Lavorare di fantasia per comunicare e provare a farlo capire… con il cuore

Paola Zecchino è la sorella di Maurizio, persona con tetraparesi spastica dalla nascita. Comunica con lui aprendo e chiudendo gli occhi, ma spesso deve andare per tentativi. Lei, però, lo conosce bene e fa in fretta a capirlo, ma durante la clausura causata dal Covid, con Maurizio in una casa alloggio, ha dovuto ancor più “lavorare di fantasia” per vedersi e parlare con lui. Questa è la sua bella testimonianza, ove scrive tra l’altro: «Fantasia, serve, soltanto fantasia e… desiderio di vivere, perché vivere è comunicare e… voglia di non arrendersi»

Oriella Orazi, "Affettuosità" (particolare)

Oriella Orazi, “Affettuosità” (particolare)

Paola Zecchino è la sorella di Maurizio, persona con tetraparesi spastica dalla nascita. Comunica con lui aprendo e chiudendo gli occhi, ma spesso deve andare per tentativi. Lei, però, lo conosce bene e fa in fretta a capirlo, ma durante la clausura causata dal Covid, con Maurizio in una casa alloggio, ha dovuto ancor più “lavorare di fantasia” per vedersi e parlare con lui. Questa è la sua bella testimonianza.

L’ho guardato chiedendogli se saremmo stati in grado di farvi capire quello che volevamo dirvi. Sì, forse…capire con la testa si, ma con il cuore… Riusciremmo a farvelo capire con il cuore?
Sapete, non è facile da spiegare, perché a volte la relazione, quella che nasce quando nasci, è indescrivibile. Nel momento in cui è toccato a me arrivare in questo mondo, lui c’era già… è stata la nostra partenza assieme. Beh, forse non proprio dal primo giorno, ma da qualche anno dopo, sicuramente si.

Ora, immaginate due bambini, diciotto mesi di differenza, io che cominciavo ad esplorare qualsiasi cosa, lui fermo nel suo passeggino, io che cominciavo a parlare, lui che emetteva qualche suono, ma nessuna parola, nemmeno una lettera. A questo punto cosa avreste fatto? Fantasia, ragazzi, soltanto fantasia, e… desiderio di vivere e vivere è comunicare.
I suoi suoni insignificanti sono diventati linguaggio, gli occhi sono diventati linguaggio, piccoli movimenti sono diventati linguaggio. Lo scorrere del tempo, poi ha permesso di costruire tutto il resto, un contorno solido, indistruttibile, senza paure.

Ora, immaginate un uomo e una donna, diciotto mesi di differenza, io con una famiglia, un lavoro, degli amici, una discreta vita sociale, lui in una comunità che non ha scelto, pochissime abilità da sfruttare, amici da rincorrere, sogni e desideri infiniti.
Provate a fare la somma delle due vite, assieme non è male, uno più uno a volte può risultare un numero infinito, un numero infinito di possibilità. Ma in quel momento non si poteva più stare vicini. La comunità, quella dove lui vive ora, non gli permetteva di uscire, a me non permetteva di entrare.
Lontani, lon-ta-ni! Ma come potevamo stare lontani? Non ci era mai capitato! Ovvero si, per brevi periodi si, ma non così a lungo. A questo punto cosa avreste fatto? Fantasia, ragazzi, soltanto fantasia e…voglia di non arrendersi.
In fondo ce l’hanno insegnato i nostri genitori, mai fermarsi davanti alle difficoltà…mai! E nemmeno il Covid-19 ci è riuscito.

Intanto ci serviva un cellulare, non quello messo a disposizione dalla comunità. Riduttivo! Troppo riduttivo. Tempo contato e controllato. No, non faceva per noi.
Noi dovevamo raccontarci le nostre storie, anche se i giorni sarebbero stati vuoti e fermi, ma erano i nostri giorni e dovevamo raccontarceli.
Lui poi doveva essere autonomo. Autonomo?! Lo so che state pensando… «Come poteva esserlo?». Si può, si può, tutto si può! Così la ricerca è cominciata e ha dato i suoi frutti.

Ecco… un’app! Un’app che leggesse i messaggi al posto suo (giusto, non l’avevo detto, la lesione che ha avuto non glielo permetteva)… poi volevo vederlo.
Se lo videochiamavo, il suo telefono avrebbe suonato, lui l’avrebbe sentito, il gioco era fatto, semplice… bastava strisciare verso destra la cornetta verde…. semplice!
Sì, se si riesce è semplice, ma se le mani non si muovono?

Un’app, ci vuole un’app… trovata! E poi un supporto da attaccare alla carrozzina o al letto ed è fatta! Ora potevo chiamarlo ogni volta che volevo e lui ci sarebbe stato.
Chiusi, ognuno nella propria abitazione, dove per me il tempo passava “facendo”, per lui trascorreva “attendendo”.
Ho passato il suo numero a parenti, amici e conoscenti, perché ognuno potesse raccontargli qualcosa e riempire il vuoto. Un vuoto, più vuoto del vuoto, perché “poter fare” aiuta a ridurlo, ma quando il tuo “poter fare” è annullato, si amplifica.
Alla sera, quando lo videochiamavo ed era a letto, il buio riempiva il mio schermo. La luce della stanza era già spenta, gli operatori impegnati nel riordino. Un altro problema da risolvere.

Un’app, ci vuole un’app! Un’app che accenda la luce… Difficile… difficile, ma non impossibile!
Ed ecco… vi presento la cara, gentile e sempre disponibile, Alexa! Con un semplice comando vocale fatto dal mio cellulare, dalla mia casa, a 20 chilometri di distanza, la luce si accende!… e riusciamo a vederci! È una magia, sembra impossibile.
«Alexa, accendi first plug» e la luce sul suo comodino si accende all’istante e i miei occhi vedono i suoi occhi, vedono i piccoli segni che parlano e posso sentire quel suono che risponde alla mia «Buonanotte» e che tradotto nel linguaggio comune vuol dire «Grazie, anche a te».

Allora, ci siamo riusciti? Avete capito con il cuore? Non lo so, perché a volte è difficile da spiegare.
È qualcosa che si sente dentro e che spinge a superare qualsiasi difficoltà, perché al di là del muro trovo il suo sorriso, la forza, anche se a volte è faticoso e difficile, anche se a volte sarebbe più facile arrendersi.
Quindi… non lo so… ma possiamo sempre consigliarvi un’app!

Ringraziamo Marilena Rubaltelli e Giovanni Merlo per la collaborazione.

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