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L’audiodescrittore: identikit di un professionista

AudiodescrittriceL’audiodescrizione, o “AD” per gli addetti ai lavori, è quello strumento che permette la fruizione di prodotti audiovisivi da parte di persone cieche o ipovedenti, e consiste nell’elaborazione di un testo originale e inedito che verrà letto da uno speaker, sfruttando le pause della colonna audio per descrivere ciò che accade in scena. Per quanto sintetica, questa definizione porta alla luce tre concetti fondamentali, ovvero che si tratta di un testo da ascoltare (e non da leggere), che il tempo per l’esposizione è limitato, e che bisogna scegliere cosa descrivere. Dall’analisi di questi tre aspetti, emerge quello che, se fossimo in un giallo, potremmo chiamare “identikit dell’audiodescrittore”.

Riguardo al primo concetto preso in esame, sarebbe interessante soffermarsi sulle differenze tra lingua scritta e parlata che, come osserva Sant’Agostino (maestro fra i maestri), aprono uno spiraglio sull’essenza del pensiero e della memoria, ma, senza troppe digressioni, si può notare che quello dell’audiodescrizione è un testo “ibrido”, proprio come i copioni teatrali o certe poesie che mal sopportano la prigionia della carta. La sua natura bifronte, infatti, impone dei limiti piuttosto severi: l’autore deve scegliere in quali momenti riportare determinate informazioni, ma non può modificare la propria strategia comunicativa in corso d’opera basandosi sulla reazione del pubblico; deve mantenere la correttezza formale dello scritto attingendo a vari registri e, al contempo, preferire i periodi semplici e immediati dell’oralità. Inoltre, dato che il testo dovrà essere letto, l’audiodescrittore farà attenzione al giusto ritmo e alla pronunciabilità delle frasi, evitando quindi allitterazioni, rime e cacofonie. Tali necessità cominciano a delineare i contorni di un professionista che, innanzitutto, conosce in maniera approfondita la lingua, in particolar modo nell’insieme di lessico, grammatica e prosodia.

Un ulteriore tassello dell’identikit viene aggiunto dalla questione relativa alle pause usate per descrivere quanto accade in scena. Persino una penna esperta impallidirebbe davanti al potere dell’immagine che, in appena un istante, offre allo spettatore più informazioni di quante basterebbero ad affaticare la gola del più loquace cantastorie. Ciò non fa paura all’audiodescrittore il quale, forte di un lessico vasto e di una grammatica che gli è amica, sa scegliere la parola giusta al posto di una perifrasi inutilmente arzigogolata ed eliminare le parti del periodo che rubano qua e là preziosissime sillabe. A volte, però, questo non è sufficiente: bisogna usare l’artiglieria pesante, ovvero il lato “nascosto” delle parole, le loro occulte connessioni al mondo dei fatti e degli oggetti.
Grazie a un uso oculato delle figure retoriche e degli altri artifici narrativi, come l’ecfrasi* o l’ipotiposi*, l’autore può sfruttare al meglio spazi brevi e lunghi per restituire, a chi può solo ascoltare, una replica fedele dell’informazione originale e annettervi, dove necessario, un’impronta di emozione coerente all’intenzione del prodotto. Viene da sé che l’audiodescrittore, il cui profilo professionale è ormai quasi completo, deve avere a propria disposizione un vero arsenale di tecniche narrative, per usarle quando opportuno ed evitarle dove superfluo.

Le parole “opportuno” e “superfluo”, almeno in astratto, fanno capo a concetti fin troppo soggettivi per interessare un mestiere che crea ausili rispettando delle norme che garantiscono la più vasta fruibilità del prodotto. Tuttavia, si può definire senza troppe controversie cosa sia opportuno e cosa sia superfluo, tenendo a mente l’obiettivo, ovvero descrivere cosa avviene in scena.
Nell’episodio di un’ipotetica serie TV, si potrebbero vedere due protagonisti seduti al tavolo di un bar: lei sorseggia del caffè e legge un libro, mentre lui fruga nelle tasche della giacca ed estrae un anello. I due non sono gli unici personaggi in scena: ci sono tre camerieri, una ventina di comparse e persino due piccioni che razzolano fra i tavoli all’aperto, ma non sono rilevanti perché non partecipano direttamente allo svolgersi della trama. Certo, sarebbe tutt’altra storia se uno dei camerieri versasse della polvere nella bibita destinata al nostro protagonista o se i due piccioni scorrazzassero fra i tavoli al chiuso. Come già detto, il tempo di cui si dispone per descrivere l’azione è ridotto, e per questo l’audiodescrittore deve avere ben chiaro a cosa dare priorità.
Non sempre, però, è così semplice capire cosa partecipa all’azione o quali informazioni (tra le innumerevoli fornite in appena un istante dall’immagine) è necessario riportare per garantire la comprensione della trama, e per questo l’audiodescrittore deve avere anche delle competenze che gli permettano di capire e riconoscere la lingua del cinema o di tutto ciò su cui sta lavorando; perché tutto si può audiodescrivere, non solo i film o le serie TV, maanche gli spettacoli teatrali, i balletti, le competizioni sportive, le mostre e molto altro.
Sarebbe sciocco rimarcare, per esempio, l’importanza del cinema, che dimora nel Parnaso come undicesima musa (o decima per chi vuole spodestare Saffo dal posto riconosciutole nientemeno che da Platone), ma solo comprendendo quanta parte del sapere moderno viaggia su mezzi audiovisivi, ci si può rendere conto di quale odiosa privazione sia non potervi accedere.
Oggi, le audiodescrizioni sono il miglior ausilio a disposizione di persone cieche o ipovedenti, e solo un professionista altamente formato può produrne. Si tratta di un’affermazione ambigua, che intendo spogliare subito di eventuali connotazioni elitarie perché questo intervento parla di istruzione e accessibilità; due tra i concetti più inclusivi che esistano. Questo ambito lavorativo sta affrontando profondi cambiamenti, pochi dei quali, purtroppo, rivolti al miglioramento. Un’intera categoria di lavoratori sta lottando per retribuzioni eque e orari di lavoro accettabili, mentre la sorda (ma inoppugnabile) urgenza della produzione porta sì a rapidi avviamenti di carriera, ma anche a deludenti passi indietro, come la mera traduzione delle audiodescrizioni provenienti da altri Paesi; una pratica inaccettabile, questa, che in nome della rapidità ignora le reali esigenze dei fruitori.
Oggi come non mai, è necessario che le nuove generazioni di audiodescrittori siano preparate e consapevoli perché, in fondo, l’aspetto più importante che possiamo riscontrare nell’identikit del nostro audiodescrittore è comune a tutte le altre figure professionali altamente formate: il desiderio inestinguibile di continuare a imparare.

*In retorica, l’ecfrasi è la descrizione di un luogo o di un personaggio che viene inserita in un contesto narrativo quando viene sospeso il racconto del corso degli eventi; l’ipotiposi, invece, è una figura retorica consistente nella rappresentazione vigorosa, immediata, essenziale di un oggetto o di una situazione.

Laura Giordani lavora nel settore del doppiaggio dal 1987 come responsabile dell’Ufficio Edizione. È adattatrice dialoghista cinetelevisiva AIDAC (Associazione Italiana Dialoghisti Adattatori Cinetelevisivi), audiodescrittrice per non vedenti di prodotti audiovisivi, teatrali, sportivi e museali, oltreché scrittrice di romanzi: attualmente è al lavoro sulla stesura del suo quarto libro e del suo primo manuale.

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