Deduzioni, suggestioni e suggerimenti su questa rivoluzione pedagogica

«Con la didattica a distanza – scrive l’insegnante Fernanda Fazio -, la scuola è entrata nelle case degli studenti e dei docenti, con tutti i problemi legati alle diversità di strumenti, di spazi, di connessioni, di device, di competenze tecnologiche, ma è il mondo che è entrato prepotentemente nella scuola, con tutte le sue storture, ma anche con tutte le sue immense ricchezze. E da questa vera e propria rivoluzione pedagogica indietro non si torna»

Lezione scolastica a distanza

Un ragazzo impegnato nella didattica a distanza durante il lockdown dovuto alla pandemia

L’esperienza di insegnamento a distanza ha squarciato strati e strati di ragnatele che velavano le nuove esigenze della scuola ed è emerso sotto i suoi riflettori ciò che dev’essere richiesto ai nuovi insegnanti, ciò che ci aspetta dietro l’angolo.
È vero, si deve tornare ad insegnare in presenza, per tante ragioni: perché la scuola non è solo apprendimento, ma anche socializzazione; perché l’apprendimento con i propri coetanei ha una valenza fondamentale per costruire un background condiviso; perché nel rapporto umano la comunicazione – e quindi la trasmissione e la condivisione delle conoscenze e delle competenze – viaggia solo per il 10/ 15% con le parole; perché la scuola svolge un compito sociale insostituibile di passaggio dall’infanzia all’età adulta: tutti elementi essenziali per la crescita dell’individuo, lo sviluppo della sua identità e la sua appartenenza ad un contesto.
Tutto ciò è vero, ma se fino ad ora i programmi ministeriali, lasciando l’inalienabile libertà di insegnamento al singolo docente, indicavano competenze e saperi da dover raggiungere, l’uso della didattica a distanza ha reso evidente che primo e complesso compito del docente non è più quello di far lezione e spiegare, illustrare, far capire nozioni, metodologie, storie e tecniche all’alunno. Primo e complesso compito dell’insegnante, infatti, è selezionare nel mare magnum di tutti i saperi a disposizione sul web quello che l’alunno deve visionare, sceverando le fake news, le scritture “apocrife”, le prolisse e a volte fantasiose ricostruzioni, restringendo l’immane mole di informazioni a pochi percorsi possibili, in cui non perdersi ed esercitare la curiosità giovanile, il bisogno di “scoperta”, il proprio senso critico, il proprio pensiero divergente. Un mondo in cui orientarsi complesso e non scevro di insidie.

A cosa porta tutto ciò? Durante la pandemia molti docenti e molti genitori hanno sofferto per orari incompleti, per programmazioni improvvisate, per scarso controllo dell’attenzione e degli apprendimenti attraverso lo schermo. L’intero impianto dell’inclusione, pensata come mera presenza all’interno di un contesto si è sbriciolata. Gli alunni fragili sono stati posti di fronte alla necessità di affiancamenti individualizzati, o a percorsi diversificati. Spesso le ore non erano di sessanta minuti e ciò ha suscitato sospetti e maliziosi giudizi sulla serietà del lavoro degli insegnanti. Ma dobbiamo ragionare insieme, dobbiamo con onestà intellettuale e con profonda umiltà ammettere alcune cose: nella società odierna i formatori e gli informatori si sono moltiplicati, tutti sembra possano essere, e spesso si percepiscono, insegnanti migliori di altri, le agenzie di formazione si sono moltiplicate in progressione geometrica e spesso sono divenute prioritariamente business.
Io posso spiegare Dante meravigliosamente bene, ma difficilmente arriverò alle performance di un Roberto Benigni; se devo fare una lezione di astronomia, difficilmente sarò più chiara e seduttiva di Margherita Hack; se devo spiegare la storia di Pompei e della sua distruzione, sono certa che non sarò in grado di offrire la vividezza dell’accaduto rispetto alle ricostruzioni in tre D e le animazioni che offre il web e le altre 9.999 lezioni disponibili sull’argomento, magari corredate di ricostruzioni storico-documentali? Per non parlare dei viaggi nelle profondità del mare, delle immagini dei satelliti e dei droni.
Ora un docente deve e dovrà sempre più conoscere, selezionare, scegliere, permettere ai ragazzi di indagare su territori sconosciuti e saperli affiancare in questi percorsi. E ciò e valido per tutti i ragazzi e le ragazze, per tutti i docenti.
Insomma, il tempo della lezione frontale sarà solo frutto di un immenso, aggiornato lavoro fatto a monte ed essa dovrà essere completata da un attento affiancamento nei percorsi, con l’obbligo per ciascun docente, in quanto adulto e a sua volta conoscitore della materia, di svelare le non verità, eliminare le cripticità, sfrondare le ridondanze, coltivare il senso critico rispetto a ciò che vediamo, leggiamo, a ciò che ci viene proposto come verità assoluta e inconfutabile.

Ci si chiedeva perché i docenti dovessero saper usare gli strumenti informatici, ora sappiamo che non solo gli insegnanti devono essere pratici delle tecnologie, ma, cosa ancor più importante, devono avere tempi giusti per poterle utilizzare in maniera intelligente, adeguata allo scopo, correttamente e consapevolmente. Non ha importanza quanto durerà la lezione frontale, importante e diverso sarà il tempo necessario a ciascun alunno e su quello si dovrà agire.
Si devono rivedere i tempi degli apprendimenti, delle lezioni, delle presenze e ridare significato allo “stare a scuola”. Si devono rivedere orari, numerosità dei gruppi classe, impegni formativi dei docenti e competenze da richiedere loro. Si devono rivedere modalità valutative dell’efficacia dei percorsi e i percorsi stessi.
Con la didattica a distanza, è vero, la scuola è entrata nelle case degli studenti e dei docenti, con tutti i problemi legati alle diversità di strumenti, di spazi, di connessioni, di device, di competenze tecnologiche, ma è il mondo che è entrato prepotentemente nella scuola, con tutte le sue storture, ma anche con tutte le sue immense ricchezze.

Insegnante. Componente del Comitato Tecnico-Scientifico del CTS dell’Istituto De Amicis-Cattaneo di Roma.

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