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Un approccio nuovo di ricerca sulla sclerosi multipla e altre patologie

Una ricercatrice al lavoroLe lipossine sono le molecole che iniziano la fase conclusiva di un processo infiammatorio acuto, innescando la successiva produzione delle resolvine, ossia delle molecole responsabili dei processi di riparazione e ripristino dell’equilibrio con l’ambiente esterno dei tessuti danneggiati. Ora uno studio internazionale, recentemente pubblicato dalla rivista scientifica «Cell Reports», ha scoperto proprio nelle lipossine un possibile trattamento che blocchi l’infiammazione riguardante la sclerosi multipla.
La sfida di utilizzare queste molecole è stata raccolta dai ricercatori della Fondazione Santa Lucia IRCCS di Roma, dall’Università di Amsterdam (Paesi Bassi) e dall’Università di Berna (Svizzera), in collaborazione anche con la Harvard Medical School (Stati Uniti), in un lavoro cofinanziato dal Ministero della Salute e dalla FISM, la Fondazione italiana Sclerosi Multipla che opera a fianco dell’AISM (Associazione Italiana Sclerosi Multipla). In tali strutture, infatti, lavorano esperti di fama internazionale delle resolvine applicate alla sclerosi multipla e la condivisione tra loro di dati e modelli sperimentali, oltre anche all’utilizzo di campioni di pazienti con sclerosi multipla, potrà accelerare il processo verso la possibile traslazione in nuovi farmaci che aiutino le persone ad affrontare la malattia.

«L’obiettivo – spiega infatti Valerio Chiurchiù, neuroimmunologo, ricercatore dell’Istituto di Farmacologia Traslazionale del CNR di Roma e della Fondazione Santa Lucia IRCCS, prima firma dello studio – è stato quello di verificare la possibile efficacia delle lipossine nel correggere quei processi immunitari autoreattivi che nella sclerosi multipla portano al riconoscimento e alla distruzione della guaina mielinica. Tale reazione autoimmune è principalmente mediata da alcune popolazioni specifiche di linfociti. I risultati dello studio hanno dimostrato l’effettiva capacità delle lipossine di modulare quelle popolazioni di linfociti autoreattivi in modelli sperimentali».

«Questo lavoro di ricerca – spiegano dalla FISM – si è basato sulla stimolazione e l’introduzione di molecole prodotte dall’organismo, le lipossine appunto, che innescano il processo di risoluzione dell’infiammazione attraverso la produzione delle resolvine. Queste molecole sono necessarie per interrompere e guarire l’infiammazione stessa che, nel caso della sclerosi multipla, è il processo scatenante della malattia. Utilizzare per nuove terapie molecole già prodotte dall’organismo (endogene) è importante, perché tende a ridurre gli effetti collaterali e ad agire direttamente sui processi naturali il cui equilibrio è stato interrotto dalla malattia, senza sopprimere il sistema immunitario».

«Si tratta – aggiungono dalla Fondazione – di un approccio nuovo alla sclerosi multipla e alle patologie infiammatorie croniche in generale, perché invece di inibire il processo infiammatorio, agisce per risolverlo utilizzando i sistemi già presenti nell’organismo. Esso deriva dalla ricerca applicata alla sclerosi multipla da parte dello stesso gruppo del Santa Lucia IRCCS in cui era stata osservata, in un lavoro pubblicato lo scorso anno, una produzione ridotta o addirittura assente di lipossine e quindi anche di resolvine, in persone con sclerosi multipla. Questo ha fornito l’idea e la base necessari per approfondire il ruolo terapeutico delle lipossine. Secondo quanto riscontrato dai ricercatori, infatti, il trattamento continuato nel tempo con le lipossine blocca l’infiltrazione dei linfociti CD4 e CD8 nel midollo spinale e le risposte autoreattive di Th1, Th17 e dei linfociti citotossici, migliorando i sintomi, il decorso della malattia e il profilo dei lipidi infiammatori in modelli sperimentali malati. Effetti simili, inoltre, sono stati osservati anche nei linfociti T estratti da pazienti con sclerosi multipla e trattati in vitro con le lipossine».

«Ora – dichiara Chiurchiù – la sfida per la ricerca è quella di capire i difetti molecolari più specifici che sono alla base della mancata produzione di lipossine, comprendendo cioè dove avvenga questo deficit, se nel sangue, nel cervello stesso o in quali cellule, e individuare il momento in cui esso viene sviluppato, se prima o dopo il manifestarsi dei sintomi della malattia. Siamo già al lavoro per rispondere a queste domande».

«Il meccanismo antinfiammatorio – concludono dalla FISM – che si ottiene utilizzando le lipossine in questa nuova strategia terapeutica potrebbe essere utile e replicabile anche su altre patologie croniche autoimmuni infiammatorie, come ad esempio l’artrite reumatoide, la psoriasi e molte altre, che vedono appunto nell’infiammazione cronica un momento fondamentale dello sviluppo delle lesioni. Questo è particolarmente importante, considerata la sempre maggiore diffusione di questo tipo di patologie nei Paesi industrializzati». (B.E. e S.B.)

Per ulteriori informazioni e approfondimenti: Ufficio Stampa e Comunicazione AISM (Barbara Erba), barbaraerba@gmail.com.

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