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Altre riflessioni sulle parole della disabilità uditiva

Nadia Bossolan, "Un orizzonte di parole" (©PitturiAmo)

Nadia Bossolan, “Un orizzonte di parole” (©PitturiAmo)

Nello spirito di pluralismo che ha sempre caratterizzato la nostra testata, che è quello di dare spazio su determinati argomenti anche a opinioni tra loro dissonanti, riceviamo e volentieri pubblichiamo.

Nell’Opinione recentemente pubblicata da «Superando.it», con il titolo Quelle troppe parole inappropriate sulla sordità, a firma dei rappresentanti di LIS Subito! e di Emergenza Sordi e in riferimento a come gli organi d’informazione hanno parlato del film I segni del cuore – Coda, vincitore del Premio Oscar, si propone in modo molto insistente e aggressivo l’uso obbligatorio della parola “sordo” invece della definizione “sordomuto”, a nostro parere semplificando in modo scorretto la problematica di questa disabilità.
Fortunatamente, infatti, la maggior parte dei giovani sordi hanno potuto frequentare le scuole insieme a bambini udenti, potendo quindi imparare la lingua italiana e anche a farlo bene, grazie all’aiuto di ausili e logopedia. Sono quindi sordi, ma parlanti e non muti.
Ora sarebbe facile se per merito di una legge si riuscisse a eliminare un’invalidità, ma questo non è. In quel contributo, infatti, non si tiene conto di quelle persone sorde che, nate prima degli Anni Settanta, sono state quasi tutte inserite nei vari collegi italiani, i quali hanno insegnato loro esclusivamente la Lingua dei Segni, da loro conosciuta alla perfezione, ma che non consente di acquisire culture e informazioni attuali. Unica eccezione è con tutta probabilità il sordomuto Mario Parisella, ideatore e gestore del nostro sito [Sordinoline.com, N.d.R.], che da solo e senza prendere alcuna laurea, è riuscito ad arrivare a livelli molto alti nella conoscenza dell’informatica, a  differenza di tanti “sordi” laureati, ma che a quanto pare non hanno acquisito semplici regole di sensibilità verso gli altri.
Citare dunque la Legge 95/06 [“Nuova disciplina in favore dei minorati auditivi”, N.d.R.] non lo riteniamo corretto, in quanto quella norma non abolisce la parola sordomuto, ma la sostituisce con sordo solo negli atti ufficiali, quali i documenti e gli accertamenti d’invalidità.

Le pagine di «Superando.it» sono naturalmente sempre aperte a ogni eventuale replica motivata e costruttiva.

Un ulteriore contributo alla riflessione
Per fornire un ulteriore contributo di approfondimento a quanto espresso nella presente Opinione, riteniamo opportuno riportare quanto scritto a suo tempo sulle nostre pagine da Antonio Cotura, presidente nazionale della FIADDA (Famiglie Italiane Associate per la Difesa dei Diritti degli Audiolesi), nell’approfondimento intitolato I termini della disabilità uditiva: linguaggio corrente e linguaggio giuridico: «La Legge 95/06 era indispensabile per correggere gli errori della precedente Legge 381/70 [“Aumento del contributo ordinario dello Stato a favore dell’Ente nazionale per la protezione e l’assistenza ai sordomuti e delle misure dell’assegno di assistenza ai sordomuti”, N.d.R.]. Contestualmente, però, va notato che per molte persone sorde preverbali, ovvero sorde dalla nascita e dai primi tre anni di vita, che probabilmente avevano frequentato scuole speciali per sordomuti e sordastri, ormai abituate non solo linguisticamente, ma anche culturalmente, alla denominazione di persona sordomuta, la proposta di definirsi solamente come “persona sorda” possa avere determinato una certa insoddisfazione, se non addirittura fastidio e irritazione. Ed è legittimo che esse possano definirsi “sordomute” se lo desiderano, ma deve essere chiaro anche a loro che questa definizione non è corretta sotto il profilo giuridico, per quanto premesso, e che dunque tale termine non può essere adottato superficialmente in nessun testo di legge o provvedimento, ma può essere naturalmente usato nel linguaggio corrente e non da addetti e professionisti in materia».

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