La cabala dei numeri utili ovvero anche un punto di invalidità fa la differenza

«Chi si occupa di inclusione lavorativa delle persone con disabilità – scrive Marino Bottà – sa che deve fare i conti con una serie di numeri e percentuali che possono facilitarne il collocamento e che anche un solo punto di invalidità ha delle ripercussioni sulle possibilità di accesso al lavoro e sulla qualità del rapporto contrattuale. La percentuale di invalidità acquista infatti un valore primario nella presentazione all’azienda, in un quadro che si intreccia con i pregiudizi degli imprenditori. Vediamo come e perché»

Giovane con disabilità intellettiva all'opera in un laboratorio artigiano

Un giovane con disabilità intellettiva all’opera in un laboratorio artigiano

Chi si occupa di inclusione lavorativa delle persone con disabilità sa che deve fare i conti con una serie di numeri e percentuali che possono facilitarne il collocamento. Purtroppo i medici delle Commissioni delle ASL, dell’INPS, e dell’INAIL, che rilasciano le certificazioni di invalidità, non ne sono a conoscenza. E non ne sono a conoscenza nemmeno le persone con disabilità iscritte negli elenchi del Collocamento Mirato Provinciale, così come e i datori di lavoro che devono assolvere agli obblighi assuntivi previsti dalla Legge 68/99 (Norme per il diritto al lavoro dei disabili). È quindi opportuno che almeno i diretti interessati sappiano che il rapporto disabilità lavoro, e le potenzialità di collocamento sono fortemente legate alle percentuali di invalidità. Vediamo come.

Il 34% di invalidità riconosciuta dall’INAIL ai lavoratori che hanno subito un infortunio sul lavoro, o hanno contratto una malattia professionale, consente il diritto alla conservazione del posto di lavoro e di essere adibiti ad una mansione compatibile con lo stato invalidante.
Nel caso di interruzione del rapporto, il lavoratore può iscriversi negli elenchi del Collocamento Disabili, posizionarsi come primo nella graduatoria provinciale, e usufruire dei servizi previsti dalla Legge 68/99.

Il 46% di invalidità civile riconosciuta dalle Commissioni Mediche delle ASL, costituite a norma dell’articolo 4 della Legge 104/92, consente alla persona disoccupata di iscriversi al Collocamento Disabili per essere collocata al lavoro ai sensi della Legge 68/99.
Ai datori di lavoro è concesso –  a domanda – un incentivo per un periodo di 60 mesi, nella misura del 70% della retribuzione mensile lorda imponibile ai fini previdenziali, per ogni lavoratore con disabilità intellettiva e psichica assunto a tempo indeterminato o determinato, per una durata di tempo non inferiore a 12 mesi e per tutta la durata del contratto.

Il 50% di invalidità consente alle aziende tra i 15 e i 35 dipendenti di assumere un lavoratore con disabilità e di assolvere all’obbligo di legge indipendentemente dal numero di ore registrate a contratto. Si tratta, a parere di chi scrive, di una norma assurda espone il disoccupato a forme di ricatto da parte delle aziende. Il 50% di invalidità consente inoltre il rimborso forfettario parziale delle spese necessarie all’adozione di accomodamenti ragionevoli, all’apprendimento di tecnologie di telelavoro o alla rimozione delle barriere architettoniche che limitano in qualsiasi modo l’integrazione della persona con disabilità, nonché per istituire il responsabile dell’inserimento lavorativo nei luoghi di lavoro.

Il 60% di invalidità consente all’azienda di poter riconoscere il lavoratore con disabilità, divenuto tale in costanza di rapporto di lavoro, e di inserirlo nella cosiddetta “quota di riserva”. Se però il lavoratore ha acquisito una percentuale inferiore, il datore di lavoro lo spinge a dimettersi, per iscriversi al Collocamento Disabili, per poi chiedere il nullaosta  per la riassunzione. In questo modo il lavoratore può essere conteggiato nella “quota di riserva” come “disabile in forza”.
Qui penso sia inutile descrivere l’imbarazzo e le preoccupazioni in cui si trovano il lavoratore e il datore di lavoro, ma nonostante l’assurdità della norma, il Ministero non ha mai provveduto a riconoscere il disabile in quota d’obbligo con la stessa percentuale (46%) richiesta per l’iscrizione al Collocamento Disabili, ai sensi della Legge 68/99.

Il 67% di invalidità consente all’azienda la possibilità di beneficiare delle agevolazioni previste dal Fondo per il Diritto al Lavoro dei Disabili, ai sensi dell’articolo 13 della Legge 68/99. Ai datori di lavoro è concesso – a domanda – un incentivo per un periodo di 36 mesi (nella misura del 35% della retribuzione mensile lorda imponibile ai fini previdenziali), per ogni persona  con disabilità assunta con rapporto di lavoro a tempo indeterminato, che abbia una riduzione della capacità lavorativa compresa fra il 67 e il 79 per cento.

Il 74% di invalidità civile consente di percepire l’assegno di assistenza o l’assegno di invalidità, diritto, per molti anni, subordinato all’obbligo d’iscrizione al Collocamento Disabili, ma ora superato (procedura erroneamente ancora suggerita da alcuni patronati locali).
Il Decreto Legislativo 151/15 ha concesso inoltre la possibilità di iscrizione al Collocamento Disabili anche alle persone nelle condizioni di cui all’articolo 1 della Legge 222/84: ossia possono iscriversi coloro che hanno avuto una certificazione rilasciata dall’INPS a fini pensionistici.

L’80% di invalidità consente alle aziende di beneficiare di maggiori agevolazioni da parte del Fondo per il Diritto al Lavoro dei Disabili. In sostanza, ai datori di lavoro è concesso – a domanda – un incentivo per un periodo di 36 mesi (nella misura del 70% della retribuzione mensile lorda imponibile ai fini previdenziali), per ogni persona con disabilità assunta con rapporto di lavoro a tempo indeterminato. Sempre con questa percentuale, attraverso il Fondo Regionale, è possibile avere servizi aggiuntivi e partecipare a progetti e buone prassi.

Infine, quella del 100% è considerata come un’invalidità totale, spesso ritenuta erroneamente causa della perdita di ogni capacità lavorative. Infatti, a volte, impropriamente, viene sconsigliata l’iscrizione al Collocamento Disabili. Dal canto loro, la maggior parte delle aziende ritiene che non sia possibile assumere questi lavoratori, e che comunque non ne valga la pena in quanto improduttivi. Quest’ultimo pregiudizio è uno dei più diffusi. Per sintetizzarlo in un motto: «Se sale la percentuale di invalidità, automaticamente cala la produttività».

Da tutto quanto detto consegue che anche un solo punto di invalidità ha delle ripercussioni sulle possibilità di accesso al lavoro e sulla qualità del rapporto contrattuale. In altre parole, la percentuale di invalidità acquista un valore primario nella presentazione all’azienda, in un quadro in cui l’incontro tra domanda e offerta si intreccia con i pregiudizi degli imprenditori. Il modo in cui il lavoratore si presenta o viene presentato all’azienda, le agevolazioni di cui è portatore, e infine la percentuale di invalidità: tutto ciò incide positivamente o negativamente sull’assunzione.
Per queste ragioni un’inadeguata modalità di presentazione, o una scarsa credibilità del mediatore, pregiudicano la possibilità ai soggetti più deboli e a quelli con un’alta percentuale di invalidità di essere collocati. Al contrario, una giovane con disabilità intellettiva e sorda con l’80% di invalidità, adibita alla cernita di bulloni speciali si rivelò migliore delle colleghe “normali”, e un disabile fu assunto da un’impresa tessile, nonostante avesse una percentuale del 100%, fosse tossicodipendente, sieropositivo, detenuto e con una prognosi nefasta per un tumore. Il direttore chiuse il colloquio di presentazione dicendo: «Mi fido di lei, e quindi mi va bene!».

Già responsabile del Collocamento Disabili e Fasce Deboli della Provincia di Lecco (marino.botta@umana.it).

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