Notizie di sterilizzazione forzata: un pugno allo stomaco

Infatti, è proprio come un «pugno allo stomaco», secondo Lelio Bizzarri, quanto da noi riferito nei giorni scorsi, rispetto all’Australia, dove una Commissione del Senato ha confermato che la sterilizzazione forzata di donne e ragazze con disabilità «non è vietata». «Ma se l’intento fosse davvero di proteggere quelle persone da abusi e malattie – scrive Bizzarri -, non sarebbe certo la sterilizzazione uno strumento idoneo»

Oriella Orazi, "Stati d'animo" (particolare)

Oriella Orazi, “Stati d’animo” (particolare)

Se la sessualità delle persone con disabilità in generale è vista come uno “spauracchio”, rispetto a quella delle donne con problemi di disabilità intellettiva c’è un vero e proprio terrore. In tal senso, la notizia denunciata sulle pagine di «Superando.it», rispetto al fatto che in Australia la pratica della sterilizzazione delle donne con handicap mentale non è vietata, è davvero un pugno allo stomaco.
Ovviamente, a giustificazione di tale pratica si porta l’intento di proteggerle da gravidanze indesiderate e dal fatto che non sono in grado di gestire la loro sessualità. Ebbene, se l’intento è davvero quello di proteggere le ragazze, la sterilizzazione non è certo uno strumento idoneo, dato che essa non le tutela dalle conseguenze di eventuali abusi o dalle malattie a trasmissione sessuale che potrebbero compromettere il loro stato di salute fisico e aggravare quello mentale.
Se davvero quindi si vogliono proteggere le ragazze da esiti indesiderati della loro sessualità, occorre lavorare attuando training per aumentare la consapevolezza rispetto ad essa, ovvero insegnando a riconoscere gli abusi sessuali, istruendo su come funziona la procreazione e responsabilizzando rispetto a cosa significhi mettere al mondo un bambino, oltreché fornendo informazioni sulle tecniche di contraccezione e di protezione dalle malattie a trasmissione sessuale (oggi non si parla quasi più dell’AIDS, ma il rischio è ancora molto forte e le donne con disabilità non ne sono immuni… né lo diventano sterilizzandole…).

Il fatto poi che le ragazze con problemi intellettivi non siano in grado di gestire la loro sessualità è un pregiudizio che non trova alcun fondamento, se non in osservazioni estemporanee del comportamento di alcune persone, il quale è stato generalizzato a tutta la popolazione di donne con disabilità intellettiva. Sin dagli Anni Cinquanta, del resto, la Psicologia Sociale aveva evidenziato i cosiddetti fenomeni di “attribuzione causale”, attraverso i quali i comportamenti eclatanti di un gruppo sociale vengono attribuiti indebitamente a tutto un gruppo.
In realtà, la condizione di disabilità mentale non porta in sé e per sé a un comportamento sessualmente disinibito. Al contrario, le ricerche hanno evidenziato il fatto che le donne più a rischio di subire abusi sono proprio quelle che hanno una storia di abusi nell’infanzia o nella pre-adolescenza.

E ancora, è vero che l’incidenza di abusi sessuali sulle persone con disabilità è superiore rispetto a quella nei confronti della popolazione “normodotata”, ma ciò è legato al fatto che esse sono meno consapevoli della loro sessualità, più isolate socialmente e ritenute meno attendibili (le persone non credono alle ragazze con disabilità mentale, quando riferiscono comportamenti abusanti subiti). E i sexual offender sono spontaneamente portati ad assumere come bersaglio dei loro comportamenti abusanti le persone più deboli e più isolate, in quanto si sentono più al riparo dal rischio di denunce.

In conclusione, l’unica strategia – se davvero si vogliono proteggere le persone con disabilità – è quella di aumentare il loro livello di empowerment [“accrescimento dell’autoconsapevolezza”, N.d.R.], anche rispetto alla dimensione sessuale. La conoscenza, infatti, è anche fonte di autostima e di autoregolazione.

Psicologo, formatore per operatori del sociale, coordinatore per il Lazio della SIPAP (Società Italiana Psicologi Area Professionale Privata) e persona con disabilità motoria.

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