Grazie ai convegni a cui ho partecipato in questi anni in molte Regioni d’Italia, al lavoro di valutazione dei progetti nel Comitato Tecnico-Scientifico della FISH (Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap) per il concorso Le chiavi di Scuola [della terza edizione di quest’ultimo è stato aperto il bando nei giorni scorsi. Se ne legga cliccando qui, N.d.R.], ai contatti telefonici e via e-mail con i nostri Referenti Scuola e con numerosi docenti e genitori, al di là delle cifre presentate dagli Uffici Scolastici Regionali e Provinciali e dall’Osservatorio per l’Integrazione Scolastica del Ministero, credo si possa affermare che l’integrazione/inclusione scolastica degli alunni con disabilità è ormai un dato acquisito nel nostro Paese.
Ciò non vuol dire che ovunque si realizzino buone prassi. Se da un lato, infatti, si registrano ottime esperienze di vera inclusione, di vera presa in carico dell’alunno con disabilità da parte di tutte le componenti (Scuola, Enti Locali, ASL), dall’altro, purtroppo, si riscontrano situazioni ghettizzanti e discriminanti.
Oggi la scuola italiana soffre particolarmente per le condizioni dovute alla Riforma Gelmini, caratterizzata dalla filosofia del “taglio indiscriminato” delle risorse, dello spazio-classe, del tempo-scuola. Vi è molta preoccupazione per le conseguenze, che possono essere classi particolarmente numerose, risposte non sempre adeguate ai bisogni degli alunni e, in particolare, di quelli più deboli o con disabilità.
Il ruolo dell’ANFFAS (Associazione Nazionale Famiglie di Persone con Disabilità Intellettiva e/o Relazionale), attraverso la creazione del proprio Sportello Nazionale per l’Inclusione Scolastica e della Rete dei Referenti Scuola, ancor più in questo contesto, appare fondamentale. I compiti dello Sportello, infatti, come quelli di vigilare, intervenire, collaborare e, ove necessario, denunciare, oggi appaiono quanto mai irrinunciabili. Come dire, se non ci fosse, bisognerebbe attivarlo.
Come affrontare la scuola dell’infanzia
A mio parere è importante che i genitori:
– dispongano da subito di una diagnosi chiara;
– siano accompagnati e supportati, fin dall’inizio del percorso scolastico, da esperti dei servizi, di loro fiducia e, se possibile, da un’associazione di genitori;
– cerchino, anche sforzandosi, di essere collaborativi, di stabilire un clima sereno, senza tuttavia rinunciare mai ai diritti del bambino e più ampiamente di tutti i bambini;
– cerchino di riconoscere, come diversi ma complementari, gli aspetti riabilitativi e quelli educativi;
– vigilino sull’adeguatezza delle risorse attivate, come rispondenti agli effettivi bisogni dei bambini;
– si informino e conoscano la normativa emanata a tutela dei diritti del bambino con disabilità, possibilmente insieme ad altri genitori.
Importante è poi che le famiglie cooperino insieme: è un modo per non essere soli e permette di condividere progetti, speranze e anche paure, oltre ad aiutare ad essere più forti. E questo creare “comunità” dovrebbe essere un ruolo irrinunciabile per i Referenti Scuola dell’ANFFAS.
Il passaggio tra due ordini di scuola
Bisogna considerare che questo “passaggio”, se è faticoso per il bambino, lo è ancor più per la famiglia che vede divaricarsi la forbice fra il comportamento del figlio disabile e quello degli altri bambini. In questa fase si avverte resistenza, proprio perché si tratta di un momento doloroso e sconosciuto, privo di quei punti di riferimento faticosamente costruiti.
A mio parere è importante che il bambino con disabilità proceda nel percorso scolastico con il gruppo-classe di appartenenza, che continui a frequentare insieme ai coetanei. La scuola che riceve l’alunno deve promuovere forme di accoglienza che consentano al bambino e alla sua famiglia di conoscerne gli spazi, l’organizzazione, gli insegnanti, il dirigente scolastico e il personale non docente.
Contestualmente è bene prevedere – come stabilito dall’articolo 14 della Legge 104/92 – una serie di consultazioni fra i docenti delle due scuole e valutare la possibilità di fare accompagnare l’alunno nel periodo iniziale da un insegnante della classe della scuola di provenienza. La presenza dello psicopedagogista consentirebbe infine di coniugare gli elementi educativi con gli apprendimenti, facendo da cerniera fra i due ordini di scuola. Ma purtroppo queste figure stanno scomparendo!
Figure per l’inclusione: insegnante di sostegno, dirigente, insegnanti curricolari e personale per l’assistenza
Il mondo della scuola sta vivendo un periodo particolarmente difficile in quanto soffre di risorse non erogate e/o sottratte al buon funzionamento dell’intero sistema. In questo scenario, il processo di inclusione non resta immune, anzi, soffre delle nuove condizioni, di fatto peggiorative. Se il taglio delle risorse è un dato oggettivo e difficilmente contrastabile, quello che però non dobbiamo permettere di “tagliare” è la cultura dell’integrazione che da trent’anni si è radicata nella storia italiana.
Dal canto suo la normativa conferma la scelta dell’inclusione – per sua natura irreversibile – e accanto a quella italiana vi sono oggi anche altri importanti provvedimenti come la Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità, ratificata nel febbraio scorso dal Governo Italiano.
La formazione iniziale e in servizio del personale docente e non docente, dei dirigenti scolastici e delle altre figure operanti nel contesto scolastico è un tema prioritario che proprio in queste settimane – presso l’Osservatorio Nazionale per l’Integrazione Scolastica del Ministero – stiamo affrontando insieme alle altre associazioni. Di fronte quindi a personale carente numericamente o scarsamente formato, è bene fare riferimento, ad esempio, al Referente Scuola dell’ANFFAS locale oppure allo Sportello Nazionale ANFFAS per l’Inclusione Scolastica, che ha sede a Padova. La denuncia alla Magistratura dev’essere l’ultima spiaggia.
L’articolo 14 della Legge 328/00 (1)
L’Italia, si tratta di un dato consolidato, è il Paese al mondo che ha emanato le leggi più innovative: dalla Carta Costituzionale alla Legge 104/92, fino alla Legge 328/00. Quest’ultima norma ha sancito che il Comune, d’intesa con le ASL, deve rispondere al cittadino in base ai suoi bisogni (ciò sembra ovvio, ma prima del 2000 non esisteva una legge sull’assistenza e quindi si è giocato molto sui “carrozzoni clientelari” che dopo quella data sono stati sciolti e trasformati in enti pubblici).
La legge dunque c’è, ma la sua applicazione stenta ad attuarsi pienamente. L’articolo 14, ad esempio, prevede la stesura di un progetto individuale per le persone con disabilità e tuttavia molte volte questo progetto non viene elaborato. I Comuni dovrebbero impegnarsi ad applicare in modo corretto questo importante articolo di legge, tenendo conto che il Progetto di Vita (PdV) richiede particolare cura nella sua formulazione, soprattutto in fase di aggiornamento: è facile infatti confondere le aspirazioni della persona con disabilità con quelle della famiglia. In tal senso il PdV che non mira alla “normalizzazione” dell’alunno con disabilità disabile, bensì al potenziamento delle sue abilità, non deve rispondere a formulazioni soggettive, ma a una dimensione relazionale tra:
– persone: il rapporto tra operatori e famiglia consente di elaborare un Progetto di Vita più calzante per la persona con disabilità, modificabile in considerazione della sua evoluzione, dei suoi bisogni e dei suoi desideri;
– professionalità: competenze e sensibilità vanno integrate tra loro per conseguire risultati positivi;
– contesto: è necessario rispettare i differenti ambiti di vita che la persona con disabilità frequenta, dalla scuola alla casa, dal luogo di lavoro agli spazi del tempo libero e dello sport.
Tutti siamo convinti che un Progetto di Vita non sopporti interruzioni e che ogni evento, ogni azione messa in atto, debba essere vista in funzione dello sviluppo di tutte le potenzialità che l’individuo adulto deve possedere per raggiungere il massimo livello di autonomia e per diventare con ciò veramente protagonista della sua esistenza. Il PdV, pertanto, lungi dall’essere statico, si propone come strumento dinamico e flessibile, soggetto a verifiche e a valutazioni da parte di tutte le componenti coinvolte, coordinate da un supervisore nominato dal Comune.
Parlando infine di contesto sociale non possiamo limitarci a identificarlo esclusivamente con la scuola, che rappresenta il contesto privilegiato limitatamente ad un periodo della vita dell’individuo, quello evolutivo. L’esistenza contempla infatti altri periodi fondamentali, come la vita adulta, la terza età, la vecchiaia e, per ciascuno di essi, si dovrebbe ricercare l’attivazione di ogni forma di integrazione utile allo sviluppo delle potenzialità della persona, indipendentemente dalle condizioni di gravità o meno.
Diritto di frequenza della scuola secondaria di secondo grado
Bisogna ricordare che – salvo imprevisti interventi del ministro Gelmini – l’obbligo scolastico è previsto fino a 16 anni, l’obbligo formativo fino a 18. La Sentenza della Corte Costituzionale n. 215 del 3 giugno 1987 (2) afferma che per tutti gli studenti con disabilità «”è assicurata” la frequenza alle scuole medie superiori». Questo significa che, come genitori, all’inizio della scuola secondaria di primo grado (l’ex scuola media) dobbiamo impegnare gli insegnanti, il Gruppo di Lavoro per l’Handicap Operativo (GLHO) e il Gruppo di Lavoro per l’Handicap d’Istituto (GLHI) al fatto che tutti gli alunni con disabilità devono essere preparati per sostenere l’esame di licenza media sulla base di quanto progettato nel proprio Piano Educativo Individualizzato (PEI). Diversamente si attua una discriminazione, in quanto non si permette all’alunno con disabilità di concludere il proprio percorso scolastico come gli altri. L’esame, naturalmente, viene predisposto con prove differenziate!
In relazione poi al Progetto di Vita, fin dal primo anno della scuola media è utile chiedere un percorso di orientamento – per altro previsto per tutti gli alunni – che tenga conto delle opportunità, delle capacità possedute, delle performance e delle potenzialità dell’alunno con disabilità. La scelta della scuola superiore non deve cadere sempre e comunque sui centri di formazione professionale o sugli istituti professionali. Il percorso scelto deve infatti rispondere alle attitudini e agli interessi degli alunni. Il rapporto di continuità, previsto tra i due ordini di scuola, deve coinvolgere la famiglia e l’alunno con disabilità, promovendo un costante dialogo fra i vari attori. Per favorire infine il passaggio, si possono creare progetti specifici di orientamento tra la scuola media e la scuola superiore di destinazione.
Permangono certamente alcune problematiche, come la preparazione e la disponibilità degli insegnanti della scuola superiore. Nella mia esperienza di relatrice e attraverso i contatti con molte scuole in tutto il territorio nazionale, devo riconoscere che, per fortuna, esistono molte realtà in cui la qualità dell’inclusione è buona. Anche il già citato concorso nazionale promosso dalla FISH, Le chiavi di Scuola, giunto quest’anno alla sua terza edizione, mi ha permesso di conoscere esperienze significative non solo in scuole professionali, ma anche in storici licei, compreso il liceo classico. Questo significa che “Se si vuole, si può“!
Dobbiamo quindi chiedere che gli insegnanti possano disporre pienamente degli strumenti della tecnologia moderna e che possano avvalersi di risorse esterne alla scuola. Al tempo stesso dev’essere assicurata a tutti gli insegnanti, in formazione iniziale e quelli in servizio, una maggiore conoscenza delle nuove metodologie e strategie didattiche utili a tutti gli alunni.
Come genitori dobbiamo ricordarci inoltre che quanto più i nostri figli stanno a contatto con i loro compagni di scuola, loro coetanei, tanto più si arricchiscono e apprendono; processo, questo, che funziona nelle due direzioni, perché anche i compagni si arricchiscono e apprendono da loro.
L’integrazione dei disabili, che ha visto l’Italia apripista a livello mondiale, sembra che oggi stia perdendo un po’ di smalto: altre questioni sembrano balzare in primo piano, come la meritocrazia e l’eccellenza, piuttosto che una scuola di tutti e per ciascuno.
Il vuoto fra la scuola e il mondo del lavoro
Quest’ultimo è senz’altro un punto dolente, sul quale le nostre associazioni dovrebbero essere molto più impegnate. Soprattutto dovrebbero essere convinte del fatto che i ragazzi con disabilità hanno diritto ad assumere un proprio specifico ruolo all’interno della società. Si tratta di una questione complessa, difficile, assolutamente da non trascurare. L’età adulta delle persone con disabilità rende infatti ancora più complessa la situazione. I genitori si trovano ad affrontare questioni sempre più complicate, mentre osservano i compagni di scuola che, crescendo, frequentano l’università, lavorano, si sposano, hanno dei figli. E questo genera e alimenta la preoccupazione del cosiddetto “durante e dopo di noi”.
Eppure la Costituzione, all’articolo 4, recita: «La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto». Con la Legge 68 del 12 marzo 1999, vengono promossi l’inserimento e l’integrazione lavorativa delle persone con disabilità nel mondo del lavoro, attraverso servizi di sostegno e di collocamento mirato; però, a mio modesto parere, l’articolo 14 del Decreto Legislativo 276 del 10 settembre 2003 (4) ha un po’ frenato l’assunzione di persone con disabilità nel mondo del lavoro e la gravissima crisi economica odierna penalizza ulteriormente il percorso di inserimento lavorativo.
l mondo politico ed economico, e ovviamente le famiglie, devono riconoscere il lavoro come fulcro per una vita equilibrata. Di fronte all’incertezza di un lavoro scarsamente retribuito e la certezza di una misera pensione, è bene che le famiglie optino per il lavoro, ovvero riconoscano un ruolo sociale alla persona con disabilità, restituendole dignità e rafforzandone l’autostima.
Se da un lato, quindi, il processo di inclusione è diventato parte integrante del tessuto scolastico – anche se c’è da fare ancora molta strada – esso fatica ad entrare nella dimensione lavorativa in cui, quale unica alternativa, permane il ricorso a cooperative sociali.
*Consigliera nazionale dell’ANFFAS (Associazione Nazionale Famiglie di Persone con Disabilità Intellettiva e/o Relazionale), con Delega alle Politiche per l’Inclusione Scolastica e responsabile dello Sportello Nazionale ANFFAS per l’Inclusione Scolastica. Il presente testo è il riadattamento – qui ripreso per gentile concessione – di un’intervista al periodico informativo «Ce Cjalistu» dell’ANFFAS Regionale Friuli Venezia Giulia. L’Autrice del testo può essere direttamente contattata a: anffasnazscuola@libero.it.
(2) Sentenza della Corte Costituzionale n. 215 del 3 giugno 1987: Oggetto: “Giudizio di legittimità costituzionale in via incidentale art. 28, terzo comma, della legge 30 marzo 1971, n. 118: Scuola – mutilati ed invalidi civili – soggetti portatori di handicaps – diritto alla frequenza delle scuole secondarie superiori – effettiva e concreta realizzazione del diritto – mancata assicurazione – violazione degli artt. 3.30.31 e 34 della Costituzione – Illegittimità costituzionale parziale.”
(3) Legge 68/99: Norme per il diritto al lavoro dei disabili. Capo I, articolo 1, comma 1: «La presente legge ha come finalità la promozione dell’inserimento e della integrazione lavorativa delle persone disabili nel mondo del lavoro attraverso servizi di sostegno e di collocamento mirato…».
(4) Decreto Legislativo 276/03: Attuazione delle deleghe in materia di occupazione e mercato del lavoro, di cui alla legge 30/03 [Legge Biagi]. L’articolo 14 di tale Decreto fornisce un ulteriore strumento per l’adempimento dell’obbligo previsto dalla Legge 68/99 e per lo sviluppo di azioni di responsabilità sociale. Esso prevede nel dettaglio che i servizi competenti (Province) possano stipulare con le associazioni sindacali datoriali e dei lavoratori apposite convenzioni finalizzate all’integrazione lavorativa di persone disabili presso le cooperative sociali, nei confronti delle quali le aziende si impegnano ad affidare commesse di lavoro (si veda l’elenco delle Cooperative Sociali di tipo B riconosciute dalla Provincia per l’applicazione dell’articolo 14).
L’utilizzo della convenzione con l’articolo 14 può riguardare solo un disabile per le aziende che occupano fino a 50 dipendenti e il 20% dell’aliquota d’obbligo dei lavoratori disabili da assumere per le aziende con più di 50 dipendenti.