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L’importanza della Neuropsichiatra Infantile, le criticità e le buone strategie

Ragazzo con disturbo dello spettro autistico insieme al padre

Un ragazzo con disturbo dello spettro autistico insieme al padre

Tecnologia, medicina di prossimità, integrazione dei trattamenti riabilitativi con gli ambienti di vita: sono le parole nuove intorno alle quali il sistema sanitario sta cercando di rimodularsi, avendo imparato dalla pandemia che la presa in carico dei pazienti, soprattutto di quelli più fragili, deve uscire dall’ambiente ospedaliero e spostarsi sul territorio, accanto alla quotidianità delle persone.
È la sfida che si pone anche la Neuropsichiatria Infantile, disciplina che si occupa di tutte le patologie con esordio in età evolutiva (0-18 anni) e che comportano sintomi neurologici, neuropsicologici e/o neuropsichici.

Parliamo, quindi, di disturbi dello spettro autistico, di altre disabilità complesse che hanno come conseguenza problemi di natura neurologica, di disturbi dell’apprendimento e del linguaggio, delle sindromi da deficit dell’attenzione (ADHD), di epilessia, ma anche di malattie emergenti come quelle del comportamento alimentare, l’autolesionismo, la dipendenza da sostanze e quella da internet e social media, bisogni aumentati in maniera esponenziale tra i più giovani che richiedono servizi innovativi e una preparazione specifica dei medici.
Secondo gli ultimi dati divulgati dalla SINPIA (Società Italiana di Neuropsichiatria Infantile e dell’Adolescenza) è evidente il ruolo centrale dei neuropsichiatri, tra i primi interlocutori nel percorso diagnostico, terapeutico e riabilitativo, un punto di riferimento per le famiglie che si trovano ad affrontare i disagi di bambini e adolescenti in una società dove siamo tutti connessi, ma sempre più soli.

Il sistema sanitario italiano è un modello a livello internazionale, l’unico Paese che prevede la figura dello specialista in Neuropsichiatria Infantile, un medico che integra gli aspetti biologici della diagnosi a quelli ambientali, motòri, comunicativi, affettivi, cognitivi e relazionali, accompagnando i giovani pazienti fino all’età adulta. Disturbi un tempo non considerati come avrebbero dovuto vengono ora riconosciuti e affrontati precocemente, migliorando la prognosi, la qualità della vita e il benessere psicologico.
Si pensi, ad esempio, ai bambini e alle bambine con dislessia. Decenni fa erano isolati nella classe perché non riuscivano a stare al passo con i compagni, considerati svogliati o peggio “poco intelligenti”. Oggi, per merito di una diagnosi effettuata dal neuropsichiatra infantile, questi bimbi hanno un percorso scolastico modellato sulle loro esigenze e possono effettuare trattamenti su misura.

Le patologie con una componente neurologica, inoltre, costituiscono circa il 40% delle Malattie Rare, una cifra che aumenta con i progressi della scienza e della ricerca, e dei circa 2 milioni di Malati Rari censiti in Italia, il 70% è rappresentato da pazienti in età pediatrica.
Anche loro beneficiano della Legge 175/21 (Disposizioni per la cura delle malattie rare e per il sostegno della ricerca e della produzione dei farmaci orfani), nota anche come “Testo Unico sulle Malattie Rare”, l’unica normativa in Europa che migliora l’accesso alle terapie e supera le disuguaglianze regionali, e del nuovo Piano Nazionale per le Malattie Rare, che dovrebbe dare piena attuazione a quella Legge. “Dovrebbe”, il condizionale è ancora d’obbligo, perché le criticità non mancano.
La SINPIA, ad esempio, segnala la mancanza di posti letto per le fasi acute, 395 su tutto il territorio nazionale a fronte di un fabbisogno di almeno 700. Il numero di casi in forte aumento, segno che queste patologie vengono ora riconosciute con maggiore facilità rispetto al passato, impone investimenti anche in àmbito universitario. E ancora, per sostenere il turnover legato ai pensionamenti del personale medico e fronteggiare l’incremento di lavoro sarebbero necessari 400 specialisti all’anno. Su questo fronte qualcosa si è mosso, se è vero che l’anno scorso sono stati attribuiti 283 nuovi posti nelle scuole di specializzazione di Neuropsichiatria. Un passo avanti che dev’essere seguito da molti altri, affinché i servizi che si occupano di queste patologie non vengano ridotti e si possa pensare alla continuità assistenziale dopo il compimento del diciottesimo anno.

È quest’ultimo uno degli obiettivi del nuovo Polo Territoriale per la Neuropsichiatria dell’ASST Spedali Civili di Brescia, struttura finanziata dalla Regione Lombardia che sorgerà in via Nikolajewka, a Mompiano. Sarà un distaccamento dell’Unità Operativa di Neuropsichiatria Infantile che seguirà bambini e adolescenti dopo le dimissioni dal reparto ordinario, spostando alcune attività fuori dall’ospedale e migliorando la qualità delle terapie erogate sul territorio.
La transizione all’età adulta sarà una delle aree di intervento, uno sguardo a tutto l’arco dell’esistenza che si avvarrà di un appartamento per l’abilitazione alla vita quotidiana. Una “casa” ospitata al piano terra, accanto al Centro per i Disturbi del Neurosviluppo, dotato di un laboratorio di riabilitazione con la realtà virtuale e di uno per la teleriabilitazione. Al primo piano, oltre al Centro Diurno per gli adolescenti, verranno seguiti i pazienti con disturbi del comportamento alimentare. Le classiche attività ambulatoriali saranno inoltre affiancate da terapie psicologiche e di gruppo alle quali parteciperanno anche i genitori, mentre l’équipe sarà ogni giorno accanto ai giovani con pasti assistiti.
Si tratta di trial terapeutici all’avanguardia che faranno del polo di Mompiano uno strumento concreto per rispondere alle necessità emergenti delle famiglie.

Il presente contributo è già apparso in “InVisibili”, blog del «Corriere della Sera.it» (con il titolo “Neuropsichiatria, una ‘casa’ per dare un futuro ai pazienti adolescenti”). Viene qui ripreso, con alcune modifiche e riadattamenti al diverso contenitore, per gentile concessione.

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