo la pandemia di Covid e il futuro socio-economico dell’Italia. Purtroppo, nelle bozze del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza presentate (PNRR) si individuano, nella prima stesura, missioni dedicate quasi interamente ai temi pur importanti della parità di genere, della coesione sociale e territoriale, ma nulla si dice sulla disabilità; mentre nella seconda stesura si sfiora il tema in questi termini: «Revisione strutturale delle politiche attive del lavoro e dei servizi sociali e modernizzazione del mercato del lavoro al fine di migliorare l’occupazione e l’occupabilità, soprattutto giovanile, e in particolare dei NEET, delle donne e dei gruppi vulnerabili»: niente, dunque, sull’occupazione delle persone con disabilità. Infine, una successiva bozza del 29 dicembre sembra essere più dettagliata, rendendo nota una programmazione articolata in progetti incentrati sulla «vulnerabilità, l’inclusione sociale e lo sport», con un finanziamento complessivo stimato di 6,6 miliardi. Quello di maggiore interesse, in relazione alla disabilità e al lavoro (Azioni mirate al potenziamento dei processi di deistituzionalizzazione, di supporto alla domiciliarità e all’occupazione delle persone con disabilità) viene così descritto: «Per garantire l’indipendenza economica delle persone disabili e vulnerabili e la riduzione delle barriere di accesso ai mercati del lavoro attraverso soluzioni di smart working, il progetto fornirà loro dispositivi ICT e supporto per sviluppare competenze digitali». Mentre,in quella che viene definita Missione 5 si parla di «politiche attive del lavoro», ma ci si dimentica completamente del milione di persone con disabilità in cerca di un lavoro, senza successo.

Purtroppo quanto riportato conferma la scarsa conoscenza, la completa incomprensione e il disinteresse del tema lavoro per le persone con disabilità e per le loro famiglie. Spaventa inoltre la superficialità con cui si auspica l’avvento dello smart working, vissuto come una sorta di “panacea lavorativa” per tutte le persone con disabilità, senza rendersi conto che, se utilizzato indiscriminatamente, può favorire un ritorno alla segregazione familiare, all’isolamento sociale e ai pregiudizi imprenditoriali.
Il problema vero e urgente sta nel come affrontare l’ingresso nel mondo del lavoro di centinaia di migliaia di persone con disabilità che potrebbero svolgere attività lavorative utili allo sviluppo economico e sociale del Paese. Ciò rappresenterebbe un fattore terapeutico straordinario per ciascuno di loro, una leva di sviluppo civile per l’intera società, e il passaggio da cittadini passivi a cittadini attivi socialmente utili; quindi da assistititi a contribuenti, fino ad essere come tutti costruttori della società del domani.
Per queste ragioni è necessario fare una proposta concreta e richiedere di introdurre nel Recovery Plan una linea di finanziamento specifica (500 milioni dei 10 miliardi oggi assegnati alle Missioni/Componenti M5C2 e M5C3), denominata semplicemente Inserimento e accompagnamento al lavoro delle persone con disabilità. Questa linea di finanziamento deve avere un soggetto attuatore unico nazionale, il Ministero del lavoro/ANPAL-Agenzia Nazionale Politiche Attive Lavoro, cioè l’istituzione responsabile delle politiche attive per il lavoro e un fondo disciplinato da un regolamento snello e valido sull’intero territorio nazionale, che preveda criteri perequativi di assegnazione delle risorse.
I punti cardine di questo regolamento devono indicare che:
1. Le risorse siano finalizzate ai percorsi di accompagnamento al lavoro attraverso un “progetto personalizzato” e un “inserimento mirato”, che preveda cioè azioni di valutazione, formazione al lavoro, orientamento, inserimento e accompagnamento.
2. Si debba fare ricorso a figure esperte in materia, indispensabili per realizzare efficaci progetti di accompagnamento al lavoro, diffondere buone prassi e promuovere utili sperimentazioni, come già auspicato dal Decreto Legislativo 151/15.
3. Le azioni debbano essere attivate e gestite dai soggetti che appartengono al Terzo Settore (Associazioni, Cooperative Sociali, Imprese Sociali), secondo modelli definiti e standardizzati ai fini dell’ammissione al finanziamento.
4. I progetti e le azioni conseguenti debbano caratterizzarsi per un forte carattere sussidiario rispetto al sistema di collocamento pubblico.

Sarà pertanto utile, in sede di dibattimento parlamentare, sollecitare l’attenzione della classe politica affinché venga inserito nel testo un passaggio dedicato all’inserimento e all’accompagnamento lavorativo delle persone con disabilità, finanziato con una quota a parte dei 6,6 miliardi destinati alla Missione M5C3 (o con una quota aggiuntiva), pari ad almeno mezzo miliardo, da distribuire nell’arco di un congruo periodo di sperimentazione, fino al radicamento di competenze e procedure adeguate. Questo consentirà di sviluppare e potenziare l’occupazione delle persone con disabilità e di dare, attraverso le loro Associazioni, la possibilità di essere parte attiva nel processo di inclusione socio-lavorativa.

L’inclusione lavorativa delle persone con disabilità è un tema socialmente macroscopico: è pertanto inaccettabile che la classe politica intera se ne dimentichi ed è auspicabile che il Parlamento si ravveda, in occasione del dibattito sul Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza.
Non è però sufficiente essere fiduciosi, bisogna fare in modo che non se ne dimentichino ancora: serve quindi un pronunciamento della società civile, di tutti cittadini e soggetti pubblici interessati e sensibili. Il rumore deve entrare nei palazzi della politica, ricordando che Il silenzio è sempre complice!

Già responsabile del Collocamento Disabili e Fasce Deboli della Provincia di Lecco.

Per ulteriori informazioni sui temi lanciati nel presente testo e sulla relativa campagna di opinione: marino.botta@alice.it; enrico.seta@gmail.it.

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