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Riformare lo strumento che ha permesso la brutta vicenda di Carlovittorio

Giovane uomo fotografato di spalleFa davvero piacere leggere in «Superando.it» la presa di posizione di Marco Espa e Dario Petri, rispettivamente presidente e già presidente della Federazione Italiana ABC (Associazione Bambini Cerebrolesi), sulla vicenda di Carlovittorio, il ventenne bresciano interessato da una grave disabilità fisica acquisita al momento del parto, che è stato arbitrariamente sottratto alle cure della sua famiglia e rinchiuso da due anni in una struttura sanitaria dove sta progressivamente deperendo. Una vicenda della quale, alcuni giorni fa, anche chi scrive si è occupato in altra sede (Carlovittorio, sottratto alle cure della sua famiglia, rischia la vita nel sito del Centro Informare un’h).
Condividiamo in particolare che il primo impegno delle Istituzioni nei confronti delle persone con disabilità debba «essere rivolto al sostegno delle famiglie, con servizi a domicilio, co-progettati e personalizzati; [e che] si dovrebbe garantire a tutti [e tutte], indipendentemente dalla gravità della disabilità, il rispetto del principio di autodeterminazione e autonomia, enunciato dalla Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità».

Espa e Petri osservano che «gli “esperti” tendono a sottostimare le potenzialità delle persone con disabilità, aggiungendo così la barriera del pregiudizio alle tante altre barriere che devono affrontare»; e dunque individuano nel pregiudizio dei servizi socio-sanitari il principale fattore che ha determinato la sconcertante vicenda.
Che i pregiudizi abbiano giocato un ruolo strategico in questa storia è fuori discussione, ma i pregiudizi da soli non avrebbero potuto assurgere a tanto, se i servizi socio-sanitari non potessero disporre di uno strumento che consente loro di sostituirsi alle persone con disabilità nei processi decisionali.
Detto ancora più chiaramente: per sottrarre Carlovittorio al suo ambiente di vita, i servizi socio-sanitari hanno fatto nominare un amministratore di sostegno esterno alla famiglia il quale ha disposto che Carlovittorio venisse trasferito in una struttura sanitaria, presumibilmente con l’autorizzazione di un Giudice Tutelare, ma senza tenere in alcuna considerazione la volontà di Carlovittorio che, da quel che risulta, non viene consultato a riguardo. Allora fanno benissimo Espa e Petri a denunciare pubblicamente i pregiudizi e a richiamare la Convenzione ONU, e tuttavia invito la Federazione Italiana ABC a battersi anche per una riforma dell’amministrazione di sostegno, finalizzata a fare in modo che questo istituto non possa più essere utilizzato come regime sostitutivo della volontà della persona con disabilità, ma solo come supportosostegno, appunto – all’autodeterminazione della persona con disabilità stessa (come, d’altronde, stabilito dall’articolo 12 della Convenzione ONU richiamata da Espa e Petri).
Sotto questo profilo, infatti, la storia di Carlovittorio non è dissimile da un’altra accaduta nello scorso mese di febbraio a Roma, dove Simone, un altro giovane uomo con una grave disabilità, è riuscito, almeno per ora, a sfuggire all’istituzionalizzazione grazie alla prontezza della madre, Sara Bonanno, che, avendo scoperto che i servizi sanitari stavano richiedendo la nomina di un amministratore di sostegno esterno alla famiglia, proprio allo scopo di sottrarlo al suo ambiente di vita, è riuscita a bloccare l’iter di nomina e ad evitare che Simone fosse trasferito in una RSA (Residenza Sanitaria Assistita. «Com’è stato possibile che l’amministrazione di sostegno sia divenuta un’arma intimidatoria?», si è chiesta, giustamente, Bonanno su queste stesse pagine, a margine della sua vicenda. E dopo la pubblicazione della storia di Simone anche altre madri caregiver romane hanno trovato il coraggio di rendere pubblici ulteriori episodi di intimidazione e abusi, molto simili a quelli subiti da Bonanno, da parte di alcuni servizi socio-sanitari di Roma e Provincia (a tal proposito si legga Amministrazione di sostegno usata come arma per ricattare le famiglie).

Gli abusi commessi nell’applicazione dell’amministrazione di sostegno sono un fatto assodato e ben documentato da tempo (solo a titolo esemplificativo, si legga il nostro contributo a questo link); di recente si è anche costituita ALIBES, l’Alleanza per la LIbertà di Scelta e il Bene-Essere psicoSociale, che ha tra i suoi obiettivi programmatici proprio la riforma dell’istituto, mentre continua ad essere debole l’attenzione al tema di un’importante parte dell’associazionismo delle persone con disabilità. Non è un caso – e lo scriviamo sine ira et studio (senza animosità e parzialità) – che Espa e Petri, pur occupandosi della vicenda di Carlovittorio, non affrontino la questione. Eppure la possibilità legale di sostituirsi alla persona con disabilità si configura esattamente come un “cavallo di Troia” attraverso il quale viene introdotta nel nostro ordinamento giuridico – vale a dire in un contesto in apparenza rispettoso dei diritti umani (l’Italia ha ratificato la Convenzione ONU con la Legge 18/09) , la possibilità di prendere decisioni sulla vita delle persone con disabilità senza il loro consenso, e di spacciarle per “il loro bene”.

Dunque invitiamo la Federazione Italiana ABC ad unirsi al coro di coloro che chiedono una riforma dell’amministrazione di sostegno in linea con il dettato della Convenzione ONU. Infatti, più saranno i soggetti impegnati in questa rivendicazione, maggiori saranno le possibilità di porre fine all’arbitrio col quale ancora oggi soggetti terzi possono disporre della vita delle persone con disabilità.

Responsabile di Informare un’H-Centro Gabriele e Lorenzo Giuntinelli, Peccioli (Pisa), nel cui sito il presente contributo di riflessione è già apparso. Viene qui ripreso, con alcuni riadattamenti al diverso contenitore, per gentile concessione.

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