Di fronte al rischio di un nuovo silenzio

Dopo la “ritirata” sul Piano per la Non Autosufficienza, nel cosiddetto “Decreto Balduzzi”, sembra ancor più forte, secondo Franco Bomprezzi, «il rischio di un nuovo silenzio, di un’imbarazzata presa di distanze dai problemi meno spettacolari rispetto alle Paralimpiadi ma sicuramente reali connessi alla vita di tutti i giorni». Bisogna perciò «ancora una volta rimboccarci le maniche e fare la nostra parte, ognuno come meglio può»

Particolare di persona con disabilità che stringe la ruota di una carrozzinaImpressioni di settembre. Non buone. Nel cosiddetto “Decreto Balduzzi” sulla tutela della salute, scompare qualsiasi accenno al Piano per la Non Autosufficienza, che invece compariva, eccome, nelle tante bozze infarcite di provvedimenti di ogni genere, diffuse nei giorni scorsi.
Se ne sono accorte subito le associazioni, e anche su queste pagine Pietro Barbieri, presidente della FISH (Federazione Italiana per il Superamento dell’handicap) ha commentato asciutto: “È verosimile che nel ridisegnare ipotesi di politiche future, qualche Ministero si sia reso conto di quanto limitate siano oggi le risorse impiegate e di come la spesa aumenterebbe se i diritti delle persone con disabilità dovessero essere effettivamente garantiti».
È una notazione educata e di buon senso. Come dire, piuttosto che sparare cifre a caso, e promettere servizi sulla carta, meglio una dignitosa ritirata. Ma da qui in poi bisognerà ricominciare a discutere, a proporre, a incalzare, sia il Ministero della Salute che quello delle Politiche Sociali. Il tutto alla vigilia di un autunno freddissimo o bollente a seconda dei punti di vista.

La ricreazione è finita. Le giornate entusiasmanti delle Paralimpiadi hanno oltretutto esaltato le potenzialità di moltissime persone con disabilità (fisica, sensoriale, intellettiva). La buona attenzione mediatica rispetto al passato è sicuramente un elemento positivo che avrà delle ricadute, anche perché arriva dopo un paio d’anni dedicati quasi esclusivamente ai video sui “falsi invalidi” (ma quanti altri finti ciechi ci sono in Italia?).
Ma le aspettative di vita indipendente, di dignità di cittadinanza, di mobilità libera, di partecipazione piena, sono legittimamente aumentate. Se loro, i campioni, possono fare questo, forse nel loro piccolo anche le persone paraplegiche o non vedenti o amputate stanno in queste ore riscoprendo un orgoglio esistenziale che era assopito, se non addirittura mortificato.

È forte il rischio di un nuovo silenzio, di un’imbarazzata presa di distanze dai problemi meno spettacolari rispetto alle Paralimpiadi ma sicuramente reali connessi alla vita di tutti i giorni.
La sfida, per i giornalisti, per i direttori delle testate radiotelevisive, è adesso quella di raccontare la vita delle persone con disabilità anche al ritorno dall’“epopea londinese”. È vero: dietro ogni medaglia c’è una storia vera, c’è una battaglia vinta nel proprio territorio, in provincia, da Nord a Sud. Mai come adesso i campioni dello sport potrebbero essere gli “inviati speciali”, i testimonial della vita reale, con tutte le difficoltà nell’avere servizi adeguati, nel trovare un lavoro, nel mettere su una famiglia.
E sullo sfondo rischiano di rimanere, ancor di più, proprio coloro che hanno meno voce e meno forza, ossia le persone non autosufficienti, che vivono grazie alla forza delle famiglie e alla sopravvivenza di servizi di welfare sempre più risicati, salvo rare eccezioni.
Sarebbe molto triste constatare che il Piano per la Non Autosufficienza è sparito perché il Governo non se l’è sentita di tassare le bevande zuccherate e gassate. Sarebbe la conferma che questo Piano non era e non è una priorità, ma solo un guaio in più da affrontare, cercando affannosamente risorse che non ci sono.
Ho già capito che dovremo ancora una volta rimboccarci le maniche e fare la nostra parte, ognuno come meglio può.

Direttore responsabile di Superando.it. Il presente testo – qui ripreso con alcuni riadattamenti al diverso contenitore – è apparso anche in «FrancaMente», il blog senza barriere di «Vita», con il titolo “La ricreazione è finita”.

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