La “teoria americana” dei biglietti

«Spesso in Italia – scrive Simone Fanti, reduce da un viaggio a New York – la gratuità ai musei è una “coperta” che giustifica i non interventi per rendere completamente fruibili tutti i percorsi espositivi. A New York, invece, la persona con disabilità paga e quindi può giustamente pretendere che tutto sia perfettamente accessibile. E tuttavia qualche dubbio rimane, dal momento che secondo la “teoria americana”, un cieco, ad esempio, dovrebbe pagare il biglietto al Metropolitan Museum, senza però poter fruire di nulla…»

New York, Metropolitan Museum

Il Metropolitan Museum di New York

«Due biglietti, grazie». «Sono 50 dollari». «Ma non c’è qualche sconto per l’accompagnatore come avviene in Italia?». La risposta alla biglietteria del Metropolitan Museum di New York è un no secco. L’occhiata che segue mostra tutta la sorpresa dell’addetta. Una scena che si è ripetuta per un paio di altri siti museali che ho visitato (il MOMA-Museum of Modern Art, il Memoriale dell’11 Settembre), contrariamente a quello che accade in Italia, dove quasi tutti i musei offrono l’ingresso gratuito all’accompagnatore o alla persona con disabilità. Oppure ad entrambi.
La sera successiva mi confronto con un’amica americana sull’accaduto e ne nasce una discussione interessante perché giustappone due posizioni e mentalità che partendo dallo stesso presupposto – ovvero il diritto a fruire di un bene pubblico – portano a due risultati completamente opposti: la gratuità in Italia e il biglietto a pagamento negli Stati Uniti.
Quando le racconto il mio stupore nel dover pagare l’ingresso, ride e mi prende in giro, giocando con lo stereotipo degli “italiani furbi” che le studiano tutte pur di non pagare. Poi l’argomento torna sul serio, «qui si parte dalla considerazione che tutti sono uguali», anche da noi secondo la Costituzione…, «e non c’è giustificazione perché un abile paghi e un disabile no…», dice la mia amica. «Il museo era accessibile – aggiunge – e quindi, se riuscivo a compiere una visita completa, allora ero un cliente come un altro». E da un certo punto di vista aveva ragione. Essendo infatti un cliente pagante, potevo vantare un diritto, quello di pretendere che tutto fosse perfettamente accessibile. In Italia, invece, spesso la gratuità è una “coperta” che giustifica i non interventi per rendere completamente fruibili tutti i percorsi espositivi. Una sorta di «tanto non hai pagato, anche se vedi un pezzo, magari il primo piano per assenza dell’ascensore, non puoi lamentarti». Come se la gratuità cancellasse il diritto a pretendere lo stesso trattamento degli altri ospiti. Anzi, quasi a dover ringraziare per il “dono e l’onore” riservato.

New York, visore per il panorama

Un visore per il panorama di New York ad altezza di bimbi e carrozzine

E anche su questo concetto forse l’amica americana non aveva tutti i torti, ma qualche dubbio ammetto mi è rimasto. Anche da loro, dagli americani, così ligi all’uguaglianza, qualcosa non funziona. Perché se è vero che non ho trovato nessun ostacolo (a parte qualche scalino da superare attraverso degli ascensori sparsi qua e là alla rinfusa sui piani), è anche vero che non proprio tutta l’esposizione era fruibile: alcune bacheche e relative didascalie erano troppo alte per me e mancava un percorso per non vedenti. Un cieco quindi, secondo la “teoria americana”, avrebbe dovuto pagare per fruire di nulla.

La situazione è un po’ diversa nei trasporti: tutti gli autobus sono accessibili – tranne alcune linee extraurbane -, la metropolitana solo a tratti, come da noi, ed esiste un servizio ad hoc di taxi, oltre quattrocento, adattati per il trasporto di persone in sedia a rotelle.
Per alcune fasce di persone con disabilità residenti a New York, esiste un tesserino che dà la gratuità anche sui taxi. I turisti disabili invece pagano (anche se con prezzi nettamente inferiori ai nostri) per un servizio non proprio eccellente: i taxi cittadini, infatti, non li caricano per questioni assicurative (salvo qualcuno che non si lascia scappare il cliente) e quindi è necessario chiamare il numero della città di New York, il 311, o scaricare un’apposita app, Wow Wheels on Wheels, per prenotare un taxi attrezzato. L’attesa media è di circa mezz’ora e spesso arriva una vettura che non ha lo spazio necessario per la sedia a rotelle. Viene chiamato un altro taxi… i tempi si dilatano, tanto che forse vale la pena di dotarsi di un device elettrico a motore da noleggiare in loco e percorrere le avenue e le street a piedi.

Testo già apparso in “InVisibili”, blog del «Corriere della Sera.it» (con il titolo “New York? E io pago!”). Viene qui ripreso, con minimi riadattamenti al diverso contenitore, per gentile concessione.

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