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Il dibattito culturale sulla disabilità è cresciuto e anch’io sono cresciuta

Oriella Orazi, "Enigma"

Oriella Orazi, “Enigma”

Oggi, 25 novembre, si celebra la Giornata Internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne. In questi due anni di pandemia, la violenza, specialmente quella domestica, è aumentata notevolmente, a causa della forzata permanenza in casa e delle preoccupazioni sanitarie e economiche.
Il problema non ha risparmiato neanche le donne con disabilità: se infatti prima del Covid il 36% di loro aveva subito un abuso, durante il lockdown l’indice è salito a al 62%.
Le donne con disabilità sono vittime di una doppia discriminazione, quella di genere e quella in quanto persona con disabilità; pertanto, non sono considerate vere donne, misconosciute come madri, come lavoratrici, oggetto indifeso di ogni desiderio sessuale. Queste negazioni hanno gravi ripercussioni sulla loro vita; infatti, le donne con disabilità non vengono contemplate in alcun protocollo di screening e di cura della salute femminile, né informate ed educate alla sfera sessuale e riproduttiva.an

Negli ultimi anni, alcune donne con disabilità, acquisendo sempre maggiore autoconsapevolezza del proprio essere donna e della loro femminilità, si sono esposte in prima persona, non solo per loro stesse, ma anche per “quelle che non hanno voce”. L’hanno fatto in diversi modi, chi da protagonista in video, chi da autrice di articoli o di libri, chi mostrandosi senza remore con il proprio corpo: tanti modi di “mettersi a nudo”.

Riavvolgendo il nastro al lontano novembre del 1999, mi rivedo, una sera, a cena in un ristorante milanese con un gruppo di amici-collaboratori, durante la quale, quasi per scherzo, nacque l’idea di realizzare un calendario, dove io avrei posato “senza veli”, per dimostrare e sensibilizzare l’opinione pubblica che anche le donne con disabilità hanno la propria femminilità da esibire.
Dal primo momento in cui è nato il progetto, sono stata pienamente convinta di quello che stavo facendo, superando la contrarietà di mio papà e certe malelingue secondo le quali sarei stata plagiata. Assolutamente l’ho voluto fare per far vedere le donne con disabilità con occhi nuovi, positivi.
Un’esperienza sicuramente appagante, ho goduto nei mesi successivi di notorietà, ho cavalcato l’onda dei rotocalchi e di alcune trasmissioni televisive, molte persone per strada o nei locali mi riconoscevano.
Ma adesso confesso un rimpianto: non avere sfruttato le luci di quei riflettori per denunciare le gravi problematiche di molte donne nella mia condizione. Non ne ero consapevole, essendo cresciuta per mia fortuna in una situazione familiare serena e protetta e in una società in cui certe tematiche legate alla disabilità restavano dei veri tabù. Poi i tempi sono cambiati e si è incominciato a dare voce al mondo nascosto o ignorato della disabilità. Il dibattito culturale è cresciuto, e anch’io sono cresciuta. Ma il dramma degli abusi contro le donne è sempre lì, lampante. E ora vorrei proseguire questo percorso di giustizia e di emancipazione insieme alle donne (e agli uomini) della nuova generazione, con o senza disabilità.

Il presente contributo è già apparso in “InVisibili”, blog del «Corriere della Sera.it» (con il titolo “La mia emancipazione e quel rimpianto che mi porto dietro”). Viene qui ripreso – con alcuni riadattamenti al diverso contenitore – per gentile concessione.

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