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Il PNRR e il lavoro delle persone con disabilità

Giovane in carrozzina fotograftao di spalle in un ufficio

È arrivato l’autunno e chi ha terminato la scuola superiore, magari va all’università o va al lavoro, gli altri, comunque, si organizzano la propria vita e la propria  quotidianità. Non è così per gli ex studenti con disabilità: per loro, infatti, spesso inizia la “fase divano”. Restano in casa, spesso soli, senza sapere come occupare il loro tempo, in attesa del rientro dei genitori dal lavoro. Mentre i genitori escono con l’ansia di pensarli soli in casa, senza stimoli e socialità, e senza sapere quanto durerà questa situazione.
«…quando andava a scuola, sapevamo dov’era ed eravamo tranquilli. Era uno studente come tutti. Anche se era difficile definirla inclusione, stava comunque con i suoi coetanei. Ora non sarà più così. Siamo angosciati dall’idea che possa regredire, che si isoli dal mondo, che dipenda sempre più da noi, che non abbia un’occupazione…»; «…ci sentiamo impotenti e non sappiamo come muoverci. Nessuno ci aiuta!…»; «…ci angoscia vederlo vivere un giorno dopo l’altro nell’inedia e nell’attesa che noi rincasiamo. Si alza sempre più tardi. Guarda la televisione, gioca con la play station. Mangia quello che gli prepariamo, poi riprende a guardare la televisione. Va a letto sempre più tardi…». Molti, invece, cominciano a manifestare problemi comportamentali che spesso sfociano in veri e propri disturbi psichici, altri frequentano dubbie compagnie con rischio di devianza.

Moltissime famiglie con figli con disabilità vivono queste situazioni in ansia perenne, privi di prospettive certe, incapaci di orientarsi nel mercato del lavoro e dei servizi. Questa è la vita di tanti! Queste sono le ansie di troppi. Condannati da una società disattenta e da una classe politica presente solo a parole. E non si dica che non ci sono alternative! Le soluzioni ci sarebbero, ma i soggetti preposti, gli enti accreditati, e le parti sociali interessate non hanno né la volontà né le necessarie competenze per occuparsene. Nella migliore delle ipotesi nascono progetti locali promossi dal Collocamento Disabili, dalla Regione o da qualche Ente non profit, ma i progetti finiscono e lasciano i partecipanti nelle condizioni di prima. Eppure non ci vorrebbe molto a mettere a sistema una transizione scuola/lavoro.
Sarebbe sufficiente incaricare uno psicologo e un pedagogista opportunamente preparati, nominati dalla scuola o dal Collocamento Disabili, con il compito di contattare tutti gli studenti con disabilità che frequentano l’ultimo anno del percorso scolastico, e verificare: il possesso dei verbale di invalidità percentualizzato, valutandone il potenziale lavorativo e orientandoli al lavoro.
Per i giovani che necessitano di una formazione al lavoro sarebbe opportuno disporre di percorsi formativi della durata di otto/nove mesi da svolgersi presso le Cooperative Sociali, le Associazioni ecc., che dispongono di laboratori o attività lavorative adeguate. In particolare l’esperienza si trasforma in un percorso di formazione al lavoro che consente una reale valutazione del potenziale lavorativo del giovane, nonché agli operatori di attivarsi al fine di trovare una proposta di inserimento al lavoro mirata.
Questa è una buona prassi già sperimentata e messa a regime dal Collocamento Disabili di Lecco nel 2012, che diede ottimi risultati a basso costo. Spetta quindi alla Scuola, alle Regioni, all’ANPAL (Agenzia Nazionale Politiche Attive Lavoro), raccordarsi per promuovere su tutto il territorio nazionale un’analoga progettualità e farsi promotori coerenti con quanto declinato nelle Linee Guida per il collocamento mirato. Manca però una reale volontà politica di affrontare questa grave contraddizione sociale. A questo si aggiunga anche l’assenza di personale adeguatamente preparato.
Per questa ragione è necessario disporre di una figura professionale adeguatamente preparata, un operatore in grado di seguire l’orientamento scolastico, il ri-orientamento, l’orientamento al lavoro, e favorire lo sviluppo delle autonomie e dei prerequisiti lavorativi necessari per realizzare un progetto di vita che preveda il lavoro in età adulta. Al contempo, vista la conoscenza del mondo del lavoro, sosterrà la scuola nella ricerca personalizzata e mirata dei contesti dove svolgere gli stage.
Tale ruolo può essere attribuito agli insegnanti di sostegno, agli operatori degli Enti accreditati al lavoro o al personale del Collocamento Disabili. Quindi personale già dipendente dei vari Enti, che dovrebbe essere solamente formato ad hoc.

Per tutte queste ragioni, l’ANDEL (Agenzia Nazionale Disabilità e Lavoro), in collaborazione con  l’Università E-Campus, cui si stanno aggiungendo altri Enti formativi, intende promuovere la formazione della figura professionale del Disability Job Supporter per la scuola/lavoro, con un programma incentrato su: orientamento  e riorientamento scolastico; apprendimenti utili per l’accesso al lavoro; ricerca e personalizzazione degli stage; valutazione funzionale; orientamento al lavoro; transizione scuola/lavoro; ruolo dei servizi.
Non illudiamoci, però, non ci sarà nessun cambiamento se la scuola non disporrà in futuro di una figura professionalmente preparata e continuamente aggiornata in tema di lavoro. Questa è una buona prassi possibile, ma non aspettiamo che qualcuno se ne occupi, se non verrà sollecitato dai diretti interessati. Non aspettiamo la realizzazione delle promesse contenute nelle ultime norme per il collocamento delle persone con disabilità. Ricordiamoci e ricordiamo ai nuovi personaggi della politica, che i fondi del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza sono anche per il lavoro alle persone con disabilità e non solo per la loro assistenza!

Già responsabile del Collocamento Disabili e Fasce Deboli della Provincia di Lecco è oggi direttore generale dell’ANDEL (se ne legga la presentazione sulle nostre pagine), l’Agenzia Nazionale Disabilità e Lavoro (marino.botta@andelagenzia.it).

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