Ho cancellato dal mio vocabolario l’espressione “non ci riesco”

Già componente di una delle massime espressioni operative delle Forze Armate, partecipando negli angoli più ostili del pianeta ad azioni di qualsiasi natura operativa, Fabio D’Acchille ha subìto un infortunio che gli ha cambiato l’esistenza. Ma presso l’Istituto Riabilitativo Montecatone di Imola ha imparato tante cose e altrettante ne ha insegnate, cancellando definitivamente dal proprio vocabolario, come egli stesso racconta, «l’espressione “non ci riesco”»

Fabio D'Acchille con la moglie Federica, davanti all'Istituto Montecatone di Imola

Fabio D’Acchille con la moglie Federica, davanti all’Istituto Montecatone di Imola

Fabio D’Acchille è uomo di rara determinazione: affascinato dall’idea di essere un parà, entra nell’Esercito non ancora maggiorenne e negli anni, grazie a qualità non comuni e a tante rinunce, si guadagna un posto in una delle massime espressioni operative delle Forze Armate: il Nono Reggimento d’Assalto Paracadutisti Col Moschin, i corpi speciali. Farne parte significa trovarsi negli angoli più ostili del pianeta e partecipare ad azioni di qualsiasi natura operativa, avviate con breve preavviso.

Quarantunenne toscano di Forte dei Marmi, sposato e padre di due figlie di 5 e 11 anni, uomo dal sorriso facile – «da noi si scherza con serietà», dice – Fabio è orgogliosamente incursore del Nono. Uno sniper (tiratore scelto) che, prima di “inciampare” nell’infortunio che gli ha cambiato l’esistenza, ha espresso il meglio di sé in numerose abilità: di tiratore scelto – e addirittura istruttore –, nella capacità di orientamento e navigazione terrestri, nelle tecniche di mascheramento e mimetizzazione, di movimento tattico, di superamento ostacoli, di mobilità verticale e tanto altro. E che inoltre, in carriera, si è specializzato in assistenza medica sul campo (Combat Medic), un expertise che, come vedremo, sarà determinante nello snodo tra le sue due vite.

Nel settembre dello scorso anno, a seguito di un incidente durante un addestramento, dopo l’intervento chirurgico al Policlinico Gemelli di Roma, la stabilizzazione alla schiena e i drenaggi a entrambi i polmoni, D’Acchille è stato ricoverato all’Istituto Riabilitativo Montecatone di Imola (Bologna), la nota struttura di riferimento per la riabilitazione di persone mielolese o con grave cerebrolesione acquisita. «L’abbiamo accolto in terapia semintensiva ad alta valenza riabilitativa – spiega Laura Simoncini, che dirige l’Unità Spinale dell’Istituto – con una paraplegia completa compatibile con la lesione midollare a livello dorsale; ottenuta la stabilità clinica, è stato trasferito in Unità Spinale per la prosecuzione del percorso. Fabio ha mostrato immediata e completa aderenza al progetto riabilitativo, al quale hanno partecipato diverse figure professionali che si sono avvalse anche di alta tecnologia riabilitativa (Hunova ed esoscheletro). Un insieme di circostanze, questo, che ha permesso un rapido recupero del controllo del tronco e l’acquisizione di autonomie nella gestione delle attività quotidiane e della carrozzina. Infine, con l’utilizzo del Life Bridge – l’appartamento domotico presente a Montecatone – Fabio e la moglie Federica hanno potuto sperimentare le abilità raggiunte compatibili con il rientro a casa».
«In diversi momenti – aggiunge Simoncini – Fabio ha mostrato ad altri giovani degenti con lesioni midollari simili, come determinazione e impegno siano fondamentali per affrontare il percorso riabilitativo, diventando presto un loro riferimento».

«Quando ti rapporti con un tetraplegico – racconta lo stesso D’Acchille -, portatore cioè di un deficit motorio molto importante rispetto al tuo e quella stessa persona trascorre tutti i pomeriggi assieme a te a ridere e scherzare, comprendi tante cose e riconsideri il concetto di resilienza; lo riconsideri anche quando scorgi una moglie abbracciare il marito cerebroleso, lei continua a parlarci, percepisci l’amore che gli trasferisce, nonostante possa ricambiare muovendo solo l’unica cosa che conserva ancora questa caratteristica: gli occhi. O anche quando ti accorgi che un fisioterapista impiega un giorno intero per far aprire e chiudere la mano a un paziente. Umanamente a Montecatone ho appreso tanto. E cancellato definitivamente dal mio vocabolario l’espressione “non ci riesco”. Ho ancora tante fortune». (V.C.)

Per ulteriori approfondimenti: Vito Colamarino (vito.colamarino@montecatone.com).

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