Una mappatura dei Centri Antiviolenza senza dati sull’accessibilità

Il Dipartimento per le Pari Opportunità della Presidenza del Consiglio ha recentemente pubblicato una Mappatura dei Centri Antiviolenza italiani che non rileva però minimamente l’accessibilità degli stessi. E’ questo solo l’ultimo episodio di una discriminazione istituzionale/sistemica nei confronti delle donne con disabilità, una discriminazione riguardante tutti agli àmbiti della loro vita. E tuttavia è proprio nelle mancate risposte in materia di violenza o, peggio, nelle risposte violente, che essa si manifesta in tutta la sua drammaticità

Donna di spalle con un barccio alzato (figura murale)Quando nel novembre 2021 analizzammo il Piano strategico nazionale sulla violenza maschile contro le donne 2021-2023, approvato in quello stesso mese dal Dipartimento per le Pari Opportunità della Presidenza del Consiglio, pur apprezzando che finalmente in esso fossero presenti alcuni riferimenti alle donne con disabilità vittime di violenza (se ne legga a questo link), ci balzarono subito agli occhi due macroscopiche criticità.
Ossia che nella Priorità 4.1 (Implementazione del Sistema Informativo integrato: raccolta ed analisi dei dati sul fenomeno e sulle diverse articolazioni, nell’Asse Assistenza e Promozione), e nello specifico nella parte in cui era prevista la raccolta di «dati disaggregati sulla violenza di genere», si parlasse esplicitamente di sviluppare «rilevazioni mirate rispetto a persone richiedenti asilo e rifugiate» (pagina 47), ma non fosse previsto che i dati dovessero essere disaggregati anche per la disabilità. E che, sempre nell’Asse Assistenza e Promozione, alla Priorità 4.3 (Predisposizione di linee guida, in accordo con le regioni, per uniformare a livello nazionale gli standard qualitativi e quantitativi dei servizi erogati dai Centri Antiviolenza, dalle reti territoriali e dal sistema socio sanitario), fosse previsto un aggiornamento «della mappatura dei centri (Centri Antiviolenza e Case Rifugio)» (pagina 48), ma non fosse contemplata una rilevazione dell’accessibilità delle strutture mappate.

Ora tali nodi hanno iniziato a venire al pettine. La Legge 53/22 (Disposizioni in materia di statistiche in tema di violenza di genere), un provvedimento importante e atteso, perché sistematizza la raccolta dati sul fenomeno considerato, disponendo che l’ISTAT (Istituto Nazionale di Statistica) e il SISTAN (Sistema Statistico Nazionale) realizzino, «con cadenza triennale, un’indagine campionaria interamente dedicata alla violenza contro le donne che produca stime anche sulla parte sommersa dei diversi tipi di violenza», non contiene nessuna indicazione circa il fatto che i dati raccolti debbano essere disaggregati anche per la disabilità. E infatti, nel rapporto di ricerca su Gli accessi al pronto soccorso e i ricoveri ospedalieri delle donne vittime di violenza, pubblicato dall’ISTAT a inizio maggio, le donne con disabilità sono completamente assenti (se ne legga già anche su queste pagine).

Ad aggiungere un ulteriore tassello al quadro della discriminazione istituzionale delle donne con disabilità, ci pensa lo stesso Dipartimento per le Pari Opportunità, pubblicando nel proprio sito la Mappatura dei Centri Antiviolenza italiani, aggiornata ad aprile 2023 (disponibile a questo link) e agevolmente consultabile per Regione, ma che non contiene alcuna informazione sull’accessibilità delle strutture mappate. Infatti, per ciascun Centro Antiviolenza sono indicate la Provincia e il Comune in cui è situato, la denominazione, l’indirizzo, i contatti telefonici (ma non, ad esempio, quelli e-mail, che potrebbero essere accessibili, o semplicemente più agevoli, per alcune donne con disabilità, o per donne con specifiche esigenze di privacy), e agli orari di apertura.
Ora, poiché è lo stesso Dipartimento a precisare che «la Mappatura è lo strumento principale ad uso delle operatrici del call center in relazione all’offerta di risposte concrete agli utenti che si rivolgono al 1522 [il servizio antiviolenza e antistalking, N.d.R.] attraverso l’indicazione dei servizi operanti a livello territoriale», dobbiamo concludere che il servizio in questione non disponga di informazioni adeguate ad indirizzare correttamente le vittime di violenza con disabilità che dovessero contattarlo per chiedere aiuto.

Due sviste, si potrebbe pensare, e invece no, perché anche la Commissione Parlamentare di inchiesta sul femminicidio e ogni altra violenza di genere ha completamente ignorato le donne con disabilità nella relazione su La vittimizzazione secondaria delle donne che subiscono violenza e dei loro figli nei procedimenti che disciplinano l’affidamento e la responsabilità genitoriale (approvata il 20 aprile 2022).
Ma cosa comporta che le donne con disabilità non siano state considerate in questo documento? Comporta che quando le madri con disabilità contattano i servizi per denunciare una violenza subita, questi, prima ancora di occuparsi della violenza, sottopongono queste madri a dei test di valutazione delle loro capacità genitoriali, e poiché tali test sono standardizzati, e non tengono conto delle caratteristiche della madre con disabilità (specie se questa ha una disabilità intellettiva), l’esito di queste valutazioni è sempre negativo e ha come conseguenza che alla donna vengano levati i figli o le figlie (se ne legge a questo link).

In un Paese rispettoso dei princìpi della Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità (che, è sempre bene sottolinearlo, l’Italia ha ratificato con la Legge 18/09), alla madre con disabilità che sperimenta qualche difficoltà a gestire in autonomia il ruolo materno verrebbero forniti i supporti necessari a consentire l’esercizio del ruolo in questione, evitando in tal modo terribili separazioni. Ma il nostro sistema preferisce dividere le madri dai figli o dalle figlie, ledendo in un colpo solo sia i diritti umani della genitrice, che quelli della prole. Tuttavia, ovviamente, di tutto questo i vertici istituzionali non hanno alcuna percezione, visto che nella relazione che avrebbe dovuto contenere queste informazioni, non vi è traccia di esse. Ecco dunque spiegato perché molte madri con disabilità vittime di violenza, invece di chiedere aiuto, la violenza preferiscono subirla: un uomo che ti picchia fa meno male di uno Stato che ti leva i figli.

Abbiamo un problema di discriminazione istituzionale/sistemica nei confronti delle donne con disabilità e questa riguarda tutti gli àmbiti della loro vita, ma è nelle mancate risposte in materia di violenza, o, peggio, nelle risposte violente, che essa si manifesta in tutta la sua drammaticità.

Ringraziamo Silvia Cutrera per la segnalazione.

Responsabile di Informare un’H-Centro Gabriele e Lorenzo Giuntinelli, Peccioli (Pisa), nel cui sito il presente contributo è già apparso. Viene qui ripreso, con alcuni riadattamenti al diverso contenitore, per gentile concessione.

Per approfondire ulteriormente i temi qui affrontati, segnaliamo le Sezioni La violenza nei confronti delle donne con disabilità e Donne con disabilità nel sito del Centro Informare un’h.

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