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Quel Ministero dell’Istruzione e “del Merito” e l’inclusione scolastica

Alunna con disabilità in una classe di scuolaTra le novità del nuovo Governo, quella che sta agitando il mondo della scuola è la denominazione del Ministero che al termine “dell’Istruzione” fa seguire “e del Merito” [a questo link, in altra parte del nostro giornale, vi è l’elenco completo dei Ministeri del nuovo Governo, N.d.R.].
Si è levato un coro di interpretazioni, talora contrastanti e mi sforzerò di partecipare al dibattito, ricorrendo al tradizionale schema utilizzato in filosofia e pure per le sentenze della giurisprudenza, che fa riferimento a tesi, antitesi e sintesi.

La tesi
Molti sostengono che, trattandosi di un Governo di destra, ciò significa che d’ora in poi si punterà a trasformare la scuola in un ambiente “selettivo”, finalizzato alla “meritocrazia”, orientamento, questo, che certamente sarebbe di ostacolo all’inclusione scolastica degli alunni con disabilità, con buona pace di tutta la normativa inclusiva maturata in questi ultimi cinquant’anni, sotto la spinta delle conquiste pedagogico-didattiche avviate da una figura come Andrea Canevaro e seguita dalla costante giurisprudenza della Corte Costituzionale, che ha consolidato tale normativa, rendendola inattaccabile dai variabili possibili orientamenti parlamentari.
Una corrosiva critica al concetto di “merito scolastico” è stata espressa ad esempio dal dirigente scolastico Giancarlo Cavinato, nella lista di discussione Suggerimenti per la didattica della vicinanza. Una critica pacata come sempre, invece, ma profondamente educativa, era stata espressa da Andrea Canevaro, in una delle sue ultime interviste. Interessante è pure l’intervista di carattere teologico, filosofico, etico-sociale e politico di Aluisi Tosolini, filosofo e pedagogista, coordinatore nazionale delle Scuole per la Pace. Senz’altro degno di nota, infine, anche il dibattito sul concetto di merito, andato in onda nella mattinata di oggi, 24 ottobre, in Prima pagina di Rai Radio 3.

L’antitesi
Al contrario altri inneggiano alla “fine della pacchia” del cosiddetto “sei politico”, di moda nei primi mesi della contestazione studentesca del Sessantotto tra pochi estremisti di allora, prassi immediatamente riassorbita dal mondo della scuola attiva, che ha creduto all’importanza dell’istruzione come mezzo di ascesa sociale dei soggetti più svantaggiati economicamente a causa della loro povertà culturale. Si pensi all’impegno instancabile di un don Milani e di tutta la pedagogia speciale sino ad oggi.

La sintesi
Invero sul fatto che il ruolo la scuola debba essere quello di orientare, potenziare e sviluppare gli apprendimenti di tutti gli studenti a partire dagli ultimi ha insistito recentemente anche il precedente ministro Patrizio Bianchi. Se ne veda ad esempio uno degli ultimi libri, Nello specchio della scuola, in cui ci si sofferma appunto sulla necessità che la scuola “ottocentesca” si orienti a divenire “scuola 4.0”, tramite la digitalizzazione e la crescita degli Istituti Tecnici Superiori, per il cui potenziamento lo stesso Bianchi si è battuto per l’introduzione di notevoli finanziamenti nel Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza; anche perché si è verificata in Italia la situazione paradossale nella quale, mentre da un lato abbiamo una forte disoccupazione giovanile, d’altro lato le imprese di recente e moderna formazione mancano di migliaia di quadri apicali e intermedi preparati secondo i moderni orientamenti produttivi.
Anche il professor Andrea Gavosto della Fondazione Agnelli ha molto insistito sulla necessità di potenziare gli apprendimenti in generale degli studenti italiani, risultati inferiore a quelli medi degli altri paesi dell’OCSE (Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico), rendendoli così svantaggiati nel confronto internazionale.
Ovviamente la competizione a livello internazionale non comporta automaticamente che questa debba riverberarsi sull’andamento delle nostre scuole, introducendo o sviluppando una competizione tra studenti. La scuola italiana, infatti, è riuscita sempre a coniugare educazione e istruzione e l’educazione nella scuola comporta la realizzazione di una cultura e di una prassi “cooperativistiche”, quindi di reciproco aiuto tra compagni, che è l’antitodo migliore alla logica della competizione dei “pierini” contro gli altri. D’altra parte, fin dall’inizio il movimento per l’integrazione scolastica ha sempre tenuto presente un concetto equilibrato di “merito”, inteso come acquisizione necessaria di conoscenze e competenze per ottenere la promozione da una classe all’altra e i diplomi anche per gli studenti con disabilità. In ciò esso è stato sostenuto e guidato dagli esperti in Pedagogia e Didattica Generali e Speciali. Così l’articolo 16 della Legge 104/92 ha stabilito, per gli alunni delle scuole elementari e medie, che «il PEI [Piano Educativo Individualizzato, N.d.R.] deve essere formulato sulla base delle  loro effettive capacità prevedendo anche la riduzione o sostituzione parziale [non totale] dei contenuti di talune discipline». Ciò al fine di garantire a tali alunni il conseguimento del diploma di licenza media. Per gli studenti di scuola superiore, invece, la Sentenza 215/87 della Corte Costituzionale e finalmente l’Ordinanza Ministeriale 90/01, il Decreto del Presidente della Repubblica (DPR) 122/09 e il Decreto Legislativo 66/17 hanno introdotto due tipi di PEI: quello semplificato o per obiettivi minimi, la cui valutazione deve mostrare che lo studente ha raggiunto apprendimenti intorno alla sufficienza, per ottenere la promozione e il diploma e il PEI differenziato, i cui obiettivi non sono quelli dei programmi ministeriali, ma possono prevedere obiettivi inferiori a quelli della sufficienza o la soppressione di talune discipline troppo difficili o ancora la loro sostituzione con attività integrative o extrascolastiche. In tal caso, invece del diploma, gli studenti conseguono un attestato comprovante le attività svolte e le competenze acquisite, che non è quindi un titolo di studio legale e non dà diritto all’accesso all’università.

Si può dunque dire che per chi scrive il merito non sia un tabù; lo è invece la “ meritocrazia “, che, inducendo la competitività tra studenti, nega la cultura e l’educazione della collaborazione tra i compagni, finalità permanente  dell’educazione scolastica, oggi sempre più compresa e utilizzata nel mondo imprenditoriale con la crescita frequente del “lavoro di gruppo”.
Quindi, se la cultura fortemente presente nelle classi di cooperazione tra compagni può arginare l’eventuale sviluppo dell’orientamento competitivo e selettivo, resta invece preoccupante per molti ciò che potrà accadere agli studenti con disabilità e alla loro inclusione, a seguito dell’aggiunta del termine “merito” nella denominazione del Ministero dell’Istruzione.
Gli studenti con disabilità, nella logica competitiva, sia pur equilibrata, sono certamente perdenti rispetto agli altri compagni e quindi si teme da più parti che possano cominciare ad essere espulsi dalle scuole comuni, per essere ricacciati in quelle “speciali”. A ciò contribuirebbero i crescenti disservizi che dovrebbero accompagnare le buone prassi inclusive, per la disperazione di molter famiglie. Preoccupante, in tal senso, è un recente e per certi versi angoscioso contributo comparso recentemente su queste stesse pagine, al quale ho cercato a mia volta di rispondere. E tuttavia, il problema è veramente serio [i due contributi cui l’Autore fa riferimento sono “Inclusione scolastica: tutto da rifare?” di Ivana Consolo e “La ‘favola’ dell’inclusione scolastica non è finita, ma continuerà migliorandosi” di Salvatore Nocera, N.d.R.].

Ritengo però che a questa eventuale ondata  “espulsiva” dei nostri studenti con disabilità dalle classi comuni delle scuole di ogni ordine e grado, si debba opporre un dato normativo fondamentale. La Corte Costituzionale, nella celebre e già citata Sentenza 215/87, con la quale, annullando l’articolo 28, comma 3 della precedente Legge 118/71, secondo il quale era “favorito” e non “assicurato” il diritto allo studio degli alunni con disabilità, ne ha affermato il diritto pieno e incondizionato allo studio nelle classi comuni delle scuole di ogni ordine e grado, sancendo alcune “massime” relative proprio all’intangibilità di tale diritto.
Tra esse significativa è la seguente: «Per gli alunni con disabilità capacità e merito vanno valutati con parametri peculiari adeguati alle loro rispettive situazioni di minorazione». Questa “massima” è pronunciata proprio a proposito dell’articolo 34 della Costituzione, ove il termine “merito” è citato con riguardo al «diritto dei capaci e meritevoli« ad accedere alle borse di studio.
È risaputo che le Sentenze della Consulta annullano una norma ritenuta incostituzionale; in altre parole, nessuna norma ordinaria può andare contro il contenuto di tale Sentenza. Quindi il diritto all’inclusione scolastica è costituzionalmente garantito e potrebbe  scomparire esclusivamente con la modifica di vari articoli della Costituzione stessa e cioè anche l’articolo 2, sui diritti  inviolabili, l’articolo 3, sull’eguaglianza formale e sostanziale, e l’articolo 117, comma 1, come modificato dalla riforma del 2001, secondo il quale «la potestà legislativa è esercitata dallo Stato e dalle Regioni nel rispetto della Costituzione, nonché dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali».
Quest’ultimo riferimento al «rispetto dei vincoli internazionali», se proprio non “costituzionalizza” la Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità, che è divenuta ormai legge cogente in Italia, certamente impegna il nostro Paese a non emanare norme contrarie ad essa, pena la denuncia, anche da parte di privati, al Comitato ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità, che verifica il rispetto della Convenzione stessa da parte dei Paesi che l’hanno ratificata, come appunto l’Italia.

Dopo la pubblicazione della Sentenza 215/87 della Corte Costituzionale, il Ministero dell’Istruzione pubblicò la Circolare 262/88 di attuazione della Sentenza stessa, riproducendo tutte le massime in essa indicate; con quella Circolare il Ministero ha fornito indicazioni alle scuole relative all’attuazione delle stesse “massime”, in particolare di quelle concernenti l’eventuale conflitto tra il diritto al buon andamento del servizio scolastico, ai sensi dell’articolo 97 della Costituzione, e il diritto allo studio degli alunni con disabilità. In proposito il Ministero, riproducendo il principio della Sentenza prodotta dalla Consulta, ha ribadito che, in caso di un tale conflitto determinato da eventuali disturbi arrecati dagli studenti con disabilità durante lo svolgimento delle lezioni, occorre un «equo contemperamento» dei due diritti, principio sostanzialmente corrispondente a quello dell’“accomodamento ragionevole” contenuto nella Convenzione ONU.
Qui va per altro precisato che quando si parla di “accomodamento ragionevole” non significa trovare una soluzione “alla buona”, all’insegna del “volemose bene”, come si usa dire a Roma o del modo di dire “un colpo al cerchio e uno alla botte”; significa invece che l’accomodamento deve essere tale da garantire comunque la realizzazione del diritto allo studio degli studenti con disabilità, senza essere eccessivamente oneroso, da un punto di vista finanziario, per le Amministrazioni interessate.

Di fronte quindi a questo quadro pedagogico, indicato dal sopracitato Andrea Canevaro, nonché al quadro costituzionale, ritengo che l’aggiunta del termine “merito” alla denominazione del Ministero dell’Istruzione non possa assolutamente nuocere al diritto all’inclusione degli alunni con disabilità, garantendo contemporaneamente il rispetto del diritto dei cosiddetti “superdotati” ad avere pure quello proprio a livelli apprenditivi corrispondenti alle loro capacità.
Sono certo, in ogni caso, che il nuovo Governo, e conseguentemente il nuovo Ministro all’Istruzione e al “Merito”, rispetteranno il diritto a un’inclusione scolastica di qualità degli studenti con disabilità, alla luce dei valori costituzionali testé indicati, dal momento che essi hanno giurato di osservare e applicare la Costituzione senza “se” e senza “ma”. Anzi si augura loro buon lavoro per proseguire nel migliorare la normativa inclusiva, approvando tutti i Decreti Applicativi del Decreto Legislativo 66/17, a partire da quello correttivo del Decreto Interministeriale 182/20, già concordato col Ministero dall’Osservatorio Permanete per l’Inclusione Scolastica, nonché concordando con le Associazioni gli ulteriori miglioramenti normativi che si riterrà di voler produrre, senza interrompere, anzi facendo crescere “meritoriamente “ la qualità inclusiva delle nostre scuole.

Avvocato, esperto di legislazione scolastica.

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