Come per ogni disabilità, la nascita di un bambino sordo profondo è vissuta dai genitori come un evento estremamente drammatico. Tutti subiscono il trauma di perdere il bambino ideale, sognato e immaginato, ciascuno poi impiegherà dei tempi auspicabilmente brevi, a seconda delle proprie capacità emozionali e reattive, per accettare il bambino inaspettato, imprevedibile, ma reale.
Il disagio, i timori, il senso di solitudine sono spesso acuiti dai diversi contesti, socioculturali e ambientali, da tante banalità e luoghi comuni, da poca chiarezza, da scarsa conoscenza del problema a livello generale e dall’enfasi che i sostenitori di uno o dell’altro metodo riabilitativo propugnano davanti agli incerti e ignari genitori.
Disinformazione e pregiudizi
Sulla sordità si fa spesso molta confusione: trasmissiva o neurosensoriale, media o profonda, sopraggiunta con l’età o in seguito a un trauma, presente alla nascita, prima o dopo l’acquisizione del linguaggio, non fa differenza; pochi infatti sono in grado di capire che, benché rappresenti sempre e comunque un problema, solo la sordità grave o profonda neurosensoriale non consente un apprendimento spontaneo del linguaggio, ma abbisogna di particolari interventi per la sua strutturazione e produzione.
Molti, poi, ignorano ancor oggi che la sordità riguarda solo l’orecchio e non l’apparato fono-articolatorio, al punto che ci si stupisce quando un ragazzo sordo si esprime con proprietà di linguaggio e con una pronuncia discreta.
Pochissimi, infine, sanno che ogni 100 bambini che nascono sordi o lo diventano nei primi anni di vita (sordi preverbali), 90 hanno entrambi i genitori udenti, 5 un solo genitore sordo, i rimanenti 5 entrambi i genitori sordi e che le ricerche genetiche condotte in questi ultimi anni hanno dimostrato che buona parte dei genitori udenti sono portatori sani del gene della sordità (connexina 26).
Quali interventi?
Dinanzi alla diagnosi, i genitori sordi appaiono in linea di massima da subito più consapevoli e decisi nelle scelte da operare poiché per loro la sordità appare quasi attesa, più naturale e reale.
All’accettazione i genitori udenti arrivano, invece, attraverso un processo più graduale e complesso. Imparano a rielaborare e riformulare la conoscenza della lingua parlata, riadattandola alle necessità e riscoprendo, anche attraverso la drammatizzazione e la polisensorialità, nuovi codici comunicativi e se si sentono consapevoli e tranquilli, sono in grado di scegliere responsabilmente l’iter riabilitativo.
Più si impegnano per rendere il bambino consapevole del proprio deficit e partecipe delle scelte operate, rispettandone tempi e modalità di comunicazione, più il ragazzo nel tempo si realizzerà persona autonoma e responsabile della propria vita. I genitori, poi, scoprono ben presto l’esistenza di fautori di modelli comunicativi alternativi.
Lingua Italiana dei Segni (LIS)
I gestualisti rivendicano l’appartenenza ad una comunità, in quanto minoranza con una propria lingua e cultura. Essi sostengono la diffusione della Lingua dei Segni e del relativo interpretariato (servizio), la creazione di propri gruppi sportivi e centri culturali e, in una certa misura, di scuole speciali, chiedendo infine assistenza e finanziamenti per scopi sociali.
All’inizio degli anni Ottanta si comincia in Italia a studiare la LIS (Lingua Italiana dei Segni), emulando i precedenti studi condotti negli USA da William Stokoe per determinare le caratteristiche della “Lingua della comunicazione gestuale”.
Si definisce così un linguaggio ben strutturato, con regole di comunicazione fondate su morfologia, grammatica e sintassi proprie. Si parte da unità minime (cheremi), quali luoghi, configurazioni, movimenti e orientamenti della mano e si perviene, combinandoli tra loro, al gesto che reca significato (chiremi).
E tuttavia ciò non basta per esprimere termini scientifici, astratti, nomi propri di persone, città, cose o espressioni proprie del linguaggio metacognitivo. Si ricorre dunque al linguaggio verbale, ossia alla lettura labiale, allo scritto, alla mimica, alla dattilologia per formare con le mani le parole lettera per lettera.
Non a caso un comune dizionario della lingua italiana contiene un numero di parole almeno dieci volte superiore al numero di segni riportati in quello della LIS.
Quest’ultima manca inoltre di forma scritta, in quanto essa si convalida nell’immediato e solo per un determinato contesto. Molte persone sorde segnanti affermano che, durante il telegiornale, hanno difficoltà a comprendere l’interprete LIS in video; ciò è dovuto all’instabilità di questa lingua, la quale può subire modificazioni nella sua struttura nelle diverse aree geografiche del Paese, proprio perché manca di univocità e forma scritta.
L’apprendimento della LIS richiede infine una frequentazione continua di altre persone che la utilizzano, ovvero un ambiente generalmente diverso dall’abituale tessuto sociale.
L’oralismo
Gli oralisti, invece, hanno come obiettivo prioritario la completa autonomia e indipendenza personale in ogni contesto scolastico, lavorativo e sociale. Essi sono convinti che il bambino sordo presenti solo un deficit uditivo e pertanto necessiti di diagnosi precoce, di rapida protesizzazione abbinata alla terapia logopedica e di tutti gli ausili forniti oggi dalla tecnologia. In questo contesto abilitativo ed educativo, il bambino sordo può raggiungere un’adeguata competenza cognitiva e linguistica, seguendo le stesse tappe del coetaneo udente.
Già con il Congresso di Milano del 1880 [Congresso Internazionale degli Educatori dei Sordi, Milano, 6-11 settembre 1880, N.d.R.], i maestri e gli educatori dei sordi riconobbero ufficialmente la superiorità della lingua orale, adottandola in tutta Italia attraverso l’apprendimento del linguaggio verbale, che non avviene per via acustica, ma mediante lettura labiale, articolazione dell’apparato fono-artiticolatorio, lettura e scrittura e, all’occorrenza, con il sostegno del linguaggio gestuale.
Spesso, però, la giusta spinta verso la demutizzazione del sordo passa attraverso momenti esasperati e repressivi, che non tengono conto dei tempi e dei bisogni dei ragazzi e deviano verso risultati opposti a quelli prefissati.
E tuttavia è negli ultimi decenni che l’oralismo, nonostante i suoi detrattori affermino il contrario, consegue i risultati più apprezzabili, grazie soprattutto all’intervento congiunto protesico e logopedico.
Tecnologia e logopedia
In modo particolare gli apparecchi acustici sono alla base di una vera rivoluzione: le tradizionali protesi analogiche, alle quali oggi si sono aggiunte le più sofisticate digitali, consentono ai bambini e ai ragazzi sordi di percepire – trasmettendo all’orecchio un messaggio sonoro opportunamente amplificato e non distorto – svariati suoni e rumori fin dalla più tenera età.
I giovani affermano che una persona sorda non vive nel mondo del silenzio, non appartiene al popolo silenzioso o ad una minoranza culturale e linguistica, proprio perché ha imparato naturalmente da piccolo ad utilizzare la voce.
D’altra parte è proprio grazie all’oralismo e alla filosofia che ha ispirato le sue azioni – chiusura degli istituti e inserimento nelle scuole comuni – che la sordità non è più vista come una patologia bisognosa di esclusivi interventi medici. Al centro dell’interesse non ci deve più essere un organo leso, ma la persona intesa come unità fisica, mentale e psicologica, alla quale rivolgere un intervento riabilitativo multidisciplinare, di cui sono parte famiglia, terapisti, istituzioni e ambiente di lavoro.
In questo contesto l’intervento del logopedista assume una fisionomia molto particolare, in quanto non è più limitato a guidare il bambino nella sola acquisizione del linguaggio, ma dura nel tempo, implicando anche sfere affettive, psicologiche ed educative e diventando una figura di riferimento anche nella scuola superiore.
Gli impianti cocleari
Spesso la televisione e la stampa presentano l’impianto cocleare come l’orecchio bionico, ovvero come un’innovazione tecnologica avanzata, capace di ridare l’udito.
In realtà si tratta di una vera e propria protesi, di un dispositivo elettronico sofisticato, capace di sostituire in parte la funzione della coclea posta nell’orecchio interno. L’impianto cocleare converte le informazioni acustiche in segnali elettrici che vengono trasmessi direttamente alla coclea e quindi al cervello. La sua parte esterna è composta da un microfono, un elaboratore di suoni a tecnologia digitale (speech processor) e un’antenna di trasmettitore, mentre quella interna è formata da un ricevitore collocato vicino all’orecchio in una nicchia ossea sotto il cuoio capelluto e da elettrodi inseriti all’interno della coclea.
Attualmente in Italia vi sono più di cinquanta persone cui è stato applicato in via sperimentale un nuovo tipo di impianto denominato nucleare o del bulbo; esso oltrepassa l’intero apparato uditivo per innestarsi direttamente sul bulbo, proprio per stimolare i nuclei del tronco encefalico.
Ma può l’impianto cocleare ridare l’udito? La risposta può essere parzialmente affermativa se riferita a una persona sorda profonda, divenuta tale dopo aver appreso il linguaggio, come per un adulto. Quando invece si tratta di bambini sordi prelinguali, non c’è nulla di semplice e scontato, perché l’impianto cocleare non soltanto non annulla la sordità, ma da solo non consente l’apprendimento della lingua, per la quale serve una terapia logopedica adeguata per alcuni anni, nell’ambito dell’intervento di un gruppo multidisciplinare composto da diverse figure professionali.
L’impianto cocleare ha appassionati seguaci, ma anche oppositori tenaci, sia tra gli oralisti che tra i gestualisti: chi lamenta l’eccessiva medicalizzazione, chi la mancanza di un protocollo standard che ne chiarisca rischi, complicazioni, risultati ottimali.
Obiettivi comuni
Obiettivo comune delle diverse metodologie dev’essere dunque il benessere della persona sorda, lo sviluppo di facoltà linguistiche individuali e idonei strumenti comunicativi. E tuttavia la loro netta contrapposizione e una certa ridondanza di notizie, invece che facilitare, creano nei genitori, al momento della scelta, incertezze e confusioni, mentre essi avrebbero bisogno di serenità e di informazioni più semplici e obiettive.
*Vicepresidente della FIADDA (Famiglie Italiane Associate per la Difesa dei Diritti degli Audiolesi).
**Tratto dal periodico «Mobilità», anno 7, 2005, n. 42. Per gentile concessione di tale testata.