Resta ancora sullo sfondo il lavoro delle persone con disabilità

«Nella Legge Delega in materia di disabilità – scrive Marino Bottà – al primo articolo si parla di “diritto alla vita indipendente e alla piena inclusione sociale e lavorativa”, ma come si può parlare del progetto di vita, della valutazione multidimensionale della disabilità, dell’accertamento delle condizioni di invalidità e altro ancora, senza occuparsi specificamente dei gravi problemi di lavoro delle persone con disabilità?»

Persona con disabilità al lavoroIl 19 gennaio scorso la nostra Agenzia [ANDEL: Agenzia Nazionale Disabilità e Lavoro, N.d.R.] ha incontrato la ministra per le disabilità Erika Stefani. Chi scrive ha avuto così modo di esprimere sorpresa constatando che la Legge Delega in materia di disabilità (Legge 227/21) non citava la parola lavoro. Dopo avere esposto tutti i miei dubbi, al termine dell’incontro ho consegnato una lettera aperta che riportava sostanzialmente quanto segue.

La Legge Delega al Governo in materia di disabilità evidenzia, ancora una volta, quanto la politica sia lontana dal tema lavoro per le persone con disabilità. Ma in questo caso la situazione è aggravata dal fatto che si tratta di una Legge che ha la pretesa di affrontare tutti i bisogni delle persone con disabilità e di un ministro per le Disabilità, incaricato di occuparsi della fascia più debole della popolazione, pari al 15% degli italiani. Una responsabilità immensa che richiede competenze e passione non comuni.
Non so se la passione appartenga alla ministra Stefani, non sta a me giudicarlo, ma sulle competenze posso esprimere il mio parere, in quanto è risaputo che raramente appartengono ai nuovi Ministri. È per questa ragione che di norma si avvalgono di consiglieri esperti, che però non dovrebbero essere banalmente ereditati d’ufficio o reclutati per appartenenza politica, ma persone in grado di dare utili suggerimenti, di calcolare l’efficienza amministrativa e l’efficacia sociale dei provvedimenti normativi, grazie alla loro comprovata esperienza e competenza. Non si possono emanare provvedimenti normativi senza prevederne la ricaduta, e senza conoscere il funzionamento dei servizi sui vari territori. Quindi è impossibile raccogliere suggerimenti utili e ottenere risultati positivi attraverso brevi audizioni delle parti sociali.
Quello delle audizioni, purtroppo, è un rito che consente al Ministro di turno di dichiarare di avere sentito le parti interessate, e ai convocati di fregiarsi di un nuovo selfie da ostentare fra i propri associati. Una volta consumata la mezz’ora rituale, il tutto ritorna nelle fucine della politica, da dove vengono varate leggi prive di valore sociale.
A riprova vi è l’iter stesso della Legge Delega sulla disabilità e le parole più volte profferite dalla ministra Stefani: «Il lavoro dei disabili non rientra fra le mie competenze». Ma come si può scrivere nel primo articolo della legge delega «…il diritto alla vita indipendente e alla piena inclusione sociale e lavorativa…», come si può parlare del progetto di vita, della valutazione multidimensionale della disabilità, dell’accertamento delle condizioni di invalidità ecc. senza occuparsi  di lavoro? Basti dire che nessuno dei consiglieri della Ministra sa che ben otto scaglioni della percentualizzazione dell’invalidità hanno una ricaduta sulla possibilità di collocare una persona, e che circa il 50% degli iscritti al collocamento non potrà mai sottoscrivere un regolare contratto di lavoro.
Come ci si può definire Ministro per le Disabilità se non si comprende il loro bisogno lavorativo, se non si vuole interferire nelle decisioni in capo ad un altro Ministero? Eppure al comma 2 dell’articolo 1 della Legge Delega è scritto: «…In concerto con il ministro del lavoro…».

La Legge Delega non è culturalmente innovativa! Considerare le persone con disabilità unicamente sotto il profilo sanitario e assistenziale, tralasciando l’aspetto inclusivo del lavoro vuole dire riportarci indietro di mezzo secolo. Non è con l’ICF [la Classificazione Internazionale del Funzionamento, della Disabilità e della Salute dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, N.d.R.] che cambieremo la qualità di vita delle persone con disabilità.
Il mio non vuole essere un intervento polemico, ne conosco troppo bene l’inutilità, ma è solamente un’amara constatazione, e un consiglio a radunare un gruppo di veri esperti nei vari settori di riferimento, metterli intorno ad un tavolo e lasciare a loro il compito di ascoltare con competenza le parti interessate e coinvolte nei vari processi inclusivi. Un mandato a tempo, dopodiché si legifera. Abbiamo venti mesi a disposizione, un tempo esagerato. Solo in questo modo si lavora per il futuro delle persone con disabilità, e non per le nostre reciproche carriere. Solo cosi la Ministra passerà alla storia delle persone e non solo del suo partito.

Vediamo cosa farà la Ministra, ma vediamo anche il comportamento dell’Osservatorio Nazionale sulla Condizione delle Persone con Disabilità e degli esponenti delle varie Associazioni in esso rappresentate. Spetta a loro colmare i propri vuoti conoscitivi e quelli dei Ministeri per le Disabilità e del Lavoro, ricorrendo al parere di esperti in materia. E questo vale per i vari Ministri che operano direttamente o indirettamente per la disabilità, per l’Osservatorio Nazionale, per l’ANPAL (Agenzia Nazionale Politiche Attive Lavoro), per le Associazioni delle persone con disabilità, per i Sindacati e per le Regioni. Nessuno scarichi le colpe sugli altri, siete tutti responsabili delle condizioni disastrose in cui versa il sistema italiano di collocamento delle persone con disabilità!

Già responsabile del Collocamento Disabili e Fasce Deboli della Provincia di Lecco è oggi direttore generale dell’ANDEL (se ne legga la presentazione sulle nostre pagine), l’Agenzia Nazionale Disabilità e Lavoro (marino.botta@andelagenzia.it).

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