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Persone con disabilità e pandemia: una ricerca che ha aperto una strada

Persone con disabilità durante le prime fasi della pandemia

Persone con disabilità durante le prime fasi della pandemia

Una preziosa strada di ricerca è stata aperta dalla rimarchevole indagine i cui risultati sono stati pubblicati in questi giorni nel documento intitolato I diritti delle persone con disabilità nel contesto di una crisi sanitaria. Apprendere dalla pandemia di Covid-19 e andare verso le migliori pratiche che garantiscano il loro pieno esercizio (disponibile integralmente a questo link).
Si tratta di un lavoro che avevamo presentato qualche tempo fa sulle nostre pagine, nato da un’iniziativa di Patrick Fougueyrollas della Facoltà di Scienze Sociali dell’Università canadese di Laval (Dipartimento di Antropologia), con il coinvolgimento di Canada, Francia e Italia.
In tale àmbito, e grazie al supporto della Fondazione Cariplo, l’organizzazione FONOS (Fondazione Orizzonti Sereni) – nata nel 1994 per cercare una risposta ai molteplici interrogativi che si presentano alle persone con disabilità, in particolare a quelle adulte e alle loro famiglie, basandosi sul rispetto della loro piena personalità, dei loro diritti alla massima qualità di vita, nonché alla tutela dei loro diritti umani – ha sviluppato un proprio progetto, in collaborazione con DPI Italia (Disabled Peoples’ International), il cui già citato rapporto conclusivo, presentato a fine aprile nel corso di un evento pubblico, è stato curato da Luisella Bosisio Fazzi, presidente di FONOS, Rita Barbuto, direttrice di DPI Italia, Giampiero Griffo, condirettore del CERC (“Robert Castel” Centre for Governmentality and Disability Studies dell’Università Suor Orsola Benincasa di Napoli), nonché presidente di DPI Italia e da Alessandra M. Straniero, ricercatrice in Didattica e Pedagogia Speciale preso il Dipartimento di Matematica e Informatica dell’Università della Calabria. Un rapporto – e anche l’intera ricerca – segnatamente dedicato a Rita Barbuto, recentemente e prematuramente scomparsa, con parole degne senz’altro di essere ricordate: «A Rita Barbuto, che ci ha lasciati durante questa ricerca. Il perenne ricordo della sua competenza e della sua umanità rimarrà per sempre nei nostri cuori».

Basato dunque su elementi diretti, analizzati guardando ai dati generali forniti dal Governo e dalle Regioni, anche con il supporto dell’ISTAT, nonché su elementi emersi da altre Istituzioni Pubbliche e Private, utilizzando inoltre vari articoli giornalistici (di carta e online), il rapporto conclusivo si è fondato anche e soprattutto su  una “ricerca sul campo”, tramite un questionario online che ha raccolto qualche centinaio di risposte. «Analogamente a quello che è avvenuto in altri Paesi – si legge nell’Introduzione – il quadro complessivo è la conferma dell’invisibilità della popolazione con disabilità all’interno dei servizi di emergenza, della scarsa attenzione, se non della discriminazione, nelle azioni di triage sanitario, degli innumerevoli problemi che le persone con disabilità e le loro famiglie hanno dovuto affrontare durante la pandemia».

Nelle Conclusioni e Raccomandazioni conclusive si legge poi: «In momenti di crisi risorgono stigma atavici, valutazioni sul valore di persone che hanno caratteristiche socialmente indesiderabili, trattamenti differenti che colpiscono le persone con disabilità nei loro diritti. Finché saranno relegati in servizi speciali, lontani dal vissuto ordinario della società, rimarranno cittadini invisibili, destinati a trattamenti in luoghi speciali e separati; finché non faranno parte realmente della società e le politiche di mainstreaming non si occuperanno delle persone con disabilità, saranno sempre sottoposti a rischi maggiori di limitazione dei loro diritti e trattamenti differenti senza giustificazione, che spesso violano i diritti umani».
E successivamente: «La visibilità e la promozione di azioni di denuncia e di proposte deve essere un momento essenziale dell’opera delle associazioni e federazioni, ma anche la capacità di proporre una riflessione critica sulle politiche a loro indirizzate. [Applicando pienamente] la Convenzione sui Diritti delle Persone con Disabilità delle Nazioni Unite, ratificata dall’Italia nel 2009 [Legge 18/09, N.d.R.] e da 183 Paesi aderenti all’ONU (il 94,8% di essi), le persone con disabilità devono godere del diritto all’autodeterminazione e alla vita nella propria comunità, beneficiando di tutte le politiche generali, legate allo sviluppo e al benessere».

Nell’auspicare, quindi, come annotavamo inizialmente, che la strada dello «studio degli effetti della pandemia sulle persone con disabilità e loro famiglie» possa contare su «ulteriori ricerche e approfondimenti, dato il limitato numero di studi realizzati», particolarmente significative sono le Raccomandazioni proposte, che qui di seguito sintetizziamo:
«L’Italia deve passare da un welfare di protezione, che non ha protetto le persone con disabilità, ad un welfare di inclusione, di prossimità territoriale e partecipazione, basato sull’applicazione della Convenzione ONU, ciò che oggi sta avvenendo con la Legge Delega in materia di disabilità (Legge 227/21)».
È necessario «includere le associazioni di persone con disabilità all’interno del sistema di protezione civile contro le emergenze e per gli aiuti umanitari, come prevedono i documenti internazionali sul tema, impedendo che l’invisibilità delle persone con disabilità evidenziata dalla pandemia non abbia a ripetersi e si approntino le misure appropriate». Come del resto si può vedere anche oggi, «sia con i migranti con disabilità che ora con i rifugiati ucraini con disabilità, che stanno scontando l’impreparazione del nostro sistema di protezione civile a sapere affrontare e rispettare i loro diritti umani in emergenza».
E ancora, bisogna «promuovere il mainstreaming dei diritti delle persone con disabilità in tutte le politiche generali, perché sono cittadini come gli altri e devono beneficiare dello sviluppo della società, come indicano gli Obiettivi per lo Sviluppo Sostenibile delle Nazioni Unite».
Sulla questione delle strutture segreganti e delle pratiche istituzionalizzanti, che «sovente violano i diritti umani», si sottolinea trattarsi di «un tema bioetico importante, tant’è che il Garante Nazionale dei Diritti delle Persone Detenute o Private della Libertà Personale ha raccomandato di incrementare i controlli, mostrando ancora una volta che le segregazioni in luoghi speciali e separati dalla società sono soluzioni che possono portare a violazioni di diritti umani, a trattamenti inumani e degradanti, e che la società dovrebbe attivarsi per trovare soluzioni alternative, rispettose della vita di qualità e adeguate a mantenere contatti con le comunità cui appartengono».
E quindi, «le persone con disabilità non devono essere più oggetto di decisioni prese da altri, bensì il soggetto del cambiamento e laddove partecipino in maniera competente alle discussioni pubbliche, tecniche e politiche, producono innovazione». A tal proposito, vanno promosse «campagne informative e comunicative sui diritti e i contributi che le persone con disabilità possono offrire all’intera società (articolo 8 della Convenzione ONU), consapevoli che, come ricorda l’Organizzazione Mondiale della Sanità, nell’arco di una vita tutti i 7 e più miliardi di persone che abitano la terra hanno vissuto, vivono e vivranno condizioni di disabilità: è pertanto una convenienza per tutta la società promuoverne e tutelarne i diritti». (S.B.)

Ricordiamo ancora il link al quale è disponibile il rapporto I diritti delle persone con disabilità nel contesto di una crisi sanitaria. Apprendere dalla pandemia di Covid-19 e andare verso le migliori pratiche che garantiscano il loro pieno esercizio. A quest’altro link, inoltre, è disponibile la registrazione dell’evento pubblico del 29 aprile scorso, durante il quale è stato presentato il rapporto stesso.

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