“Genere, disabilità e violenza”: vanno diffuse quelle preziose Linee Guida

Sono state di recente presentate le “Linee Guida per l’accessibilità dei servizi di assistenza e supporto alle vittime di violenza”, realizzate nell’àmbito di “BeSafe!”, progetto condotto dalle Università di Brescia e di Ferrara. Lo strumento operativo, liberamente scaricabile online, nasce dalla convinzione che solo garantendo servizi inclusivi e universalmente accessibili, si potrà realmente promuovere l’eguale valorizzazione delle differenze, intesa come riconoscimento della pari titolarità dei diritti fondamentali (compreso quello di essere libere dalla violenza) di tutte e di ciascuna

Linee Guida "BeSafe!"Tra le diverse attività realizzate nell’àmbito del progetto BeSafe! Genere disabilità e violenza durante il lockdown, condotto dall’Università di Brescia e da quella di Ferrara, meritano particolare attenzione le Linee Guida denominate Genere, disabilità e violenza. Linee Guida per l’accessibilità dei servizi di assistenza e supporto alle vittime di violenza, strumento operativo liberamente scaricabile a questo link, pubblicamente presentato nel dicembre scorso, come avevamo segnalato anche sulle nostre pagine.

Chi si occupa di violenza nei confronti delle donne con disabilità sa molto bene che esse sono esposte a tutte le forme di violenza di genere più delle altre donne, e anche a forme peculiari di violenza connesse alla loro condizione di disabilità (la cosiddetta “violenza abilista”); ciò nonostante sono ancora veramente pochi, qui in Italia, i Servizi Antiviolenza accessibili e preparati ad accoglierle (come si può constatare nel repertorio disponibile a questo link). Pertanto, sebbene si registri un incremento dell’attenzione su questi temi, il fenomeno della violenza contro le donne con disabilità continua ad essere abbastanza invisibile persino ai diversi soggetti che operano nella Rete Antiviolenza.
I motivi di tale invisibilità sono molteplici e tra questi vi è certamente la mancanza di strumenti operativi utili a promuovere pratiche virtuose. Infatti, per quel che ci risulta, oltre alle Linee Guida BeSafe!, le uniche altre realizzate nel contesto italiano sono le Linee Guida Accorciare le distanze, pubblicate nel mese di luglio dello scorso anno dall’Associazione MondoDonna e dall’AIAS di Bologna, ampiamente  presentate a suo tempo anche su queste pagine e fruibili online a questo link.
Ovviamente non si tratta di una sovrapposizione: infatti, anche se i due strumenti hanno inevitabilmente degli elementi in comune, essi hanno un’impostazione abbastanza diversa. E tuttavia, in entrambi i casi si ha l’impressione che l’intento non sia semplicemente quello di trasmettere informazioni, saperi e pratiche, come ci si aspetta da qualunque Linea Guida, bensì di indurre ad assumere una postura, quella di chi, essendosi imbattuta/o nella discriminazione multipla delle donne con disabilità nel proprio percorso di vita, di studio o di lavoro, ha maturato la «convinzione che solo la garanzia di servizi inclusivi e universalmente accessibili possa realmente promuovere l’eguale valorizzazione delle differenze, intesa come riconoscimento della pari titolarità dei diritti fondamentali (compreso quello di essere libere dalla violenza) di tutte e di ciascuna», come si legge nella premessa delle Linee Guida BeSafe! (pagina 5; grassetti nostri in questa e nelle successive citazioni).

Il progetto BeSafe! scaturisce da un’evidenza messa in luce dalla pandemia di Covid-19. Infatti è stato osservato come, in particolare durante il confinamento imposto nei primi mesi del 2020 per contenere la diffusione del virus, l’accessibilità dei servizi di assistenza e supporto delle vittime di violenza di genere e di violenza domestica fosse diventata problematica per tutte le donne, e in special modo per quelle con disabilità. Tuttavia, in relazione a queste ultime, è parso evidente che l’inaccessibilità non fosse riconducibile alle sole restrizioni imposte dall’emergenza sanitaria, ma si connotasse come una questione strutturale. Questo perché molti di quei servizi, essendo stati progettati senza considerare le possibili specificità delle esigenze e delle esperienze delle donne con disabilità, risultano difficilmente accessibili, o completamente inaccessibili, per loro anche al di fuori delle situazioni emergenziali.
Prendendo le mosse da tale constatazione, le Linee Guida sono strutturate in tre parti, la prima delle quali illustra gli elementi necessari alla predisposizione di servizi inclusivi, prestando attenzione all’accessibilità degli ambienti, della comunicazione e della relazione, alle diverse fasi dell’accoglienza e del supporto delle donne con disabilità vittime di violenza, al lavoro di rete, ed alle attività di formazione e sensibilizzazione.
La seconda parte propone invece una selezione ragionata di informazioni sulle buone prassi poste in essere in Lombardia ed Emilia-Romagna (ma con l’auspicio che la rilevazione possa essere prossimamente allargata anche ad altre aree geografiche), sulle norme giuridiche rilevanti (a livello internazionale, nazionale e, limitatamente alle due aree menzionate, regionale), nonché sui piani strategici antiviolenza attualmente vigenti.
Nell’ultima parte, infine, è possibile trovare un glossario dei termini fondamentali per la costruzione di una cultura dell’inclusione e dell’accessibilità.

L’opera è molto curata e ben strutturata, con rimandi interni che ne evidenziano la coerenza, e l’impiego di box utili ad individuare facilmente gli aspetti operativi strategici. Innumerevoli sono anche le riflessioni che scaturiscono dalla lettura di essa. Colpisce, ad esempio, questo passaggio: «Esiste, ad oggi, una condizione di inaccessibilità che è dichiarata come consueta e “normale” dalla maggior parte dei Centri Antiviolenza, come parte strutturale di un protocollo che esclude ancora a priori le donne con disabilità e, più in generale, le donne con diverse forme di vulnerabilità (ad esempio, donne con dipendenze patologiche, donne con difficoltà psichiatriche, ecc.)» (pagina 20).
Ma fa riflettere anche quest’altro passaggio, relativo alle case rifugio, che mostra come esse, nel cercare di rispondere alle donne con disabilità, non sembrino cogliere la problematicità di ricorrere a soluzioni segreganti: «Attualmente, molte case rifugio non accettano donne con malattie croniche e/o con varie forme di disabilità (cognitive ma anche sensoriali, e addirittura motorie, se ci sono barriere architettoniche), o che abbiano figli che presentano queste caratteristiche. Tuttavia, questa politica non si basa, spesso, su una valutazione individuale dei bisogni della persona specifica, ma su un pre-giudizio di carattere generale circa l’inadeguatezza delle strutture e del personale che in esse opera a garantire la sicurezza e la necessaria assistenza alle donne con disabilità e ai loro figli. Appare forte, quindi, la tentazione di pensare a strutture diverse: case rifugio ad hoc adeguatamente attrezzate (tutte da realizzare) o, più di frequente, altri tipi di istituti quali, ad esempio, RSA o RSD [rispettivamente: Residenze Sanitarie Assistenziali e Residenze Sanitarie Disabili, N.d.R.]» (pagine 35-36).

Se questo è dunque l’attuale stato di molti Servizi Antiviolenza, è pur vero che le sollecitazioni che provengono dalle donne con disabilità e dall’associazionismo di settore lo stanno mettendo fortemente in discussione, e già il fatto di poter disporre di Linee Guida che approfondiscono tali questioni è un indicatore di un processo in atto.
Tale processo potrebbe per altro rivelarsi anche più facile del previsto, se si considera che non si tratta di smantellare l’intero sistema antiviolenza, ma di ripensare quegli aspetti che non consentono l’accesso indiscriminato di tutte le donne (senza distinzioni di sorta). Infatti, come specificato nelle Linee Guida, «ciò che è stato costruito nel tempo per dare ascolto e accoglienza alle donne che subiscono violenze – pensate, a priori, senza disabilità – è il patrimonio di partenza da rafforzare ed arricchire di specifiche attenzioni materiali e relazionali per includere la presenza delle donne con qualsiasi tipo di disabilità. La strada è quella “disegnata” per tutte e tutti, perché questo arricchisce, favorisce e crea rispetto per tutte e tutti» (pagine 20-21).
Insomma, la meta – eliminare la violenza – rimane la stessa, dobbiamo solo assicurarci che tutte le donne siano messe in condizione di raggiungerla. (Simona Lancioni)

Per ulteriori approfondimenti, suggeriamo a Lettori e Lettrici anche la consultazione delle sezioni La violenza nei confronti delle donne con disabilità e più in generale Donne con disabilità, nel sito di Informare un’h-Centro Gabriele e Lorenzo Giuntinelli di Peccioli (Pisa).
Il presente contributo è già apparso nel citato sito di Informare un’h e viene qui ripreso, con minimi riadattamenti al diverso contenitore, per gentile concessione.

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