La scritta “Palazzo di Giustizia” disposta in verticale si erge imponente su uno dei lati del palazzo fiorentino di moderna concezione. A guardarla dal basso se ne viene sovrastati e incute timore il pensiero che in quel luogo si decidano le sorti di molte persone. Si riconoscano, si limitino o si revochino diritti e libertà. Potrebbe prevalere la giustizia, sul “contenitore” c’è scritto così, ma potrebbe anche averla vinta l’arbitrio, come talvolta accade.
Jeanette Fraga e Michele Capano, avvocato difensore della stessa, escono dal palazzo dopo avere appreso la sentenza emessa dalla Seconda Sezione Penale della Corte d’Appello di Firenze nella mattinata del 3 novembre scorso. Ad attenderli col fiato sospeso sul prato antistante l’edificio ci sono le persone e gli/le esponenti degli Enti che hanno aderito al presidio organizzato dall’Associazione Diritti alla Follia, per chiedere la liberazione di Yaska, la figlia di Jeanette, una donna interessata da schizofrenia che è stata sottratta alle cure della madre nel 2015, e che vive tutt’ora in un istituto psichiatrico. Capano, intuendo l’apprensione, solleva le braccia in un gesto trionfale, la mimica precede le parole. Jeanette è stata assolta dalla condanna per “sequestro di persona” ai danni della figlia. Tutti e tutte torniamo a respirare.
Jeanette ora è libera da pendenze penali, ma Yaska continua ad essere istituzionalizzata contro la propria volontà e a causa della sua disabilità, in palese violazione della Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità (ratificata dall’Italia con la Legge 18/09). Neanche il tempo di gustare il momento, e l’Associazione che supporta Jeanette e la figlia, con un proprio comunicato, torna al cuore della questione: «Ora si “liberi” Yaska!». Capano anticipa le prossime mosse: «Cade oggi, con la quarta assoluzione di Jeanette Fraga – dopo quelle che avevano riguardato le accuse di maltrattamenti, concorso in violenza sessuale e disturbo delle occupazioni e del riposo delle persone – l’intero castello di accuse che era stato costruito, da sette anni a questa parte, nell’àmbito di un’inaudita violenza istituzionale diretta a scoraggiare Jeanette Fraga dall’occuparsi della figlia, dal continuare a pretendere che la figlia non venga dimenticata in una delle centinaia di “discariche manicomiali” che l’Italia “basagliana” ha creato, ma possa accedere – nonostante la disabilità connessa ad una diagnosi di schizofrenia – ad una vita dignitosa. La ricostruzione secondo cui la madre di Yaska si sarebbe resa responsabile di condotte integranti reati ha consentito, in questi sette anni, di interdire Yaska, di attribuire alla ragazza una tutrice esterna alla famiglia (famiglia di “cattivi”), quindi di rinchiuderla in strutture privandola di ogni libertà di comunicazione, di circolazione, di coltivare gli affetti familiari. È ora che a questa situazione sia posto rimedio, ed è quello che ora chiederemo al Giudice Tutelare».
Cristina Paderi, segretaria dei Diritti alla Follia, osserva dal canto suo come Jeanette non sia l’unica ad avere ricevuto un “trattamento criminalizzante”. «Siamo sempre stati al fianco di Jeanette – dichiara infatti – perché la sua innocenza, oggi sancita dai Giudici fiorentini che cestinano accuse infondate, ci è subito apparsa chiara. Il 10 novembre siamo stati davanti ad un altro Tribunale, quello di Cagliari, a sostenere le ragioni di un ulteriore “imputato” (l’editore Gigi Monello, accusato di maltrattamenti ai danni della madre [se ne legga anche su queste pagine, N.d.R.]) di questo sistema teso ad evitare “disturbi” a Giudici Tutelari ed amministratori di sostegno/tutori, teso a criminalizzare i familiari che “rompano le scatole”, difendendo diritti e prerogative di familiari “sequestrati”. Siamo in presenza di un “protocollo” collaudato: il familiare che non si “arrende” con gli inviti bonari, viene criminalizzato e processato se pretende che “il fragile” debba e possa vivere, non arrendendosi a “sopravvivenze” vegetali nei tanti cronicari delle strutture pubbliche, o private, o in case dove a nessuno è consentito di entrare (familiari e/o amici) o di uscire (il disabile). Ora, con l’assoluzione di Jeanette, chiediamo che sia Yaska ad essere “liberata”: dalla tutrice esterna, dalla segregazione, dalle mille restrizioni che la inchiodano, oggi, ad una condizione di enorme sofferenza».
Durante l’udienza, l’avvocato Capano ha rivolto alla Corte il seguente invito: «Se è vero che Yaska è stata sequestrata, chiedetelo a Yaska». Ma dalla Corte è stato asserito che Yaska avrebbe una disabilità psichiatrica troppo grave perché le si possa rivolgere una simile domanda. Accade così che in quella stessa aula in cui Jeanette è stata assolta, è stato negato il principio portante della citata Convenzione ONU, ovvero il “niente sulle persone con disabilità, senza le persone con disabilità”.
Tre dei quattro capi d’accusa dai quali è stata assolta Jeanette riguardavano reati contro la persona di Yaska: maltrattamenti, concorso in violenza sessuale e sequestro di persona. Ma nell’àmbito dei procedimenti in questione nessuno ha mai chiesto a Yaska se davvero avesse subito simili violenze. La disabilità psichiatrica della donna è stata sistematicamente utilizzata come pretesto per compiere tale omissione. Giudici, tutori (Yaska ne ha cambiato diversi nel corso del tempo), responsabili e operatori delle diverse strutture in cui la donna è stata ospitata si trincerano dietro perizie psichiatriche viziate da pregiudizi abilisti. Perché se vero che Yaska talvolta vede e discute con personaggi immaginari, è altrettanto vero che non ha mai fatto male a nessuno, e se le chiedi dove vuole vivere, lei mostra di saperlo benissimo. Vuole vivere a casa con la madre e frequentare il fratello e la sorella, come ripete in continuazione. Avrebbe anche voluto continuare a incontrarsi con Fabio (il fidanzato con cui aveva una relazione da dieci anni), se le Istituzioni non lo avessero indotto ad allontanarsi avviando contro di lui un procedimento penale per violenza sessuale nei suoi confronti (accusa da cui è stato assolto per non aver commesso il fatto). In questo caso le è stato chiesto se Fabio l’avesse violentata, lei ha detto che i suoi rapporti erano consensuali, ma la sua testimonianza non è stata considerata, e nessuno le ha chiesto scusa per le arbitrarie e pregiudizievoli ingerenze che hanno portato alla fine della sua relazione sentimentale.
L’articolo 12 (Uguale riconoscimento dinanzi alla legge) della Convenzione ONU impegna gli Stati Parti a riconoscere «che le persone con disabilità godono della capacità legale [intesa sia come capacità giuridica che come capacità di agire, N.d.R.] su base di uguaglianza con gli altri in tutti gli aspetti della vita». L’articolo si applica a tutte le persone con disabilità, senza eccezioni (senza distinguere per tipo di disabilità, né per gravità). Questo vuol dire che anche quando si devono prendere decisioni che riguardano la vita di una persona con disabilità psichiatrica, come nel caso di Yaska, dobbiamo essere disposti a riconoscere l’autorevolezza di quella stessa persona nel definire il proprio progetto di vita, limitandoci a darle i supporti di cui ha bisogno affinché quelle scelte siano quanto più possibile vicine ai suoi desideri, alle sue aspirazioni e ai suoi interessi, senza mai sostituirci a lei nelle decisioni di cui si tratta. Ma Yaska non è mai coinvolta in nessuna decisione che la riguardi – non solo in tribunale, anche nella quotidianità –, e questa è solo una delle innumerevoli violenze e discriminazioni che ha subito e continua a subire a causa della sua disabilità.
Eppure Yaska non è sola. Al presidio di Firenze, oltre a chi scrive (in rappresentanza del Centro Informare un’h di Peccioli, in provincia di Pisa), erano presenti Bruna Bellotti dell’Associazione Diritti Senza Barriere di Bologna, Alberto Brugnettini e Maria Gainuta del CCDU (Comitato dei Cittadini per i Diritti Umani), Maria Rosaria D’Oronzo, del Centro Relazioni Umane di Bologna, diversi familiari di Yaska, molti amici e amiche, numerose persone che hanno avuto esperienze terrificanti con la psichiatria fiorentina.E anche la UILDM Nazionale (Unione Italiana Lotta alla Distrofia Muscolare) e la FISH (Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap) hanno dato il proprio sostegno alla causa di Yaska.
Nel suo piccolo, per contribuire a tenere desta l’attenzione su questa storia, il Centro Informare un’h ha aperto un dossier (a questo link), dove verranno segnalate tutte le novità riguardo alla vicenda di Yaska, nella speranza che ve ne siano presto di positive anche a seguito dell’assoluzione di Jeanette, essendo caduti tutti i pretesti utilizzati dalla psichiatria fiorentina per separare madre e figlia.
A questo link (nostro articolo Ma chi è stato realmente responsabile di “sequestro” nella vicenda di Yaska), è disponibile, nella colonnina degli Articoli correlati, tutti i nostri contributi dedicati alla vicenda di Yaska.