Un Paese civile non può abbandonare così i suoi cittadini

«Dietro alla vicenda di Loris Bertocco – scrive Fulvio De Nigris – che ha deciso la via del suicidio assistito in Svizzera, dopo avere detto di essere stato “abbandonato dalle Istituzioni” e di “non avere più soldi per curarsi”, c’è la stessa solitudine di tante persone con disabilità e delle loro famiglie, che chiedono assistenza». «Quello che manca – conclude – è la volontà di farsi carico di una cittadinanza troppo spesso definita “di serie B” e sulla quale si investe ancora troppo poco. Ma un Paese civile non può abbandonare così i suoi cittadini»

Realizzazione grafica con vari parallelepipedi e sopra altreattante persone. Quella con disabilità è più in basso di tuttiIl caso di Loris Bertocco – rimasto completamente paralizzato dopo un incidente stradale di molti anni fa, che ha deciso la via del suicidio assistito in Svizzera, dopo avere scritto in una lettera di essere stato «abbandonato dalle Istituzioni» e di «non avere più soldi per curarsi» – riempie di amarezza e tristezza. Per quello che si sarebbe potuto fare e non si è fatto, per la discriminante che ancora una volta colpisce le persone fragili, quelle che non si possono difendere.

Loris non riusciva più a sostenere dignitosamente il suo percorso di vita e di solitudine nella convivenza con la malattia e ha fatto una scelta, la più drammatica, con una testimonianza che ci lascia attoniti.
Ma Loris nella sua solitudine, non è solo. È la punta di un iceberg, quello della disabilità, costellato di tante vicende ahimè drammatiche e tragiche come la sua. Vicende sulle quali si combattono battaglie feroci con le Istituzioni locali e con il Governo centrale. Fatte di promesse non mantenute, di diritti violati, di familiari che si annullano, pur di sostenere i loro cari e si spogliano di tutto per cercare cure migliori che molto spesso non trovano.

Il Governo non ha portato a compimento una Legge sul fine vita e ha ratificato una Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità che è ancora largamente inapplicata. Ma la cosa peggiore è che, probabilmente, non interessa il vivere bene e ancor meno farlo nella convivenza con la malattia.
Anche i mass-media si fanno promotori di storie come quella di Loris, che vanno sicuramente raccontate, senza però dimenticare le altre persone con disabilità e i loro nuclei familiari, che giorno dopo giorno combattono contro un sistema che li emargina.

Quello che c’è dietro la vicenda di Loris Bertocco, tanto drammatica, è la stessa solitudine di gruppi familiari che chiedono assistenza, perché prima della buona morte ci siano percorsi di cura, aiuti, una condivisione che faccia rinascere un nuovo progetto di vita.
Si dice spesso che mancano i soldi e in parte è vero. Ma in realtà, quello che manca è la volontà di farsi carico di una cittadinanza troppo spesso definita “di serie B” e sulla quale si investe ancora troppo poco.

Nella sua ultima testimonianza, Loris rimarca il fatto che non aveva più soldi. Sappiamo che il suicidio assistito in Svizzera costa. Qualcuno per questo li avrà trovati. Chi?
È qui, in Italia, credo, che debba essere riversato l’aiuto, in tutto il percorso di vita di cui la morte è la parte finale. Un Paese civile non può abbandonare così i suoi cittadini.

Direttore del Centro Studi per la Ricerca sul Coma degli Amici di Luca di Bologna (fulvio.denigris@amicidiluca.it).

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