Firenze e la logica dei diritti

«Credo – scrive Fausto Giancaterina, riflettendo sulla Conferenza Nazionale sulle Politiche della Disabilità di Firenze – che si debbano sovvertire gli approcci finora utilizzati, promuovendo il passaggio costruttivo dalla logica dei bisogni alla logica dei diritti. Quest’ultima è semplice perché significa riconoscere che anche le persone con disabilità sono cittadini con diritti riconosciuti dalla Costituzione, ma complicata perché significa mettere in atto un radicale cambiamento di tutti i servizi, mettendoli in condizione di garantire realmente l’esigibilità di tali diritti»

Renzi e Poletti alla Conferenza Nazionale sulle Politiche della Disabiltià di Firenze, 16-17 settembre 2016

Il presidente del Consiglio Matteo Renzi alla Conferenza Nazionale di Firenze, insieme al ministro del Lavoro e delle Politiche Sociali Giuliano Poletti

Innanzitutto ritengo che sia sempre e comunque interessante, a intervalli temporali, fare il punto a 360 gradi su che cosa sia accaduto, accade e accadrà nel complesso mondo delle persone con disabilità e in tutto il contesto politico, culturale e tecnico-scientifico ad esso strettamente correlato.
Organizzata dal Ministero del Lavoro delle Politiche Sociali, in collaborazione con il Comune di Firenze e la Regione Toscana, la quinta Conferenza Nazionale sulle Politiche della Disabilità, svoltasi nel capoluogo toscano, aveva come sfondo i temi della Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità e come obiettivo specifico la discussione del secondo Programma di Azione Biennale per la Promozione dei Diritti e l’Integrazione delle Persone con Disabilità, preparato e proposto dall’Osservatorio Nazionale sulla Condizione delle Persone con Disabilità.

Come sempre accade in queste Conferenze Nazionali – chi scrive le ha seguite tutte, dando, per le prime tre, anche una collaborazione diretta nell’organizzazione e nella definizione dei contenuti – la vastità e la complessità dei temi, le difficoltà vissute personalmente da molti partecipanti, determinano momenti di grande interesse, ma anche di tensioni e visibili proteste.
La forte delusione dovuta alla scarsa attuazione del primo Programma d’Azione Biennale, approvato nel 2013 (DPR del 4 ottobre 2013), puntualmente e particolarmente documentata dalla FISH, era visibile e palpabile.
Oltre agli interventi istituzionali e dei diversi portatori d’interesse (stakeholder), otto Gruppi di Lavoro hanno approfondito e discusso temi fondamentali contenuti nel testo del secondo Programma d’Azione, che verrà ufficialmente approvato entro la fine di ottobre.
Si tratta di temi fondamentali già affrontati nel primo Programma: riconoscimento della condizione di disabilità, autonomia e vita indipendente (a tal proposito sarebbe interessante capire che cosa si intenda veramente con questo slogan), empowerment, politiche sociali, sanitarie e sociosanitarie di contrasto alla disabilità, diritto alla vita e alla salute, scuola, lavoro, accessibilità, cooperazione internazionale, reporting e statistiche.
I report dei lavori degli otto Gruppi hanno riportato interessanti approfondimenti che verranno pubblicati sul sito del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali.

Non voglio assolutamente sminuire l’importanza della Conferenza e tantomeno dare l’impressione di non apprezzare l’enorme lavoro che ha prodotto interessanti e validi contributi, né voglio dare l’impressione di non avere apprezzato un lavoro organizzativo impeccabilmente realizzato. Molti seri professionisti, nonché amici, hanno lavorato per la positiva riuscita della Conferenza e di tutto questo sono loro infinitamente grato, come sono loro grato per la possibilità di rivederci e scambiarci opinioni e notizie.
Non posso tuttavia nascondere il fatto che io, purtroppo, abbia vissuto le due giornate sotto l’influsso e il “fascino” del distacco e del disincanto, tremendamente condizionato dal timore di assistere ancora una volta a un rituale che, immutabile, ho già vissuto nelle ultime Conferenze e che, ahimè, si è puntualmente riavverato.
Credo che nessuno, con un po’ di buonsenso, possa credere che si possa sbrogliare nel giro di due/tre anni una matassa complicata che riguarda l’esistenza di tantissime persone (molte delle quali sentono tutta la fatica del tenere il passo). Penso in particolare a quanto siano condizionanti e molto presenti nel mondo della disabilità divergenti visioni culturali e scientifiche, spesso segnate dalla difficile prospettiva di non poter trovare una sintesi condivisa, mentre con facilità, in queste occasioni, emergono interessi e si cercano compensazioni in compiaciuti protagonismi.

Allora mi sono chiesto: non sarebbe più proficuo abbandonare questo esercizio di una narrazione che pretenda di affrontare tutto l’universo mondo della disabilità, rivelatosi finora infruttifero e, al contrario, non sarebbe utile riuscire a spostare saperi e opere su un obiettivo condiviso che affronti e risolva innanzitutto i problemi strutturali (del resto, se non ho capito male, questo mi è sembrato uno dei messaggi forti del ministro Poletti nel suo intervento conclusivo), per tentare di produrre un solido e articolato sistema di servizi organicamente finalizzato ad accompagnare l’esistenza delle persone con disabilità? Oppure dobbiamo fin da ora prepararci a rivivere, fra qualche anno, le stesse frustrazioni della scarsa attuazione del primo Programma d’Azione 2013-2015?
Non so se io sia un ingenuo, ma credo che occorra provare a sovvertire gli approcci finora utilizzati. Molto schematicamente – ma l’Osservatorio è potentemente ricco di persone con un bagaglio tecnico/culturale enormemente vasto e valido – si potrebbe provare a promuovere un cambiamento che portasse i servizi verso un sistema il quale, prima di tutto, abbandonasse l’attuale organizzazione a “canne d’organo”, fatto cioè per filiere tecnico/amministrative, incomunicante e frammentato nelle responsabilità, caparbiamente separato tra sociale, sanitario, tra educativo e culturale, tra produttivo e protezione sociale, promuovendo il passaggio costruttivo dalla logica dei bisogni alla logica dei diritti, considerandolo, per lo più, un valore non negoziabile.
La logica dei bisogni, come sappiamo, impone, generalmente, la costruzione di relazioni asimmetriche tra servizi e professionisti da una parte e persone “bisognose” di aiuto dall’altra; vale a dire tra chi è “forte e presta aiuto” e chi è “debole e riceve aiuto”. Tende a precostituire contenitori (detti servizi) diversificati, secondo categorie di bisogno e stati di gravità, con sistemi standardizzati d’intervento che possano essere facilmente controllabili. Alle persone non resta altro, pena l’esclusione, di adeguarsi al contenitore, per poter soddisfare i loro “bisogni”, poiché la tendenza è quella di confezionare casacche “multitaglia” piuttosto che vestiti tagliati su misura.
Si tratta, quindi, di finirla con le pratiche unidimensionali di salute e di sviluppo delle persone, basate su “bisogni” e su esclusive tecnicalità specialistiche bio/mediche, per affrontare la multidimensionalità della vita delle persone, come del resto raccomandato dall’ormai celebre, ma poco praticata, indicazione dell’Organizzazione Mondiale della Snità (OMS), riassunta in “bio-psico-sociale” e alla quale bisognerebbe aggiungere, a mio avviso, “ed educativo”.

L’approccio nella logica dei diritti è in realtà molto semplice e complicato allo stesso tempo. Semplice perché significa riconoscere un dato di fatto: anche le persone con disabilità sono cittadini con diritti riconosciuti dalla Costituzione; complicato perché significa provare a mettere in atto, come già detto, un radicale cambiamento di tutti i servizi e metterli nella condizione di garantire realmente l’esigibilità di tali diritti.
Conseguentemente, si richiedono cambiamenti strutturali nei servizi. Il che significa, prima di tutto, finirla con la “madre i tutti i problemi”, ovvero la separazione tra sociale e sanitario. Significa ridimensionare il predominio della cultura medico/compensativa, promuovere una visione inclusiva e essere finalmente in sintonia con il proprio contesto sociale, economico, culturale e di senso, e garantire così l’esigibilità dei diritti di cittadinanza.
Un passo propedeutico potrebbe essere, a livello nazionale, quello di lavorare (sull’esempio della Regione Toscana) alla stesura di un Testo Unico sui Diritti e le Politiche per le Persone con Disabilità, armonizzandolo alla Convenzione ONU.

P.S.: Personalmente ho partecipato al workshop dedicato al tema Budget di salute e politiche per la disabilità. In tale sede ho dovuto precisare che il sistema operativo “budget di salute” non deve assolutamente essere confuso con il “voucher” (tanto caro alla Regione Lombardia). Si tratta infatti di altra cosa: è uno strumento organizzativo-gestionale costituito dall’insieme delle risorse economiche, professionali e umane, dagli asset strutturali, dal capitale sociale e relazionale della comunità locale e dalla com-partecipazione di tutti gli attori interessati, finalizzato a sostenere la realizzazione di progetti di vita personalizzati, attivando processi di integrazione a più livelli, primo fra tutti quello riguardante l’integrazione sociosanitaria, considerato irrinunciabile scelta strategica.
Molte e diverse sono le esperienze in atto del sistema operativo “budget di salute”: non si tratta di imitare o copiare, ma di pensare a una propria via che sia coerente con tali irrinunciabili princìpi.
La Regione Lazio (forse unica Regione) ha recentemente incardinato il sistema operativo “budget di salute” nella Legge Regionale 11/16
(Sistema integrato degli interventi e dei servizi sociali della Regione Lazio, articolo 53: Presa in carico integrata della persona e budget di salute).

Già dirigente dell’Unità Operativa di Disabilità e Salute Mentale di Roma Capitale.

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