“Bamboccioni” non si nasce

Affetta da una grave malattia neuromuscolare, in un periodo di crisi socio-economica in cui i giovani sono spesso accusati di essere dei “bamboccioni” senza sogni da realizzare, la giovane mantovana Serena Mortari ha avuto il coraggio di seguire le proprie passioni, avviando uno studio che offre servizi alla persona

Serena Mortari

Serena Mortari

Serena: nomen omen, è il caso di dire, quando la guardi, infatti, infonde tranquillità, ma soprattutto intelligenza e raffinatezza. Serena Mortari, questa squisita giovane mantovana, affetta da atrofia muscolare spinale, proprio in un periodo di crisi socio-economica in cui i giovani sono accusati di essere dei “bamboccioni” senza sogni da realizzare, ha avuto il coraggio di seguire le sue passioni, aprendo uno studio che offre servizi alla persona.

Dottoressa Mortari, può dirci, per cominciare, qual è stata la sua formazione?
«Dopo la scuola dell’obbligo ho conseguito la maturità scientifica. In seguito mi sono laureata in Scienze dell’Educazione a Verona, con una tesi dal titolo Arte-terapia in educazione speciale. In quegli anni ho avuto l’opportunità di svolgere un’esperienza di tirocinio presso una struttura che accoglie minori maltrattati e/o senza riferimenti familiari, e malati di HIV-AIDS. Il mio percorso formativo è proseguito con il conseguimento di un master in Pedagogia Cognitivo-Neuromotoria, grazie al quale ho potuto condurre in équipe una ricerca applicata per la valutazione della qualità delle cure presso l’ARC (Associazione Ricerca sulle Cerebropotenzialità) di Verona. Inoltre ho partecipato a un project-work legato a un’attività di ricerca, consistita nello studio di casi di minori in situazione di handicap, inseriti nelle scuole d’infanzia del Comune di Vicenza.
Ancora, nel maggio del 2011 ho conseguito il titolo di Dottore di Ricerca in Scienze dell’Educazione e della Formazione Continua presso l’Università di Verona, con la tesi dal titolo Disabilità e sicurezza nell’impresa: formazione e prevenzione. La strategia formativa della personalizzazione per una cultura della sicurezza inclusiva in azienda. In letteratura si riscontra una grave lacuna: a seguito infatti dell’obbligo per le aziende di assumere persone con disabilità (Legge 482/68, abrogata dalla 68/99), in Italia non si sono mai compiuti studi sulla gestione della sicurezza di questi lavoratori. Il progetto di ricerca è stato presentato al Congresso Internazionale “Mediterraneo senza Handicap”, intitolato Dignità e cittadinanza reale della persona con disabilità, tenutosi a Marsiglia nel 2009, mettendo in evidenza le problematiche emerse dalle prime fasi di studio.
Lavorando alla laurea prima, al master e al dottorato poi, ho potuto mettere a frutto la mia capacità di affrontare terreni scientifici vari e valorizzare un certo eclettismo, sviluppando una sensibilità che mi permette un approccio delicato, ma allo stesso tempo concreto e incisivo ai problemi che le persone si trovano ad affrontare in situazioni di difficoltà».

Quanto ha contato la disabilità nelle sue scelte dapprima scolastiche e poi lavorative?
«Devo ammettere che la disabilità ha avuto un peso considerevole. La scelta del liceo scientifico è stata compiuta tenendo conto anche del fatto che era l’unico istituto che non prevedeva rientri pomeridiani, che per me sarebbero risultati fisicamente pesanti, e che mi avrebbero reso più difficile proseguire le mie attività di fisioterapia. Cosa, per altro, che alla fine è successa ugualmente, in quanto si tratta di una scuola particolarmente dura, che richiede un grande impegno nello studio. A questo si aggiunga la scarsa disponibilità degli insegnanti a venire incontro alle mie esigenze. Solo negli ultimi tempi, ad esempio, mi fu concesso l’uso del computer in aula.
Anche la scelta dell’università è stata poi condizionata in qualche modo dalla mia disabilità perché a Mantova, dove vivo, ai tempi non c’erano facoltà di mio interesse e quindi ho dovuto ripiegare su un Ateneo a me vicino, come quello di Verona e la mia passione per Psicologia è stata dirottata verso Scienze dell’Educazione.
Per quanto riguarda infine il lavoro, la mia condizione ha influito su due fronti: da una parte la voglia di diventare – in quanto persona con disabilità e con competenze specifiche maturate in questo ambito – una risorsa per chi come me vive questa problematica, e dall’altra parte la difficoltà di inserirmi nel mercato del lavoro come dipendente».

In un periodo di crisi socio-economica come questa, com’è nata l’idea di aprire un’attività autonoma come uno studio di servizi alla persona? Qual è la vostra offerta e il vostro target di riferimento?
«L’idea di aprire un centro servizi alla persona è nata dalla volontà di rendere fruttuosi il mio percorso di studi e le competenze acquisite, e dalla consapevolezza di poter offrire un reale sostegno a chi vive situazioni di disagio e difficoltà. Lo Studio Serena Mortari nasce quindi per garantire un sistema che risponda ai bisogni delle persone, impegnandosi in modo particolare nella valutazione delle disabilità e delle risorse cognitive, neuromotorie e psicologiche.
In sostanza, mettiamo a disposizione le nostre competenze, con l’obiettivo di creare percorsi individualizzati in grado di promuovere l’autonomia e l’inclusione in ambito scolastico e sociale. L’intervento è di tipo interdisciplinare e coinvolge varie professionalità nella prospettiva di un’azione mirata, rispondente alle reali necessità individuali. Si possono proporre training cognitivi e neuromotori, attività di gruppo per sviluppare abilità sociali e comunicative e prese in carico psicoterapeutiche, avvalendosi della consulenza esterna di professionisti abilitati. L’intento è quello di rendere la persona parte attiva del proprio percorso riabilitativo, coinvolgendo – dove necessario – la famiglia, che svolge un ruolo fondamentale nella crescita del bambino.
Il nostro Studio effettua valutazioni secondo l’approccio pedagogico-cognitivo-neuromotorio, che tratta i problemi educativi speciali dei soggetti con handicap e disabilità di vario tipo, presenti fin dal periodo neonatale. Siamo pertanto in grado di intervenire nei processi di sviluppo del bambino, individuandone i bisogni educativi speciali e organizzando i servizi necessari. La finalità è quella di rispondere all’esigenza di adeguare l’operatività dei servizi sanitari e socio-educativi ai bisogni di risposte immediate e globali delle famiglie che vivono la situazione estrema di avere figli con disturbi dello sviluppo. È possibile programmare verifiche periodiche in videoconferenza, per dare un seguito al lavoro iniziato, limitando gli spostamenti.
A tutto ciò si collegano i servizi di segretariato sociale, per garantire un adeguato supporto al disbrigo di pratiche relative a immigrazione e previdenza sociale, in collaborazione con il Patronato SIAS (Servizio Italiano Assistenza Sociale) di Milano. Lo Studio, inoltre, offre anche servizi all’impresa legati alla multimedialità: creazione di siti web, realizzazione di presentazioni in PPT, CD e altro materiale, battitura ed elaborazione di testi, sbobinatura di file audio e video e anche la cura di relazioni e presentazioni aziendali, con traduzioni in varie lingue se necessario.
Ci occupiamo infine di consulenza, formazione e informazione su tutte le tematiche legate alla diversità: disabilità, multiculturalità, lavoro femminile ecc., e di consulenza amministrativa e gestionale d’impresa (in collaborazione con lo Studio Associato Professionale AcT di Antonino Attanasio, avvocato, e Giuseppe Todisco, revisore dei conti, di Cesenatico».

Com’è noto, nel mondo della disabilità la difficoltà a trovare lavoro è più marcata che in altri settori. Ciò accade per vari motivi che vanno dalle difficoltà fisiche, al pregiudizio di un eventuale datore di lavoro. Pertanto è più frequente che il disabile cerchi un posto da lavoratore dipendente. Come giudica tale scelta? È un’oggettiva difficoltà o vi è anche una componente di “pigrizia”?
«Purtroppo il pregiudizio esiste sempre, anche nel lavoro autonomo. E indubbiamente occorre uno sforzo maggiore per far capire alle persone il valore del nostro lavoro. Càpita che alcuni entrino nel mio studio e rimangano sorpresi di vedermi in sedia a rotelle, e a volte l’imbarazzo è palpabile. Ma quando si riesce a dimostrare che i servizi offerti dallo studio sono di livello elevato, le stesse persone tornano più convinte e si rapportano a me in maniera “normale” (mi si passi il termine), come con un qualsiasi altro professionista “normodotato”. E anzi, per la particolare tipologia di utenza, a volte la mia disabilità risulta una risorsa in più, perché le persone in difficoltà si sentono più “capite” avendo vissuto io in prima persona determinate problematiche.
Ritengo che purtroppo l’inserimento lavorativo attraverso il collocamento mirato delle persone con disabilità non funzioni adeguatamente. Ci sono vari studi che lo dimostrano. Più che di “pigrizia”, parlerei di triste rassegnazione che ha inizio dal periodo scolastico a causa delle difficoltà che si incontrano. Ed è vero: è più facile abbattersi e rassegnarsi, piuttosto che risollevare la china e rimboccarsi le maniche. Ma le difficoltà sono reali. Nella maggior parte dei casi, il datore di lavoro – così come viene riportato da varie ricerche – continua a considerare il lavoratore con disabilità come poco produttivo e bisognoso di aiuto, tanto che spesso si preferisce pagare una sanzione per il mancato adempimento della legge piuttosto che adattare il posto di lavoro in base alle necessità del disabile. E questo spiega anche come mai la disabilità grave sia presente nelle aziende in percentuali irrisorie».

Che consiglio si sente di dare a chi, come lei, volesse intraprendere un lavoro autonomo?
«Intraprendere un lavoro autonomo presenta notevoli difficoltà e purtroppo è richiesto un investimento oneroso da un punto di vista economico che non tutti purtroppo possono permettersi, soprattutto se l’avvio di un’attività in proprio necessita di una struttura in cui operare (con ingenti spese legate ad affitto e bollette). Inoltre, è opportuno ricordare che per poter svolgere il mio lavoro, ho bisogno costante di aiuto che mi viene garantito dall’assunzione di un’assistente personale che attualmente posso permettermi grazie a un progetto di Vita Indipendente (Legge 162/98).
Fatte queste premesse, il consiglio che mi sento di dare è di acquisire competenze continuando a studiare e aggiornarsi nel proprio campo di interesse, e di lavorare anche su se stessi, in modo da impadronirsi di quella sicurezza necessaria per riuscire a proporsi efficacemente all’utenza risultando convincenti».

Il presente testo è già apparso nel sito del Gruppo Donne UILDM (Unione Italiana Lotta alla Distrofia Muscolare), con il titolo “Bamboccioni non si nasce: la storia di Serena Mortari”, e viene qui ripreso, con alcuni lievi riadattamenti al contesto, per gentile concessione.

Il Gruppo Donne UILDM
14 eventi e altrettante pubblicazioni della collana Donna e disabilità, tantissimi articoli, interviste, recensioni, adesioni a campagne ecc., organizzati per temi, varie segnalazioni di film attinenti alle donne disabili, centinaia di segnalazioni bibliografiche e di risorse internet schedate: è questa la produzione del Gruppo Donne UILDM (Unione Italiana Lotta alla Distrofia Muscolare), che costituisce certamente una delle esperienze più vive e interessanti – nel campo della documentazione riguardante la disabilità – avviata nel 1998 in modo informale.
Gli obiettivi originari erano da una parte quello di raggiungere le pari opportunità per le donne con disabilità, attraverso una maggiore consapevolezza di sé e dei propri diritti, dall’altra cogliere la “diversità nella diversità”, riconoscendo la specificità della situazione delle donne disabili.
Poi, nel corso degli anni, il Gruppo ha cambiato in parte il proprio ambito d’interesse, oltre a non essere più composto da sole donne e a non occuparsi esclusivamente di questioni femminili. La stessa disabilità è diventata uno dei tanti elementi in un percorso di integrazione e di apertura su più fronti.
Nel 2008, per festeggiare il suo decimo “compleanno”, il Coordinamento del Gruppo Donne (composto attualmente da Francesca Arcadu, Annalisa Benedetti, Valentina Boscolo, Oriana Fioccone, Simona Lancioni, Francesca Penno, Anna Petrone, Fulvia Reggiani e Gaia Valmarin) ha deciso di investire di più in informazione e in documentazione, recuperando i suoi obiettivi originari, senza rinunciare all’apertura quale tratto distintivo. E così – come in un laboratorio – è iniziato un lavoro finalizzato a organizzare e rendere fruibili, attraverso il proprio spazio internet, le informazioni che circolano all’interno del Coordinamento stesso.
Un importante, ulteriore salto di qualità, infine, si è avuto con la creazione di un repertorio (VRD – Virtual Reference Desk), che raggruppa le varie risorse fruibili in internet (in lingua italiana) di e su donne con disabilità.
Nel 2011 il Gruppo Donne UILDM ha anche ricevuto da Decima Musa Caravaggio (Associazione Culturale Europea-Compagnia Teatrale) il Premio Decima Musa «per il valore di un’attività finalizzata al raggiungimento delle pari opportunità, che sottolinea e affronta il problema specifico e la situazione delle donne disabili».
Il Gruppo Donne UILDM è anche su Facebook (cliccare qui).

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