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La bella favola di Mustafà e della sua famiglia: ora la sfida dell’integrazione

Mustafà e Munzir a Roma, gennaio 2022

Mustafà in braccio al papà Munzir, all’arrivo all’Aeroporto di Roma

Un “saccottino” che gioca rotolando, dopo essere stato trattenuto in aria dal papà. La storia di Mustafà al-Nazzal, il bimbo siriano di 5 anni nato mutilato a causa di un bombardamento chimico a Idlib, è una favola di gioia contro ogni destino avverso.
Lo avevamo visto nella foto di Mehmet Aslanche ha fatto il giro del mondo e che ha vinto il Siena Photo Awards, lui tra le mani del papà Munzir, anch’egli mutilato e privo di una gamba, come conseguenza di un bombardamento. E già in quell’immagine, scattata in un campo profughi e figlia della guerra, che sempre e ovunque risulta spietata, ciò che mancava a entrambi finiva in secondo piano rispetto a quanto c’era in modo strabordante: la carica di amore tra un padre e un figlio.

Da allora, sull’onda emotiva, si è messa in moto la macchina della solidarietà. E si sa che in queste situazioni “da cuore in mano” l’Italia è sempre in prima fila: Mustafà e papà Munzir, insieme con la mamma Zeynep e le due sorelline, sono potuti arrivare in questi giorni in Italia, ospiti per il momento della Caritas di Siena, ma ben presto accolti al plurielogiato Centro Protesi INAIL di Vigorso di Budrio (Bologna), dove potranno avere le protesi personalizzate per cominciare una nuova vita, in una Regione attenta al welfare come l’Emilia Romagna.

Prima della partenza, un bel servizio televisivo dell’inviata RAI Lucia Goracci ha filmato tutta la famiglia mentre lasciava le proprie cose e si avviava all’aeroporto: tutti sorridenti, entusiasti e Mustafà che salutava e mandava baci con i suoi moncherini.
«Grazie Italia, un giorno visiteremo anche le vostre città piene di storia», ha detto il padre. Una lezione di ottimismo per il futuro, pur con quel poco che si ha o è rimasto, che serve alla nostra società, depressa anche se “in pace”.

Il potere di un’immagine ha tirato fuori dalla tragedia una famiglia tra i milioni di profughi vittime della guerra. Anche questa favola non porterà giustizia, ma un senso di consolazione e per noi italiani uno scatto di orgoglio: all’affezione e all’empatia per questo bambino si aggiunge la capacità tecnologica che fa del nostro Paese un’eccellenza nel campo degli ausili per la disabilità.
Ma in futuro la sfida sarà più complessa: dovremo dimostrare a Mustafà, a papà Munzir e a tutta la sua famiglia che l’Italia è un Paese in cui l’integrazione è possibile: la dobbiamo volere e richiedere noi, la devono cercare le persone che vogliono stabilirsi nel nostro Paese. Li abbiamo adottati, l’impegno è che in futuro diventino nostri concittadini.

Il presente contributo è già apparso in “InVisibili”, blog del «Corriere della Sera.it» (con il titolo “La favola di Mustafà, una sfida che va ben oltre le protesi”). Viene qui ripreso, con minimi riadattamenti al diverso contenitore, per gentile concessione.

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