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La pandemia di chi non è autosufficiente e che rischia più degli altri

Donna con la mascherina in una stanza buiaPochissime parole vengono spese per raccontare la quotidianità in pandemia di chi non è autosufficiente. Prima di tutto c’è la paura di contagiarsi. Una paura che prescinde dal timore per la propria salute. Anche se vaccinati con tre dosi e sapendo con buona probabilità di non avere comunque la malattia in forma grave, con la variante Omicron la possibilità di infettarsi non può essere esclusa. In quel caso, chi dipende dall’aiuto degli altri, non può isolarsi. E quindi, l’ossessione è: nel caso, che faccio? Come mi organizzo? Chi entrerà comunque in contatto con me? E se si contagia? E se si ammala? E se sta male per questo? È un’angoscia vera.

Poi c’è la fatica di riorganizzare costantemente le misure di protezione per stare al passo col virus. Al di là dell’ovvio rispetto delle regole, si possono limitare i contatti sociali per evitare la difficile situazione descritta qui sopra. Chi non è autosufficiente, però, non può proprio evitare di avere persone che frequentano la propria casa per l’assistenza quotidiana. Persone che, anche se vaccinate già con la terza dose, entrano ed escono per darsi il cambio, tornano nelle loro famiglie, più o meno numerose, e hanno una loro vita su cui, ovviamente e giustamente, non si può avere nessun controllo. Solo la speranza che stiano attente. Persone con cui si sta a contatto stretto. Si può tenere entrambi la mascherina, certo, ma non sempre. Quando ti lavi i denti, ti fai la doccia ecc., tu che hai bisogno di aiuto sei senza protezioni. Si possono anche fare tamponi periodici, ma con l’altissima circolazione del virus dovuta a Omicron, resta comunque un rischio e si può solo sperare che vada tutto bene.

Qualcuno penserà: beh vale per tutti. Nessuno ha certezze. Ovvio, lo so. La differenza, però, è che per chi non è autosufficiente non c’è scelta. Anche volendo, non si è in grado di isolarsi e si è obbligati ogni giorno a correre un rischio in più, a prescindere.
Lo racconto solo perché i media troppo spesso non lo fanno e credo, invece, sia necessario dare voce alla fatica estrema di migliaia di persone che, quando sperano come tutti in un ritorno alla vita “normale”, hanno in mente una normalità che era già molto complicata.
Dopo due anni, per quanto si eserciti la propria capacità di adattamento (posso assicurarlo, già molto elevata), si comincia davvero a fare tanta fatica.

Vorrei che, almeno per un attimo, pensasse a quelle persone, pensasse a noi, chi decide di non vaccinarsi, di non rispettare le norme di precauzione, prima fra tutte l’uso della mascherina, chi insomma non fa la propria parte per cercare in tutti modi di uscire dall’emergenza.

Deputata, avvocata e delegata per l’accessibilità a Milano. Il presente contributo è già apparso nel sito di Informare un’H-Centro Gabriele e Lorenzo Giuntinelli di Peccioli (Pisa) e viene qui ripreso, con minimi riadattamenti al diverso contenitore, per gentile concessione.

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