Ciò che conta è il diritto di lavorare!

Sia la FISH che la FAND, ovvero le Federazioni che rappresentano la quasi totalità delle Associazioni di persone con disabilità e delle loro famiglie, prendono posizione nei confronti di quella stampa che, “scivolando” su temi delicati e complessi quale il diritto al lavoro delle persone con disabilità, si è pronunciata in questi giorni contro quel Decreto Attuativo del “Jobs Act” riguardante l’assunzione delle stesse persone con disabilità tramite chiamata nominativa da parte dei datori di lavoro

Donna in carrozzina al lavoro al computer«Lasciano perplessi gli interventi di blasonati quotidiani su temi delicati e complessi quali il diritto al lavoro delle persone con disabilità, quando raccolgono un solo punto di vista e non effettuano un minimo di verifica sui dati e sulle fonti. È il caso dell’articolo di oggi pubblicato da «la Repubblica» a firma di Valentina Conte (Jobs Act e assunzione disabili mano libera alle imprese)».
Inizia così una nota diffusa dalla FISH (Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap), che spiega come quell’articolo de «la Repubblica» sia incentrato «sulla contestazione della misura contenuta in uno dei Decreti Attuativi del cosiddetto “Jobs Act” che prevede la possibilità per le aziende di rispettare gli obblighi di assunzione delle persone con disabilità ricorrendo alla chiamata nominativa, opportunità già riservata ad alcuni datori di lavoro (fra i quali i sindacati e le aziende fra i 15 e i 35 dipendenti)».
Si tratta esattamente del Sesto Decreto Attuativo della riforma sul lavoro nota appunto come Jobs Act, approvato insieme ad altri nei giorni scorsi e dedicato a Disposizioni di razionalizzazione e semplificazione delle procedure e degli adempimenti a carico di cittadini e imprese e altre disposizioni in materia di rapporto di lavoro e pari opportunità (nello specifico alla Razionalizzazione e semplificazione dell’inserimento mirato delle persone con disabilità).

Ebbene, come viene sottolineato dalla FISH, secondo i detrattori di quel provvedimento, tra cui l’articolista de «la Repubblica», «le aziende ne approfitteranno per assumere le persone con disabilità meno grave. Questo, però, senza alcun riferimento a quello che è invece un fatto certo, ovvero che nel 2013, a fronte di 676.775 iscritti alle liste di collocamento (Legge 68/99), ci sono stati solo 18.295 avviamenti a cura dei Servizi per l’Impiego e che nello stesso periodo vi sono state 5.538 risoluzioni del rapporto di lavoro. Sempre nel 2013, inoltre, rimanevano disponibili almeno 40.000 posti di lavoro non occupati, come indicato dalla VII Relazione al Parlamento sull’attuazione della Legge 68/99. Anni 2012-2013».
«I numeri – osserva Vincenzo Falabella, presidente della FISH -, dietro i quali ci sono sempre le persone e le loro vite, dimostrano che l’incontro fra domanda e offerta non funziona, che i Servizi per l’Impiego non dispongono di strumenti sufficienti per un’inclusione basata sulle potenzialità delle singole persone, che le aziende continuano a ritenere un balzello assumere una persona con disabilità, ciò che riguarda in modo particolare le persone con disabilità intellettiva e grave».
«In realtà – ricorda Falabella – quella proposta ripresa all’interno del Decreto Attuativo del Jobs Act è il frutto di una riflessione condivisa e approfondita in sede di Osservatorio Nazionale sulla Condizione delle Persone con Disabilità, istituito presso il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, cui afferiscono Associazioni, Regioni, Sindacati, Enti Pubblici. Un’idea che tende a rimuovere ogni scusante all’inclusione lavorativa delle persone con disabilità, a rivisitare i percorsi e gli strumenti di sostegno e mediazione e, appunto, a fare incontrare la domanda e l’offerta, mantenendo saldamente gli obblighi e gli incentivi (che riguardano soprattutto le persone con più grave disabilità), ma superando anche alcuni limiti che si sono rivelati un boomerang per gli stessi intenti della norma».
«Quel passaggio del Decreto Attuativo – conclude quindi il Presidente della FISH – va in direzione diametralmente opposta a quella semplicisticamente delineata nell’articolo della “Repubblica”, oltre a rappresentare un punto di partenza per ricostruire percorsi che, alla prova dei fatti, si sono rivelati largamente fallimentari. Le soluzioni, infatti, si cercano non arroccandosi nella difesa ideologica di “totem organizzativi”, per altro ben poco funzionali, ma tentando di aggredire il fenomeno conoscendolo approfonditamente e ricorrendo a formule complessive più efficaci. Le persone con disabilità hanno diritto di lavorare!».

Sulla questione e su certe notizie di stampa apparse in questi giorni, che hanno puntato il dito in particolare sulla possibilità per le aziende di assumere disabili per chiamata nominativa, si pronuncia anche Franco Bettoni, presidente della FAND (Federazione tra le Associazioni Nazionali di Persone con Disabilità), l’altra grande Federazione di Associazioni di persone con disabilità e delle loro famiglie. «Non riteniamo – dichiara in tal senso – che il mondo della disabilità sia minacciato dall’attuazione del Jobs Act. Anzi ci impegneremo a verificare che i nuovi strumenti offerti dalla Delega amplino le possibilità di occupazione e permettano di superare le gravi lacune che già esistono da anni».
«Ad oggi – aggiunge il Presidente della FAND – più della metà delle assunzioni avviene mediante lo strumento delle convenzioni, che consente di diluire e programmare gli interventi, mentre la restante metà avviene già quasi interamente per chiamata nominativa. Solo il 7% delle assunzioni avviene per chiamata numerica. A voler guardare la questione in modo obiettivo, bisognerebbe piuttosto capire perché i Centri per l’Impiego non riescono a produrre numeri accettabili in termini di incontro tra domanda e offerta di lavoro: nel 2013, infatti, per ogni quattro nuove persone con disabilità che si erano iscritte alla lista del collocamento obbligatorio, andando ad aggiungersi ai tanti che già c’erano da tempo, solamente uno aveva effettivamente trovato un lavoro. Ma se il termine di paragone sono gli iscritti, il calcolo è ancora più impietoso: un avviamento al lavoro ogni 36 iscritti al collocamento!».
«Pertanto – prosegue Bettoni – non si può certo dire che la riforma abbia intaccato un meccanismo funzionante e proprio per questo, come FAND, abbiamo condiviso la proposta del Governo, dopo averne lungamente discusso in seno all’Osservatorio Nazionale sulla Condizione delle Persone con Disabilità, nel quale sono state rappresentate tutte le diverse esigenze in ballo, prima fra tutte quella di garantire alle persone disabili le più ampie possibilità di inclusione».
«Ciò non toglie – conclude Bettoni – che la normativa andrà monitorata nel tempo e che i Centri per l’Impiego andranno rafforzati con tutti gli strumenti messi ora a disposizione dal Decreto: attorno ad essi, infatti, deve crearsi quella rete di soggetti e servizi indispensabile per un loro efficace funzionamento e in questo senso l’istituzione dell’Agenzia Nazionale per le Politiche Attive sarà uno strumento prezioso. Quanto alle semplificazioni, è da escludere che esse possano facilitare l’elusione degli obblighi di assunzione e, se anche ciò dovesse avvenire, sarà nostro impegno rivendicare il diritto delle persone con disabilità a una piena inclusione lavorativa». (S.B.)

Per ulteriori informazioni e approfondimenti: Ufficio Stampa FISH (ufficiostampa@fishonlus.it); Ufficio Stampa FAND (ufficiostampa.anmil@gmail.com).

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