Il presidente del Consiglio Matteo Renzi ha colpito la mia immaginazione – e credo non solo la mia – con quella frase pronunciata nei giorni scorsi, dal piglio secco e imperativo: «Entro mille giorni saremo un Paese civile».
Un programma, una scadenza, un obiettivo e trasparenza su ciò che si ha concretamente intenzione di realizzare, con tanto di sito, dove potrà essere osservato, passo dopo passo, il cambiamento verso il meglio, verso la civiltà.
Riforme istituzionali, rilancio economico, scuola, giustizia civile, fisco più equo, riavvio dei cantieri, agricoltura e turismo: tutto molto impegnativo, molto concreto. E importante per l’Italia.
Colpisce la mia immaginazione, dicevo, ma credo non abbiamo la stessa idea di “Paese civile”, né lo stesso senso delle priorità.
Mi interrogo infatti se sia civile un Paese in cui la povertà e l’impoverimento sono una realtà e tendono drammaticamente a diventare prevalenti.
Se sia civile che milioni di anziani non abbiano quattrini a sufficienza per la spesa o per scaldarsi, dopo avere lavorato una vita, allevato figli e nipoti oggi felicemente disoccupati.
Se sia civile che la gestione ordinaria e straordinaria della non autosufficienza di milioni di persone sia delegata alle famiglie, diventando prima causa di impoverimento. Che non ci sia alcun piano per affrontare questa emergenza e che ad essa siano destinati stanziamenti residuali rimessi in discussione ad ogni piè sospinto.
Mi chiedo infine se sia civile, per l’inclusione delle persone con disabilità, che esista un piano [Programma d’Azione Biennale per la Promozione dei Diritti e l’Integrazione delle Persone con Disabilità, N.d.R.] approvato dal Presidente della Repubblica, ma che giaccia in fondo ai cassetti dei Ministri e degli Assessori Regionali.
Abbiamo un’altra idea di civiltà, evidentemente, se in quel “programma dei mille giorni” non ricorre nemmeno una parola riguardo alla povertà, alla non autosufficienza, alla disabilità, questioni non certo risolvibili con il solidarismo caritatevole o con fantasiosi artifizi di “voucher”, ma da affrontare con risorse, idee, riforme strutturali, decisione e celerità.
Un Paese civile, per noi almeno, è quello in cui gli ultimi non sono abbandonati a se stessi, non solo quello che torna – con piacere di alcuni – alla frenesia del consumo spinto o che conclude più rapidamente le cause di separazione.