Il diritto di vivere una cultura che consenta a tutti di crescere e di conoscere

«Nel nostro Paese – scrive Stefano Pierpaoli – si sta manifestando con grave chiarezza che l’inclusione culturale è un tema purtroppo secondario. Sembra quasi che esista una scelta lucida che miri a mantenere escluse considerevoli fasce di popolazione, a partire dalle persone con disabilità, per non renderle protagoniste delle scelte che le riguardano. La partecipazione alle scelte, però, è un vincolo da cui non si deve prescindere, ma il diritto di vivere una cultura che consenta a tutti di crescere e di conoscere è la condizione senza la quale questo vincolo non potrà essere rispettato»

Arthur Robins, "Decline of Culture" ("Il declino della cultura") (©Fine Art America)

Arthur Robins, “Decline of Culture” (“Il declino della cultura”) (©Fine Art America)

Con un messaggio ricco di significato [lo si legga in «Superando.it» a questo link, N.d.R.], la Commissaria Europea per l’Uguaglianza e la Parità di Genere Helena Dalli ha presentato le strategie da adottare per l’accessibilità. Nel suo documento ha voluto affermare quanto stabilito dalla Convenzione ONU  sui Diritti delle Persone con Disabilità come riferimento fondamentale per le politiche di inclusione dell’Unione Europea. La sua dichiarazione assume un valore ancor più significativo nella fase che stiamo vivendo perché sta emergendo rapidamente un preoccupante aumento delle disuguaglianze.
Questo fenomeno colpirà inevitabilmente una grande maggioranza della popolazione e metterà in evidenza le criticità di tanti settori della nostra società. Si tratta in realtà di problematiche già ben presenti da molti anni e la pandemia non ha fatto altro che accelerare i processi già in atto e i disagi che scorrevano più o meno sotto traccia si sono aggravati velocemente.

Per provare a descrivere la situazione, basti pensare al Piano Nazionale Pandemico che non era stato aggiornato dal 2006 ed è risultato insufficiente soprattutto nella prima ondata di Covid-19. Allo stesso modo abbiamo verificato che il nostro welfare era sostanzialmente un apparato burocratico assistenzialistico che serviva solo a “tirare a campare”.
Le emergenze prodotte dalla sciagura in atto hanno messo in luce la nostra insufficienza di sistema e anche una certa impreparazione intellettuale nell’elaborare processi innovativi ed efficaci. Continuiamo a cercare soluzioni “a macchia di leopardo” con interventi assistenziali, per mettere toppe momentanee e nel frattempo si aggiungono nuove ferite.
Il cambio di passo che invece servirebbe, soprattutto per le politiche a favore dell’inclusione, è rappresentato da interventi strutturali che cambino alla base gli strumenti messi a disposizione delle persone con disabilità e delle loro famiglie.

La nostra società, in particolare le categorie più esposte, non ha bisogno di sostegni casuali, ma di stimoli concreti per raggiungere autonomia e indipendenza. I finanziamenti a pioggia e i bonus determinano una condizione di passività che va esattamente nella direzione opposta all’inclusione nella comunità.
La Commissaria Dalli ha sottolineato il fatto che le persone con disabilità devono partecipare alle decisioni che le riguardano, ma se non ci sarà un salto di qualità culturale, si tratterà sempre di una falsa partecipazione. Si riprodurranno infatti le stesse condizioni che hanno portato a capire che avevamo un welfare inutile solo dopo che il disastro era già avvenuto e dopo avere vissuto disuguaglianze che crescono a vista d’occhio.

Nel nostro Paese si sta manifestando con grave chiarezza che l’inclusione culturale è un tema purtroppo secondario. Sembra quasi che esista una scelta lucida che miri a mantenere escluse considerevoli fasce di popolazione per non renderle protagoniste delle scelte che le riguardano.
Nei progetti culturali finora proposti, infatti, non viene mai citata l’accessibilità e se anche si attivassero strumenti che rendono fruibile l’informazione, non esisterebbero i percorsi per aumentare la capacità di interpretazione della popolazione. Lo abbiamo visto con la confusione e lo smarrimento creati dai media nell’ultimo anno.

Gli impulsi più validi per assicurare a ciascun individuo il diritto di essere informato non dipendono dal fatto di metterlo davanti a una televisione o a un tablet, ma dalla possibilità di condividere i processi culturali insieme agli altri. Se non si garantisce la condivisione delle esperienze culturali, sarà impossibile per chiunque partecipare alle decisioni che lo riguardano.
Su questo e non su altro si gioca il benessere di milioni di famiglie e continuare a ignorare la discriminazione culturale che sta avvenendo non farà altro che aggravare ancora di più le disuguaglianze che si stanno manifestando.
La partecipazione alle scelte è un vincolo da cui non si deve prescindere. Il diritto di vivere una cultura che consenta a tutti di crescere e di conoscere è però la condizione senza la quale questo vincolo non potrà essere rispettato: abbiamo il dovere e la responsabilità di costruire questa strada e noi stiamo cercando di fare la nostra parte. Ci auguriamo che da parte delle Istituzioni e delle realtà associative arrivino segnali che vadano in questa direzione.

Coordinamento Nazionale di +Cultura Accessibile-Cinemanchìo.

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