Metà centauro, metà Proteo

«C’è una categoria di persone che se il mondo finisse davvero – scrive Giorgio Genta -, quasi non se ne accorgerebbe, per via del lavoro così totalizzante e assorbente che svolge: quella dei caregiver familiari. E tuttavia, la loro “fine del mondo” personale può arrivare «per il venir meno di un aiuto esterno, per un problema finanziario, una sindrome depressiva oppure ansiosa, o anche un banale mal di schiena»…

Proteo

Divinità marina e profeta della religione greca, Proteo era capace di cambiare forma in ogni momento, un po’ come è costretto a fare un caregiver familiare, secondo Giorgio Genta

Ci risiamo. Sarà per via di Nostradamus, per qualche versetto biblico o evangelico o per quei burloni dei Maya, ma alla fin fine… siamo alla fine del mondo!… E invece, fortunatamente, il mondo va avanti lo stesso, un po’ meno fortunatamente per le persone con disabilità, la cui già scarsa fortuna diminuisce al crescere della disabilità stessa.
C’è poi una categoria di persone che se il mondo finisse davvero, quasi non se ne accorgerebbe, per via del lavoro così totalizzante e assorbente che svolge: quella degli assistenti di cura familiari, ormai meglio noti come caregiver.
Eppure, anche per i caregiver familiari vi è una “fine del mondo” (senza dover pensare a nulla di tanto tragico!) e questo evento così catastrofico può essere causato da una molteplicità di fattori: il venir meno di un aiuto esterno – piccolo o grande che sia -, un problema finanziario, una sindrome depressiva oppure ansiosa, un banale mal di schiena.

Un caregiver che conosco bene sopporta moltissime cose: riesce a dormire veramente pochissimo, sposta pesi notevoli, è cocciuto come un vero “mulo da soma” ( “leggermente” troppo, secondo il parere prevalente), si nutre con una frugalità degna di una iguana e quando poi non sa proprio cosa fare (dalle 4 alle 5 di notte), perfeziona ausili già dannatamente personalizzati.
Ebbene, anche questa coriacea creatura ha il suo “punto di rottura”, la sua necessità assoluta, privato della quale nulla più riesce a fare: la fuga del mattino. No, miei scarsi e malpensanti Lettori, non fugge dall’amorosa tantalica fatica, fugge al bar più vicino, si ingozza voracemente, in barba alla dieta, di due cornetti alla marmellata, si beve lesto un cappuccino fumante e ancor più lesto scorre i titoli di due quotidiani. Il tutto per un tempo totale di quindici minuti, viaggio compreso e il viaggio (un po’ di epicità non guasta) avviene avventurosamente in sella a uno sferragliante “cinquantino” che conobbe stagioni meccanicamente assai migliori.
Rientrato in sede, con la pancia piena (si fa per dire!) e con una serie di sensi di colpa incombenti, ecco questo strano essere mitologico – metà centauro, metà Proteo – indossare la sua “armatura da battaglia” (una cintura pelvico-sacrale con bande elasticizzate di rinforzo), inclinare all’indietro le lunghe orecchie (per evitare che si incastrino nel lampadario), perfettamente pronto alle 23 ore e 45 minuti di bestial fatica.
Bestiale ma amorevole.

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