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Vaccini e Unione Europea: in pochi Stati priorità alle persone con disabilità

Vaccini anti-Covid nell'Unione Europea

COVID-19, coronavirus vaccinations in Europe

Le strategie nazionali di vaccinazione contro il Covid non stabiliscono criteri chiari per dare priorità alle persone con disabilità, ad eccezione di quelle che vivono in istituti o sono a rischio estremo di infezione, a seguito, ad esempio, di trapianti di organi o di cellule staminali. In molti Stati Membri dell’Unione Europea, inoltre, le persone con disabilità non possono sapere con certezza se l’affezione che provoca la loro disabilità le renderà idonee a ricevere il vaccino prima del loro gruppo di età nella popolazione in generale. Norme nazionali che non definiscono chiaramente quali persone appartengano ai gruppi prioritari non legati all’età, unite a una grande scarsità di vaccini in Europa e alla riluttanza nei confronti della vaccinazione, in molti casi hanno creato confusione e caos sul campo, lasciando che molte persone con disabilità finiscano in fondo alle liste di attesa per la vaccinazione. E la situazione varia non solo da un Paese all’altro, ma anche da Regione a Regione: è quanto emerso dall’audizione online La campagna vaccinale contro il Covid-19 e le persone con disabilità, svoltasi presso il CESE (Comitato Economico e Sociale Europeo), importante organo consultivo della Commissione Europea, e organizzata dal gruppo di studio tematico sui diritti delle persone con disabilità del CESE stesso, con l’obiettivo di fornire un’istantanea della situazione negli Stati Membri riguardante appunto la vaccinazione delle persone con disabilità.

Vi hanno partecipato componenti del CESE attivi nella difesa dei diritti delle persone con disabilità nei propri Paesi, come pure rappresentanti dell’EPHA, l’Alleanza Europea per la Salute Pubblica e dell’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità). A moderare l’evento è stata Catherine Noughton, che dirige l’EDF.
«Gli Stati devono capire – ha dichiarato aprendo l’audizione Pietro Barbieri, presidente del gruppo di studio tematico del CESE sui Diritti delle Persone con Disabilità – che le persone con disabilità, per ovvie ragioni, sono meno in grado di mantenere la distanza sociale richiesta. Ecco perché vogliamo sottolineare l’importanza e l’urgenza di proteggere le persone che si trovano in una situazione sanitaria più vulnerabile. Ci auguriamo dunque che l’Unione Europea tenga conto della situazione delle persone con disabilità e non si limiti a lasciare questo compito ai diversi Paesi sulla base di taluni indicatori».

Va sottolineato, a questo punto, che nei suoi orientamenti sulla strategia in materia di vaccini dell’ottobre 2020, la Commissione Europea aveva fatto riferimento, in modo generico ma esplicito, a taluni gruppi vulnerabili da considerare quali prioritari nelle campagne di vaccinazione, compresi coloro che non possono mantenere la distanza fisica e le persone particolarmente esposte al rischio per via del loro stato di salute, senza però menzionare in modo specifico la disabilità.
Dal canto suo, l’OMS, nelle sue Linee Guida, riconosce che, per diversi motivi, le persone con disabilità potrebbero essere esposte a un rischio maggiore sia di contrarre la malattia che di essere colpite dalla forma più grave del coronavirus. In tal senso, la tabella di marcia del SAGE, il Gruppo Consultivo Strategico sull’Immunizzazione dell’OMS, stabilendo le priorità per l’uso dei vaccini contro il Covid in un contesto di disponibilità limitata, inserisce le persone con disabilità in un gruppo sociodemografico a rischio di malattia grave o di morte e ne raccomanda la vaccinazione nella cosiddetta “fase II”, durante la quale il vaccino viene somministrato all’11-20% della popolazione. E tuttavia, in assenza di classificazioni chiare e una volta divenuto evidente che i vaccini non sarebbero stati immediatamente disponibili per tutti, la situazione sul campo si è fatta caotica, come detto inizialmente.

Con una breve panoramica dello stato delle cose nei rispettivi Paesi, i membri del CESE hanno dunque sottolineato il ruolo spesso fondamentale svolto dalle organizzazioni operanti nel settore della disabilità in tutta l’Unione Europea, per garantire che le persone con disabilità che non vivono in istituti e i loro prestatori di assistenza siano vaccinati contemporaneamente ad altri gruppi vulnerabili e prioritari.

La strategia di vaccinazione spagnola, aggiornata quattro volte, dà la priorità alle persone con disabilità che si trovano in case di cura o in alloggi protetti, se dispongono di personale ausiliario e di prestatori di assistenza e se ricevono servizi in spazi condivisi, come i centri diurni, ma non dà esplicitamente la priorità alle persone con disabilità fisiche, ad esempio, nonostante il fatto che esse aumentino il loro rischio di contrarre la malattia in forma grave.
«Questo gruppo – ha dichiarato il membro del CESE Miguel Ángel Cabra de Luna – attende pertanto di vedere se la malattia alla base della loro disabilità lo collocherà nella categoria prioritaria; gli interessati non conoscono la loro posizione nell’ordine di vaccinazione. Si tratta di una situazione di incertezza inaccettabile». E ha aggiunto che, «sebbene sia perfettamente comprensibile che l’età debba essere un fattore, dovrebbero essere considerate anche altre situazioni che rendono le persone vulnerabili al Covid».
In assenza quindi di criteri standardizzati, le comunità e le regioni spagnole hanno elaborato regole differenti circa le condizioni che danno o non danno la precedenza nella vaccinazione.

«Tali differenze – ha affermato Barbieri – sono considerevoli anche in Italia, dove persone con la stessa patologia sono vaccinate in una Regione, ma non in un’altra».
Barbieri ha spiegato quindi che in Italia le persone con disabilità non avevano inizialmente la priorità, ma le autorità hanno cercato di correggere la situazione all’inizio di gennaio, per le pressioni delle Associazioni che operano nel campo della disabilità. Quindi, a seguito del cambiamento di Governo, e mentre i vaccini iniziavano a scarseggiare, è stato creato un nuovo piano di vaccinazione, che ha stabilito l’ordine di priorità. «Ne sono risultate spesso – ha sottolineato Barbieri – gravi disuguaglianze tra Regioni, pensando ad esempio che in Lombardia le persone con disabilità inizieranno a ricevere la prima dose il 15 aprile, mentre, a causa di un sistema sanitario in difficoltà, la Calabria non prenderà prenotazioni per le persone con disabilità prima di maggio».

Successivamente, Albert Prevos, del Consiglio Francese delle Persone con Disabilità per le Questioni Europee, ha ricordato che anche le persone con disabilità che non vivono in una residenza sono vulnerabili e dovrebbero avere la priorità, ciò che non avviene in Francia: «Le persone che vivono da sole – ha affermato – non dovrebbero essere vittime della scarsità di vaccini, eppure spesso vengono dimenticate».

È stata quindi la volta di Tudorel Tupilusi, altro membro del CESE, responsabile di un’organizzazione di persone non vedenti in Romania, secondo il quale le organizzazioni del proprio Paese operanti nel settore della disabilità sono intervenute con successo presso il Governo, per far sì che nella seconda fase venisse data priorità a coloro che non sono ricoverati in istituti, da vaccinare insieme agli ultrasessantacinquenni. «E tuttavia – ha aggiunto – inizialmente vi sono state incertezze e difficoltà, dato che le persone con disabilità potevano prenotare la vaccinazione solo attraverso gli Enti Locali. Ciò avrebbe rallentato l’intero processo, ma un intervento dei gruppi di tutela delle persone con disabilità ha ottenuto che si rimediasse a questa situazione».
«Nonostante tutto ciò – ha concluso – per una serie di circostanze, alla fine di marzo non erano molti i rumeni con disabilità già vaccinati, e solo 3.000 avevano ricevuto entrambe le dosi».

Sulla Grecia si è soffermato Yannis Vardakastanis del CESE, oltreché presidente dell’EDF, segnalando che già in dicembre, prima dell’avvio della campagna vaccinale, le organizzazioni operanti nel settore della disabilità avevano iniziato a chiedere che venisse data priorità alle persone con disabilità. «Tali organizzazioni – ha affermato – hanno svolto un ruolo sia strategico che operativo, sviluppando una stretta cooperazione con le autorità e garantendo la priorità a molte persone con disabilità. Adesso stanno cercando di assicurare i vaccini alle persone non vedenti e ipovedenti e alle persone tetraplegiche sotto i 60 anni».

E ancora, in Lituania, ha ricordato la consigliera del CESE Dovile Juodkaite, «a seguito di un’azione incisiva da parte di gruppi per la difesa dei diritti delle persone con disabilità, il Governo ha accettato di inserire nei gruppi prioritari i genitori che si occupano di bambini con disabilità e altri prestatori di assistenza, ciò che all’inizio non era previsto».

Infine, la Danimarca, a differenza degli altri Paesi Scandinavi, che classificano la disabilità tra i fattori di rischio per le forme gravi di Covid, fissa attualmente le priorità per la vaccinazione principalmente in base all’età. «Questo – ha dichiarato il membro del CESE Sif Holst – ha dato luogo a una notevole confusione e a una mancanza di chiarezza nella definizione dei gruppi prioritari. Di conseguenza, i medici generici, gli ospedali e i singoli individui non sapevano con certezza chi sarebbe stato vaccinato per primo». «Inoltre – ha aggiunto – la comunicazione del programma di vaccinazione è stata molto carente: nessuno viene informato della propria categoria di appartenenza, né della data alla quale ci si può aspettare di essere vaccinati». «Le persone non classificate come appartenenti a un gruppo prioritario – ha concluso – saranno vaccinate rigorosamente in base a criteri di età. Di conseguenza, una persona di 30 anni con sindrome di Down o sclerosi multipla potrebbe dover aspettare il proprio turno, accanto a persone della stessa età che non hanno disabilità».

L’audizione si è conclusa con gli interventi degli esponenti di OMS ed EPHA.
«Confidiamo nella società civile – ha affermato per conto della prima , Satish Mishra – per garantire l’attuazione della nostre raccomandazioni da parte dei Governi. Raccomandiamo tra l’altro che i Governi stessi consultino le persone con disabilità, le loro reti di sostegno e le loro organizzazioni rappresentative al momento di elaborare e attuare i Piani Nazionali di Vaccinazione, per individuare e affrontare gli ostacoli all’accesso al vaccino».

Secondo Yannis Natsis dell’EPHA, infine, «le organizzazioni della società civile, grazie alle loro competenze sul campo, svolgono un ruolo estremamente importante, perché possono aiutare l’Unione Europea a comprendere meglio come definire la vulnerabilità. Inoltre, possono mettere in evidenza i rischi per le persone affette da molti tipi diversi di disabilità, in modo che anche i Paesi dell’Unione riconoscano loro una priorità».
«Riteniamo anche – ha proseguito – che sia giunto il momento di discutere l’equità delle campagne vaccinali nazionali in Europa e di valutare come possiamo includere i gruppi vulnerabili e svantaggiati e dare loro la priorità. Per quanto riguarda l’Unione Europea, è importante che la questione dell’equità in materia di vaccini venga elevata al livello politico a Bruxelles».
«E del resto – ha concluso – argomenti legati alla scarsità, in senso lato, sono sempre stati utilizzati contro i gruppi vulnerabili, è una cosa già vista, prima ancora del Covid. Cerchiamo di assicurarci che ciò non si ripeta anche dopo il Covid, cogliendo l’opportunità per fare di questa situazione un cambiamento positivo e sostenibile a lungo termine per le popolazioni vulnerabili».

Ufficio di Comunicazione del CESE (Comitato Economico e Sociale Europeo). Contributo riadattato al contesto a cura della redazione di «Superando.it».

Per ulteriori informazioni e approfondimenti: Daniela Marangoni (daniela.marangoni@eesc.europa.eu).

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