La passione per il “famigerato” odore della carta fa da corollario alle conversazioni di coloro che vogliono scongiurare l’impoverimento sensoriale a causa della parola elettronica. E così, in quell’eterno gioco duale che caratterizza i dialoghi, leggiamo appassionati innamoramenti verso il libro di carta, accese prese di posizione a favore della sua forma, del suo colore, del suo odore.
L’essere umano ha da sempre sentito l’esigenza di comunicare con gli altri individui della sua specie. Dopo la comunicazione mediante il linguaggio parlato, l’attenzione dell’uomo si è rivolta alla parola scritta, per poter trasferire e tramandare informazioni e conoscenza agli altri individui in modo indiretto. Il linguaggio parlato e scritto ha avuto sempre un ruolo centrale; non è stato solo il veicolo principale della comunicazione, ma è stato – ed è anche – il propulsore dell’evoluzione degli esseri umani. Pertanto la parola è stata ed è lo strumento di interazione tra persone al fine di trasmettere un messaggio.
In Occidente il processo di massificazione della parola è iniziato nel 1455, quando l’orafo e tipografo tedesco Johannes Gutenberg stampò 180 copie del primo libro (La Bibbia) utilizzando una macchina di sua costruzione. In più di cinquecento anni di diffusione del libro, questo medium ha reso accessibile la parola stampata a tutti gli esseri umani, diffondendo e distribuendo informazioni e conoscenza. Artefice della coesione sociale di un mondo in rapida espansione, ha tramandato sociologicamente credenze, tradizioni, superstizioni, riti religiosi, cultura.
L’odore dei libri è stato analizzato anche chimicamente; pare che sia dovuto al degrado della carta, contenente cellulosa, e al conseguente rilascio di sostanze organiche. Ma sensorialmente un libro è più del suo odore, perché coinvolge almeno altri due sensi: la vista e il tatto. In più un libro è potenzialmente fonte di emozioni per via della parola che porta tra le sue pagine. I sentimenti delle parole stampate si imprimono nella mente del lettore che, come in un processo di transfert inconsapevole, reifica la parola nel libro, nel medium concreto che tiene tra le mani; libro che àncora nella mente del lettore e della lettrice le emozioni trasmesse dalle parole stampate anche attraverso l’olfatto e la vista.
Per il primo libro Braille si deve andare avanti nella storia di ben quattrocento anni. Infatti, solo nel 1827 la parola vede la luce sotto un altro aspetto: i puntini. I glifi della stampa a caratteri mobili per la lettura delle persone cieche non sono utili, si inizia appena a capire che è necessario adottare un altro sistema. Per vedere i punzoni di una stampante Braille in azione si deve ancora andare avanti nel tempo di altri centocinquant’anni. Qualche anno prima, infatti, l’austriaco Alois Senefelder inventa una nuova tecnica di stampa che chiama “stampa chimica su pietra”: nasce la stampa litografica.
La litografia dopo qualche anno ha una buona diffusione quasi in tutta Europa; già nel 1831 si possono contare una sessantina di stabilimenti, mentre la Francia, la stessa in cui in quegli anni Louis Braille fatica a far capire il suo sistema, mobilita il Governo per sostenerne lo sviluppo.
Il medium resta sempre il libro, diventato nel frattempo più resistente della pietra. Per il Braille ciò che cambia è il sistema di lettura e scrittura. Non si può parlare di stampa in Braille, perché ancora non esiste, sebbene ci siano dei tentativi di goffratura dei caratteri su carta umida. La stampa in Braille vera e propria comincerà ad affacciarsi nella scena nel Novecento, mutuando la tecnica forse dalle lastre di zinco utilizzate in litografia al posto delle lastre di pietra.
Il Braille è rivoluzionario, è diverso, come a voler ulteriormente sottolineare la diversità dei ciechi in seno alla società. I ciechi col libro Braille è come se nascessero per la prima volta, almeno con la parola scritta. Prima del Braille, l’unico sistema che avevano avuto per comunicare era stata la parola parlata. Da metà Ottocento, la nuova scrittura Braille viene proposta in via sperimentale ai ragazzi ciechi che frequentano gli istituti; i vantaggi che essa procura sono di gran lunga superiori agli svantaggi. Una rivoluzione paragonabile a quella del Braille si avrà con l’avvento dell’informatica, negli Anni Novanta del Ventesimo secolo. Nel 1878 il Congresso Internazionale di Parigi dichiara il Braille “codice ufficiale di scrittura e lettura per non vedenti in tutti gli Stati”.
Per quanto neonato sia il sistema, il Braille, nella storia delle persone cieche, colma un’esigenza, un enorme buco nero culturale che mai prima era stato avvicinato. Da reietti della società, col Braille i ciechi dispongono dello strumento per emergere dal limbo sociale in cui erano stati relegati nei secoli bui. È importante capire che è grazie al Braille che i non vedenti di oggi godono di cultura, lavoro, tecnologia. Direttamente e indirettamente, il Braille ha formato e condizionato l’evoluzione e l’emancipazione di tutti i ciechi del mondo ed è conseguenza del Braille che oggi le persone con disabilità visiva hanno organizzazioni che difendono i loro interessi, fondate per la prima volta nei primi decenni del Novecento. Se prima i ciechi vivevano ai margini, dopo il Braille la loro storia è un continuo susseguirsi di conquiste, culturali, giuridiche, tecnologiche.
Il Novecento vede sempre più diffondersi il libro Braille. Le principali modalità di distribuzione sono tre: il prestito, lo studio, la vendita. I ciechi diventano non vedenti, la cultura si amplia, la sensibilità cresce. Il sentimento di disgusto verso la disabilità si attenua, fino quasi a sparire; sentimento prima sostituito dalla benevolenza cristiana di fine Ottocento, quando benefattori più o meno illustri sovvenzionavano i primi istituti per giovani ciechi, poi da una politica di umanità egualitaria, dove gradualmente si giunge a riconoscere che caratteristiche profondamente radicate nella persona non costituiscono una base legittima per la sistematica subordinazione giuridica di essa: in altre parole, si comincia a discutere di diritti e di assistenza.
A tutt’oggi esiste uno stigma e un pregiudizio associati alla classificazione della persona con disabilità visiva; la differenza tra ieri ed oggi è nella consapevolezza che le caratteristiche della persona con disabilità spesso non hanno alcuna relazione con la sua capacità di agire o di partecipare alla società.
Il libro Braille fa parte di questo graduale processo di sensibilizzazione e inclusione, perché è stato lo strumento che ha portato la cultura e la parola tra le persone con disabilità visiva. Perciò, per chiudere il cerchio e tornare al tema iniziale, le persone native del Braille, cioè tutti i disabili visivi congeniti o acquisiti prima dell’avvento massivo dell’informatica, sentono e toccano nel libro Braille il feticcio della propria emancipazione, trasportati da un sentimento pari a quello delle persone normovedenti che provano emozioni per l’odore e la forma di un libro a stampa comune.
Il libro Braille proietta al di fuori di esso le parole punzonate che contiene, informazioni e cultura con cui i ciechi hanno un rapporto tattile ancor più diretto rispetto alla vista, più intimo e sensuale, perché la parola si esprime attraverso il senso per eccellenza, quando si vuole entrare in contatto con qualcosa o con qualcuno: il tatto. L’olfatto viene coinvolto in minima parte, perché non viene stimolato dagli inchiostri che reagiscono chimicamente con la cellulosa della carta, in quanto il Braille non necessita di simili soluzioni; entra in gioco il tatto, dato che il Braille si tocca, si palpa, si accarezza, si percorre con le dita, trasmette emozioni e cultura attraverso un’intima esperienza tattile che fa del lettore, del libro e della parola un unicum.
È probabile che il libro in futuro sarà sostituito da un medium più usabile. Già oggi si diffondono sempre più dispositivi elettronici chiamati e-Book reader o tablet che hanno la forma di un libro, ma contengono una quantità di libri equiparabile a un’intera biblioteca.
I nativi digitali sono le persone che riescono oggi a godere appieno di questo nuovo medium atto a contenere la parola. Senz’altro una parola asettica, meno coinvolgente per i sensi, una parola non più stampata, ma proiettata su uno schermo digitale, e pur tuttavia incommensurabilmente più utilizzata. Anche per il Braille si prospetta un futuro simile. Oggi il Braille si esprime anch’esso con l’elettronica e l’informatica, anche se il passaggio da un medium all’altro si realizzerà completamente solo quando la scena culturale mondiale avrà quasi solo lettori nativi digitali. In più il mondo digitale deve ancora introdurre una tecnologia che per il Braille diventerà lo spartiacque tra il Braille cartaceo-elettronico di prima e il Braille digitale del dopo, cioè gli schermi aptici in grado di offrire un nuovo e favoloso medium tridimensionale in cui realizzarsi e introiettarsi intimamente nel lettore e nella lettrice, in forme più varie del Braille tradizionale su carta.
Ma forse la scienza e la tecnica in futuro potranno donare ai ciechi anche altre meraviglie: la vista.