Le malattie neuromuscolari e lo sport che può cambiare il concetto stesso di cura

Sono stati presentati non a caso alla vigilia della Giornata Internazionale dello Sport per lo Sviluppo e la Pace del 6 Aprile, gli esiti dell’indagine “ADA Informa: lo sport e le malattie neuromuscolari”, ricerca nata nell’àmbito del progetto educativo “La SMAgliante ADA”, iniziativa voluta allo scopo di approfondire la conoscenza e l’impatto che la pratica sportiva adattiva, ovvero lo sport accessibile a chi vive con una disabilità, ha sulla quotidianità, la salute e il benessere psicofisico di bambini, ragazzi e adulti con la SMA (atrofia muscolare spinale) e le distrofie muscolari

ADA: "La SMAgliante ADA"

La vignetta di Giuliano Cangiano che ha per protagonista la cagnolina ADA, personaggio protagonista del progetto educativo “La SMAgliante ADA”

«In una giornata in cui si celebra lo sport come potente strumento per rafforzare i legami sociali, la solidarietà, la pace e il rispetto, la voce di chi pratica uno sport adattivo è preziosa per costruire conoscenza su un tema ancora poco esplorato dal punto di vista scientifico. I dati di questa indagine, infatti, non solo ci permettono di promuovere l’impatto positivo che la pratica sportiva adattiva ha sulla qualità di vita di chi vive una malattia neuromuscolare, a pochi mesi dal riconoscimento costituzionale dello sport, ma ci consente di comprenderne le opportunità di sviluppo per imparare a tracciare nuovi significati del concetto di cura»: lo ha dichiarato Alberto Fontana, presidente dei Centri Clinici NEMO (Neuromuscular Omnicentre), in occasione della recente Giornata Internazionale dello Sport per lo Sviluppo e la Pace del 6 Aprile, centrata sul tema Lo sport per la promozione di società pacifiche e inclusive, cornice ideale alla presentazione degli esiti riguardanti l’indagine qualitativa denominata ADA Informa: lo sport e le malattie neuromuscolari, ricerca nata nell’àmbito del progetto educativo La SMAgliante ADA, già da noi ampiamente presentato a suo tempo, con l’obiettivo di approfondire la conoscenza e l’impatto che la pratica sportiva adattiva, ovvero lo sport accessibile a chi vive con una disabilità, ha sulla quotidianità, la salute e il benessere psicofisico di bambini, ragazzi e adulti con la SMA (atrofia muscolare spinale) e le distrofie muscolari.

Promossa da NemoLab, l’hub che sviluppa programmi e progetti di ricerca ad alta specializzazione tecnologica, per rispondere ai bisogni complessi di chi vive una patologia neurodegenerativa e neuromuscolare, avvalendosi del patrocinio dei Centri Clinici NEMO, dell’Associazione Famiglie SMA, della UILDM (Unione Italiana Lotta alla Distrofia Muscolare), della FIPPS (Federazione Italiana Paralimpica Powerchair Sport) e del CIP (Comitato Italiano Paralimpico), con il contributo non condizionante di Roche Italia, l’indagine ha coinvolto 67 giovani adulti tra i 18 e i 40 anni e 50 genitori di bambini e ragazzi tra i 6 e i 18 anni, per un totale di 117 intervistati, distribuiti uniformemente per età e genere, la cui patologia necessita, per la maggior parte dei rispondenti, dell’uso di una carrozzina e dell’aderenza ad un programma di riabilitazione presso un centro specializzato.
«Lo sport come valore – sottolineano da NemoLab – è il messaggio che emerge dalla totalità del campione ma, di fatto, chi lo pratica è il 34% dei bambini/ragazzi e quasi il 42% degli adulti intervistati. Seppur lontane dai numeri di chi non ha difficoltà motorie permanenti, queste percentuali sono il segno concreto dell’impegno delle Associazioni dei pazienti in questo ambito, in quasi cinquant’anni di storia. Il nuoto è lo sport più praticato dal campione, soprattutto in età evolutiva, seguito dagli sport di squadra, con la lunga tradizione del powerchair hockey e l’affacciarsi negli ultimi anni del powerchair football, soprattutto per le giovani generazioni».

«Lo sport è una scintilla – dichiara Marco Rasconi, presidente nazionale della UILDM – un attivatore di energia. È uno strumento prezioso di inclusione senza perdere l’aspetto di competizione. Ed è proprio questo equilibrio che va protetto e mantenuto anche nello sport adattivo. Per un giovane con disabilità lo sport diventa un obiettivo fisso. Cominciare a fare sport rende tutte le altre attività più raggiungibili, perché di fronte al “non posso fare” legato ad una diagnosi, subentra il pensiero “posso fare tutto”».
I dati emersi confermano infatti che praticare sport ha un forte impatto positivo sulla Qualità di Vita percepita, intesa secondo le linee guida dell’Organizzazione Mondiale della Sanità come la misura con cui la persona si percepisce in relazione alla totalità dell’esperienza di vita. Si parla di benefìci fisici, come una migliore percezione delle proprie capacità e del proprio benessere fisico, di un maggiore senso di autocontrollo mentale del proprio corpo e delle proprie abilità fisiche e di un aumento del senso di operosità e di voglia di fare.

«La scelta di iniziare un sport adattivo – afferma Elena Carraro, medico fisiatra, referente dell’area riabilitativa al Centro Clinico NEMO di Milano e co-curatrice dell’indagine – è dettata prima di tutto da un interesse personale. È tuttavia interessante notare come, nonostante gli intervistati frequentino un centro di riferimento per il trattamento riabilitativo, il 52% dei genitori e il 34% degli adulti riferisca di non avere ricevuto alcuna indicazione dal personale sanitario riguardo la possibilità di intraprendere attività sportive, con le eventuali controindicazioni o benefìci. Per questo è importante continuare ad indagare anche dal punto di vista clinico e scientifico la relazione tra sport adattivo e salute, con scale di valutazione funzionali mirate, imparando nel tempo a valorizzare nella storia di malattia anche i benefìci e i vantaggi che lo sport può portare al benessere psico-fisico e alla qualità di vita».

Sulle ricadute dell’esperienza sportiva anche e soprattutto per la dimensione emotiva, psicologica e sociale, si sofferma Silvia Bolognini, psicologa di NemoLab e co-curatrice dell’indagine: «L’indagine – dichiara – conferma come anche lo sport adattivo coinvolga il benessere della dimensione più intima della persona e a questo si unisce tutto il valore relazionale del confronto con gli altri. Giocare in squadra è un potente veicolo per formare nuove amicizie, consolidare legami sociali e sperimentare il senso di appartenenza ad un gruppo, indipendentemente dall’età, come ha evidenziato quasi il 40% dei genitori e circa il 66% degli adulti».
Ma non solo, a quanto pare, infatti, gli interpellati hanno riferito una percezione di maggiore autoefficacia nell’utilizzare strategie per gestire la vita quotidiana, un miglioramento dell’autostima, con maggiore consapevolezza delle proprie abilità personali e sicurezza verso se stessi, un aumento del senso di determinazione nel perseguire gli obiettivi, nonché una crescita del senso di autorealizzazione personale e delle proprie aspirazioni, oltre a un miglioramento dell’umore.

«Attraverso l’attività sportiva adattiva – sottolinea dal canto suo Anita Pallara, presidente dell’Associazione Famiglie SMA – i nostri bambini e ragazzi hanno la possibilità di mettersi alla prova in un campo da gioco e di vivere un’esperienza come i loro pari. È vero, si fanno i conti anche con i propri limiti, ma si imparano nuove abilità per superarli e questo è fondamentale soprattutto per i bambini in fase di crescita e con una disabilità motoria come la SMA. La pratica sportiva, inoltre, aiuta a conoscere e a gestire il proprio corpo al di fuori delle attività ordinarie alle quali i nostri bambini sono abituati, come la fisioterapia e la riabilitazione, a rafforzare il legame con i genitori, a stimolare nuove amicizie e a creare legami di fiducia con persone al di fuori della propria cerchia familiare, come ad esempio con l’allenatore».

Ma quali sono, secondo l’indagine, gli ostacoli che impediscono la pratica sportiva adattiva? In particolare le barriere fisiche e strutturali, come la difficoltà di identificare un centro di riferimento accessibile a sport adatti alla propria patologi, ma anche la fatica di organizzare e gestire i trasporti, la scarsa sostenibilità economica e la percezione di poca inclusività delle attività sportive proposte.
«L’inclusione – commenta Luca Pancalli, presidente del CIP – è il traguardo di un lungo progetto che viene costruito su basi culturali importanti in termini di partecipazione e condivisione. Questo è il valore straordinario dello sport e questa indagine ci racconta di come lo sport possa migliorare sensibilmente la qualità della vita di persone con disabilità gravi e gravissime e favorire percorsi di socialità e di integrazione. Ma ci offre, allo stesso tempo, la descrizione di vite silenziose che giorno dopo giorno stanno cambiando la percezione della disabilità nella nostra società. Il movimento paralimpico è al loro fianco, nella loro testimonianza di entusiasmo e impegno, a dimostrazione che con lo sport è possibile superare i propri limiti e contribuire alla costruzione di una società più giusta, più equa, più solidale».

«In Italia – ricordano da NemoLab -, il percorso di inclusione sportiva per la comunità neuromuscolare è iniziato cinquant’anni fa con gli sport adattivi di squadra: una sfida allora pionieristica che oggi rappresenta un’opportunità concreta e strutturata. Ma i cambiamenti della storia di queste malattie, grazie agli sviluppi della ricerca, all’avvento dei nuovi trattamenti farmacologici, all’evoluzione dei nuovi standard di cura e allo sviluppo della tecnologia modificheranno inevitabilmente anche l’esperienza sportiva e il racconto di essa».
«Per noi addetti ai lavori – afferma Andrea Piccillo, presidente della FIPPS – i benefìci della pratica sportiva sono testimoniati dalla partecipazione e dalla resilienza dei tanti atleti, familiari, volontari, tecnici, tifosi, ma indagini come quella realizzata nell’ambito di questo progetto sono occasioni fondamentali per realtà come la nostra di raccogliere dati ed evidenze statisticamente tangibili sui benefìci e gli impatti che le discipline sportive che promuoviamo hanno sulla qualità della vita delle persone che le praticano e che le vivono».

«Più che di diversità – dichiara Amelia Parente di Roche Italia – a me piace parlare di unicità: siamo tutti diversi e per questo unici. Lo sport è tra gli strumenti più potenti di conoscenza di sé, degli altri, della bellezza dello stare insieme e delle regole che rendono libera, salutare e meravigliosa l’interazione tra le persone. È uno dei linguaggi universali, capaci di compiere un’operazione fondamentale per la coesione sociale: riconoscere l’unicità e il talento di ciascuno mentre si fonde con quello degli altri. È per questo che siamo orgogliosi di aver fatto parte del progetto educativo La SMAgliante ADA, che mette al centro la salute mentale, quella fisica e la diversità e inclusione come la vogliamo intendere: unicità di ciascuno e unità tra tutti».
«Cambiamenti, dunque – concludono da NemoLab -, che chiamano in causa tutti coloro che operano per rendere concreta la costruzione di una nuova visione di società, nella quale lo sport adattivo è protagonista e insieme strumento per la realizzazione di essa, con il suo messaggio di pace e il suo potere dirompente di cambiare il mondo. Questo, in fondo, è il tesoro da custodire anche in occasione della Giornata del 6 aprile». (S.B.)

A questo link è disponibile il testo integrale del rapporto sui risultati dell’indagine Lo sport e le malattie neuromuscolari. Per ulteriori informazioni: Martina Barazzutti (martina.barazzutti@secnewgate.it).

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