Commozione e ammirazione. La morte di Sammy Basso ha avuto grande eco in tutti i giornali. Normale, giusto, doveroso per una persona che è riuscita a regalare una luce radiosa a una delle malattie più rare tra le rare, la progeria o sindrome di Hutchinson-Gilford. Ma credo che nel sentimento di ogni articolo ci fosse qualcosa di più: il valore sempre più necessario, ormai quasi come l’aria, di una storia esemplare per positività, impegno, leggerezza, che contrasta con la cupezza di un mondo dilaniato dai conflitti dove si sta disimparando a pensare alla pace.
Nel bellissimo ritratto che ne ha fatto Gian Antonio Stella sul «Corriere della Sera», Sammy Basso appare come un ragazzo che ha trasformato il suo essere speciale in una bandiera di inaspettate e impensabili opportunità, utilizzando il mezzo dell’ironia che è il migliore antidoto contro quel pietismo tuttora presente nel confrontarsi con la disabilità.
Sammy scherzava sul suo aspetto da eterno bambino invecchiato precocemente, una condizione che colpisce un soggetto su otto milioni, paragonandosi ai marziani atterrati a Roswell, ma allo stesso tempo si è aperto al mondo raccontando la sua storia straordinaria e diventando paladino della ricerca per studiare e dominare la progeria.
Il tempo che ha vissuto è poco, 28 anni, ma dal punto di vista medico è già una vittoria, dato che in media chi si trova nella sua condizione arriva a 13 anni. Che cos’è che permette di smentire certe previsioni scientifiche, di raddoppiare le stime, evento poi non così raro per chi porta con sé patologie gravi? Un mistero intriso di passione per la vita e forse della consapevolezza di dover compiere una missione.
Sammy ha vissuto pienamente fino all’ultimo istante in una rete di relazioni che ha dato enorme senso al suo destino, una vita di qualità a prescindere dalla quantità; e lascia tutti noi con un sorriso.
Un sorriso: è la parola con cui concludeva ogni comunicazione Antonio Giuseppe Malafarina che se n’è andato, anche lui, troppo presto lo scorso febbraio dopo una vita piena di creatività, ma con un corpo totalmente paralizzato portato avanti con l’aiuto di un respiratore; e quello spirito apparteneva certamente anche a Franco Bomprezzi, pioniere del grande tema della disabilità, di cui a dicembre si ricorderanno i dieci anni dalla morte. Franco, sin dalla nascita sulla carrozzina per una osteogenesi imperfetta, definiva la sedia a rotelle il suo grande strumento di libertà. E sapeva concludere le sue riflessioni proponendo ai suoi interlocutori: ma perché ora non parliamo d’amore?
Sammy, Antonio, Franco, una costellazione di storie fulgide che cresce. E che ci fa crescere.
Franco Bomprezzi (1952-2014) e Antonio Giuseppe Malafarina (1970-2024), citati nel presente contributo, sono stati entrambi direttori responsabili di «Superando.it».