Lavoro e disabilità: è ora di cambiare rotta!

«La Legge 68/99 sul lavoro delle persone con disabilità – scrive Marino Bottà – ha oramai 23 anni e la rapidità dei cambiamenti socio economici nell’ultimo decennio l’hanno resa obsoleta e inefficace, nonostante i princìpi fondativi tuttora validi. Essa non interpreta più i bisogni delle persone con disabilità di oggi e tanto meno il mercato del lavoro. Inoltre, il complesso affastellamento di norme in materia, ha creato ulteriore confusione. Serve quindi una riforma di essa, ma anche un riordino e una rivisitazione delle norme correlate, oltre a una revisione radicale degli uffici preposti»

Fumetto della Yellow School di Palermo

Fumetto realizzato dai giovani della Yellow School Palermo, scuola di formazione che promuove e stimola le autonomie delle persone con disabilità

Ma le persone con disabilità, le loro famiglie, le aziende, le associazioni, le cooperative sociali hanno ancora bisogno di questo sistema di collocamento pubblico e della Legge 68/99, Norme per il diritto al lavoro dei disabili? I bisogni occupazionali crescono al pari della sfiducia verso un sistema che non funziona e che arranca di fronte ai continui cambiamenti socio-economici. Secondo uno studio condotto dall’Ufficio per i Diritti delle Persone con Disabilità delle Nazioni Unite, nei Paesi industrializzati il livello di disoccupazione di persone con disabilità raggiunge il 50-70 per cento. In Italia, come riporta l’agenzia per il lavoro Page Personnel, si parla di oltre l’80 per cento. Già nel 2013, del resto, la Corte di Giustizia Europea aveva bocciato l’Italia, invitandola, senza alcun esito, a porre rimedio a questa situazione al più presto.
L’ILO, l’Organizzazione Internazionale per il Lavoro, nel rapporto L’occupazione per la giustizia sociale e una globalizzazione equa, dice che il mancato impiego delle persone con disabilità fa perdere complessivamente tra l’1% e il 7% del Prodotto Interno Lordo mondiale.

Purtroppo in Italia la situazione non è per nulla positiva e non possiamo sperare in un cambiamento a breve. Gli iscritti al Collocamento Disabili sono oltre un milione e in costante crescita; meno del 30% sono collocabili al lavoro e oltre il 70% necessitano di un supporto o di percorsi di accompagnamento al lavoro; poco più di 30.000, infine (nettamente meno di quanti si dimettono), sono i collocati in media all’anno, senza che però ci sia dato di sapere se vi siano nuove assunzioni, ricollocazioni o rinnovi contrattuali. Non sappiamo nemmeno quanti sono i tempi determinati e i part-time.
Solo il 16% delle persone con disabilità nella fascia 15-74 anni in Italia hanno un’occupazione (circa 300.000). Il tasso di inattività è dell’81,2%, quasi il doppio rispetto a quella dell’intera popolazione. E la percentuale di chi non è mai entrato nel mercato del lavoro e non cerca di entrarvi (250.000 persone, per la quasi totalità donne) è molto più elevata tra chi ha limitazioni funzionali gravi (il 18,5% contro l’8,8% di chi ha limitazioni funzionali lievi).
E ancora, meno di una persona con sindrome di Down su 3 lavora dopo i 24 anni, dato che scende al 10% tra le persone con autismo con più di 20 anni, mentre meno della metà delle persone con sclerosi multipla tra i 45 ed i 54 anni è occupata (49,5%).

Le crisi che si sono succedute negli ultimi tredici anni hanno reso la situazione ancora più grave. Gli avviamenti al lavoro, nella quasi totalità, vengono realizzati dalle Agenzie per il Lavoro, dai Servizi Territoriali o sono il frutto di una ricerca autonoma da parte delle persone interessate. Al Collocamento Disabili sono attribuibili solo gli avviamenti numerici dovuti al mancato rispetto degli obblighi da parte delle aziende. Le persone con disabilità occupate sono pari al 35, 8 % rispetto al 57,8 % degli altri, 20 punti in meno della media europea. Questo dato, tuttavia, non quantifica quanti hanno trovato lavoro prima dell’entrata in vigore della Legge 68/99, quanti sono diventati tali in costanza di rapporto di lavoro e nemmeno chi è stato effettivamente collocato grazie all’intervento degli uffici provinciali preposti.
Per quanto riguarda poi il dato relativo al 70% delle aziende che evade o elude gli obblighi di legge, l’ANDEL (Agenzia Nazionale Disabilità e Lavoro), ha proposto un’Interrogazione Parlamentare in merito, per chiedere espressamente la quantificazione delle sanzioni somministrate nel corso del 2022, e come mai l’Ispettorato Nazionale del Lavoro non attui i dovuti controlli di sua competenza.
Tutto questo, dunque, dimostra l’abbandono in cui versa il sistema del Collocamento Disabili italiano, senza contare l’assurdità di non disporre di dati certi e attendibili su nulla che riguardi il rapporto disabilità-lavoro.

Eppure l’entrata in vigore della Legge 68/99 aveva riempito di entusiasmo chi aveva lottato per il cambiamento e per il superamento della precedente Legge 482/68, burocratica, arida e vessatoria verso le persone con disabilità e le aziende. Infatti, con la nuova norma, il concetto di collocamento mirato aveva preso forma e sostanza (“la persona giusta al posto giusto”) e il Decreto del Presidente del Consiglio (DPCM) 469/99 aveva attribuito le competenze del collocamento delle persone con disabilità, con decorrenza dal 1° gennaio 2000, alle Regioni e alle Province, che dovevano operare in coerenza con il dettato della nuova Legge.
Per la prima volta le aziende con più di quindici dipendenti avevano facoltà di inserire i lavoratori con disabilità mediante chiamata nominativa, ossia con la possibilità di scegliere il candidato e di assumerlo. Ovviamente la selezione in capo alle aziende cadde sui cosiddetti “disabili-abili”, mentre l’inserimento delle persone più fragil, (circa il 70% del milione di iscritti) venne demandato agli Uffici Provinciali del Collocamento Disabili, i quali delegarono di fatto il compito ai servizi accreditati al lavoro, ai servizi socio-sanitari, alle cooperative sociali, alle agenzie per il lavoro e così via. L’Ufficio Provinciale si occupò degli aspetti burocratici e amministrativi (iscrizioni, graduatorie, sospensioni, convenzioni, esoneri ecc.) e decise di attivare solo le procedure di avviamento numerico, secondo graduatoria, all’azienda che non aveva rispettato gli obblighi. Anche in questo caso la scelta dell’Ufficio ricadde sui soggetti “più abili”, in quanto la selezione del candidato è comunque subordinata ad un accordo preventivo con l’azienda; inoltre, determinate categorie di disabilità non sono oggetto di tale procedura. E quindi, quello che doveva essere un servizio provinciale, si è ridotto ad essere uno dei tanti uffici pubblici che curano più o meno efficientemente l’applicazione della legge. Il rapporto con il cittadino e l’impresa è rimasto unicamente di tipo burocratico-amministrativo. Pertanto il sistema del Collocamento Disabili non solo si è rivelato poco efficace nell’attività di inserimento lavorativo, ma non è stato nemmeno in grado di creare politiche attive, buone prassi, progetti e azioni utili.
Gli aggiornamenti normativi susseguitisi nel corso degli anni sono stati poi assorbiti senza produrre alcun cambiamento sostanziale. Nel frattempo i servizi pubblici preposti continuano a lavorare in perenne coerenza con se stessi, ignari e indifferenti verso i cambiamenti sociali ed economici che hanno investito il nostro Paese. A questo si aggiunga il fatto che nell’attuale sistema di collocamento nulla è suffragato da certezze. Troppo spesso, infatti, le norme, le procedure e le prassi sono piegate alla volontà e all’interpretazione degli uffici periferici prive di un controllo centralizzato a cui poter ricorrere. E ancora, alla mancanza di qualsiasi forma di controllo sull’operato dei vari uffici, spesso si aggiunge la scarsa competenza del personale dedicato, privo di qualsiasi forma di aggiornamento sul mercato e sul mondo del lavoro. Le aziende, nel frattempo, continuano a lamentarsi della legge, delle complessità burocratiche, e spesso delle difficoltà nel relazionarsi con gli uffici stessi. Uffici che agiscono inoltre in modo difforme, da Regione a Regione e da Provincia a Provincia. Tutto questo spinse le imprese ad un ovvio agire difensivo, con conseguente drastica contrazione dei risultati occupazionali il che ha consentito il perpetuarsi di un sistema di collocamento costoso, inefficace, e autoreferenziale, che antepone le esigenze dell’ente di appartenenza rispetto ai bisogni del cittadino e della comunità.
Eppure, sin dal primo Programma di azione biennale per la promozione dei diritti e l’integrazione delle persone con disabilità (Decreto del Presidente della Repubblica-DPR del 4 ottobre 2013), veniva evidenziata la necessità di «Porre necessaria attenzione al disomogeneo funzionamento degli essenziali e necessari servizi pubblici della Lg 68/99 nelle varie province, dovuto anche alla mancanza di servizi territoriali di inserimento lavorativo che dovrebbero essere realizzati da vari enti»…

E così è passato un altro anno per le persone con disabilità in cerca di lavoro. Un anno come tanti, troppi, senza ricevere una proposta. È passato anche l’ennesimo Governo con il suo bagaglio di inutili promesse. Per i disoccupati tutto è rimasto come prima. Le aziende continuano ad evadere gli obblighi di legge o a cercare “disabili–abili” da assumere, gli uffici preposti sono arroccati nella difesa del loro potere burocratico, e la legge è sempre più obsoleta e ignorata da tutti, come una vecchia signora di antichi fasti. Ma oramai non ci sono più alibi: nessuno può lamentare la mancanza di personale e di risorse economiche e neppure la sbandierata riluttanza delle aziende ad assumere. Tutto questo lo sanno gli addetti ai lavori, le parti sociali e i cittadini interessati.
Da tempo le politiche del lavoro sono in uno stato di crisi profonda – e non solo per le persone con disabilità – ciò che è stato reso possibile dal fatto che i Ministri del Lavoro e le classi politiche nazionali e regionali che si sono susseguite negli ultimi vent’anni, hanno ignorato – o voluto ignorare – quanto realmente accadeva nella quotidiana realtà. Hanno quindi lasciato gli uffici provinciali preposti liberi di agire come “autarchiche repubbliche autonome”. La crisi economica, quella pandemica, quella attuale dei mercati globali e la crisi del welfare imporrebbero un rinnovamento radicale del sistema pubblico di collocamento, ma, illusoriamente, si è pensato di risolvere ogni problema attraverso il potenziamento delle risorse economiche e del personale incaricato (si pensi al programma GOL-Garanzia di Occupabilità dei Lavoratori), dimentichi del recente naufragio di figure come i navigator.

La Legge 68/99 ha oramai ventitré anni, la precedente Legge 482 del 1968 fu riformata dopo trent’anni, ma la rapidità dei cambiamenti socio economici avvenuti nell’ultimo decennio l’hanno resa obsoleta e inefficace, nonostante i principi fondativi tuttora validi. Mi riferisco al concetto di collocamento mirato, all’assunzione nominativa, allo strumento delle convenzioni… I cambiamenti socio-economici hanno però mutato il modo di produrre e le mansioni: servono quindi competenze e nuove figure professionali e tecniche inesistenti.
La Legge 68/99 non interpreta più i bisogni delle persone con disabilità di oggi e tanto meno il mercato del lavoro. Inoltre, il complesso affastellamento di norme in materia, ha creato ulteriore confusione. Serve quindi una riforma della Legge, ma anche un riordino e una rivisitazione di tutte le norme correlate. È da qui che deve partire la riforma della Legge stessa e degli uffici preposti.

Ora abbiamo un nuovo Governo. Gli ultimi che hanno lasciato non risponderanno dei loro fallimenti e i nuovi arrivati non possono essere ritenuti responsabili di quello che hanno trovato. D’accordo! Non aspettiamo però di vedere cosa faranno, ma sollecitiamoli. Il Governo dispone di tutte le risorse necessarie, serve solo la buona volontà e il contributo di esperti scelti con criteri di competenza e non con diritti di prelazione per appartenenza a centri di potere elettorale.
Non è facile mettere mano ad una riforma della legge e del sistema di collocamento pubblico, ma è comunque indispensabile e indifferibile, se non si vogliono continuare a disattendere i bisogni e le aspettative di centinaia di migliaia di famiglie. Ora la ministra per le Disabilità Alessandra Locatelli sembra volersi impegnare seriamente sul tema del lavoro, sta già provvedendo alla riorganizzazione dell’Osservatorio Nazionale sulle Condizione delle Persone con Disabilità, e vorrebbe a breve attivare un tavolo tecnico per riformare la Legge 68/99. Diamole fiducia, forse è la volta buona!
Nel frattempo l’Agenzia ANDEL, coerente con il proprio mandato costitutivo, ha elaborato una Proposta di Legge che rafforza il concetto di collocamento mirato, il sistema delle convenzioni, l’utilizzo di buone prassi, il sostegno alla qualità di vita e lavoro ecc. Si tratto di un testo che ricerca inoltre ogni forma possibile di semplificazione, di personalizzazione degli interventi, uniformando a livello regionale, nei limiti del possibile, gli uffici competenti.
La base culturale su cui si fonda l’intero testo di tale Proposta di Legge è la transizione dall’inserimento lavorativo all’inclusione lavorativa, processo realizzabile solo attraverso il coinvolgimento delle aziende e non con la contrapposizione ad esse. L’ANDEL, quindi, si ripropone di presentare la proposta di riforma ai Ministri interessati e a chiunque possa sostenerci e aiutarci.

Già responsabile del Collocamento Disabili e Fasce Deboli della Provincia di Lecco, oggi direttore generale dell’ANDEL (Agenzia Nazionale Disabilità e Lavoro) (marino.botta@andelagenzia.it).

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