Accessibili sì, ma anche con un’anima

«Spesso – scrive Simone Fanti, riflettendo a margine di un convegno dedicato ai parchi naturali e didattici – togliamo le barriere, ma non diamo un’anima ai luoghi, ci dimentichiamo del lato umano, della sfera emotiva. Si rispettano le leggi, ma poi? Una scatola vuota. Nemmeno il più accessibile degli edifici mi regalerà mai quelle sensazioni che cerco, se non sarà riempito di contenuti, di esperienze da vivere, di oggetti da ammirare, toccare. Di attività che valorizzino ciò che so fare. O che mi aiutino a impararne di nuove»

Parco di San Rossore (Pisa), Sentiero del Fratino

Il Sentiero del Fratino, nel Parco di San Rossore (Pisa), è accessibile alle persone con disabilità motoria in carrozzina

«Ma i disabili dove sono?», si chiedeva con non celato scoramento Lorenzo Borghi, vicepresidente della LIPU, durante il convegno Parchi naturali e didattici: una bella storia da comunicare, organizzato, il 24 giugno scorso, presso il Parco di San Rossore (Pisa) da CERPA Italia (Centro Europeo di Ricerca e Promozione dell’Accessibilità) [se ne legga anche la nostra presentazione, N.d.R.]. «Fino a quattro anni fa – ha aggiunto – avevamo una barca accessibile per far visitare un’oasi faunistica (l’Isola Bianca) nel Delta del Po a Ferrara e l’abbiamo dovuta restituire al Comune per inutilizzo. E nemmeno il centro di recupero avifaunicolo Il Giardino delle Capinere, accessibile e dotato di scooter elettrico per le persone con ridotta mobilità, viene frequentato da persone con disabilità. Su quattromila visitatori all’anno, infatti, nessuno con disabilità. Perché?».
Una prima risposta, durante quel convegno, l’ha data il presidente di CERPA Italia, l’architetto Gaetano Venturelli: «Giudicando da tutti gli amici che postano foto su Facebook, sono tutti in handbike!». Un guizzo ironico che però dice molto.
Già, fuor di metafora, spiega che anche le persone con disabilità, come ogni essere umano, sono alla ricerca di sensazioni ed esperienze che li vedano tra i protagonisti. Una pedalata all’aria aperta, un po’ di sport… e, perché no, il “sollevamento della forchetta” in qualche ristorante lungo il percorso.
Troppo spesso togliamo le barriere, ma non diamo un’anima ai luoghi, ci dimentichiamo del lato umano, della sfera emotiva. Si rispettano le leggi, ma poi? Una scatola vuota. Nemmeno il più accessibile degli edifici mi regalerà mai quelle sensazioni che cerco, se non sarà riempito di contenuti, di esperienze da vivere, di oggetti da ammirare, toccare. Di attività che valorizzino ciò che so fare. O che mi aiutino a impararne di nuove.

La società è cambiata, da spettatori ci si è trasformati in attori, quasi “bulimici”, in perenne movimento. Si salta da un corso – oggi sarebbe meglio parlare di workshop – a un altro, da una sensazione a un’altra. E con la società, sono cambiate anche le persone con disabilità. E non poteva essere diversamente, essendone naturalmente parte integrante. Anche il disabile vuole fare. Così diventa evidente lo scollamento tra l’aspettativa di chi abbatte le barriere architettoniche e i desiderata di chi vuole usufruire di quell’accessibilità.
Troppo spesso si pensa che abbattere la barriere fisiche che impediscono l’accesso alle persone con disabilità garantisca di per sé un fattore di attrazione. Come se questa operazione garantisse immediatamente l’arrivo di centinaia di disabili. Il risultato è una delusione e un freno a proseguire verso l’eliminazione di barriere fisiche. Non è così e non lo sarà mai, fino a quando si continuerà a pensare che il problema sia solo fisico. Fino a quando si continuerà a pensare che “loro”, i disabili, cercano qualcosa di diverso da “noi” gli “abili”. Voi andreste in un luogo dove l’unica cosa che si può fare è stare seduti?

L’Expo 2015 di Milano, cui chi scrive personalmente non ha lesinato critiche, ha avuto il merito di rendere i contenuti fruibili. L’accessibilità era uno strumento non l’obiettivo. Attraverso un design per tutti, oltre 35.000 persone con disabilità hanno potuto vivere l’Esposizione Universale, mescolarsi tra la folla, perdersi tra gli stand, imparare, provare… assaggiare.
Alla risposta di Venturelli, sostituirei, dopo una riflessione, la frase: «I disabili vanno dove sanno di vivere un’emozione». Personalmente, ad esempio, non conoscevo l’accessibilità del centro di recupero della LIPU e la possibilità di fare i “volontari” per un giorno, magari vivendo l’attimo in cui a un uccello curato viene restituita la libertà. Il sito non specifica l’attività che può essere vissuta e l’accessibilità si “perde” nel testo di descrizione.
E nemmeno sapevo della fruibilità del Parco di San Rossore, dove si è svolto il convegno del 24 giugno. Sul materiale in distribuzione al Visitor Center, infatti, non vi è traccia dei percorsi ad hoc che sono stati studiati per i visitatori con problemi di mobilità.
Questa ex tenuta del Quirinale e ancor prima dei Savoia (hanno soggiornato qui numerosi presidenti della Repubblica da Gronchi in poi sino al 2000, anno in cui la proprietà è passata alla Regione Toscana) di 5.000 ettari, coperta di boschi, che degrada sul mare, offre un’incredibile varietà di flora, un immenso patrimonio che comprende ben cinque riserve naturali. I sentieri stabilizzati consentono diverse passeggiate in sedia a rotelle e in handbike, mentre una meravigliosa passerella in legno che scavalca una duna consente di affacciarsi su un tratto di costa incontaminata (tanto incontaminata che ci depositano le uova persino le tartarughe Caretta caretta). A sera, poi, sui prati della tenuta, pascolano daini e animali selvatici e non mancano nemmeno i dromedari. E queste, se volete, chiamatele emozioni!

Testo già apparso in “InVisibili”, blog del «Corriere della Sera.it» (con il titolo “Dove sono i disabili? Tutti in handbike”). Viene qui ripreso, con minimi riadattamenti al diverso contenitore, per gentile concessione.

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