Il teatro ha bisogno di tutto quel che la società sembra espellere

«Il teatro ha bisogno di tutto quel che la nostra società sembra espellere. Diversità, disagio, malattia, handicap, dolore. È il mondo Altro, o forse semplicemente il mondo dell’Altro, la sorgente da cui il teatro può trarre nuova energia, nuovo spirito, nuova ricerca»: lo si legge nell’introduzione del libro “La malattia che cura il teatro”, nato dall’omonimo seminario promosso lo scorso anno a Bolzano dalla Compagnia Teatro La Ribalta (Accademia Arte della Diversità), costituita da uomini e donne con e senza disabilità

Copertina del libro "La malattia che cura il teatro"È il frutto del seminario La malattia che cura il teatro. Lo stato della ricerca teatrale che dialoga con il disagio, promosso nell’ottobre dello scorso anno a Bolzano dalla Compagnia Teatro La Ribalta – al cui interno opera l’Accademia Arte della Diversità (Akademie Kunst der Vielfalt) – il volume intitolato anch’esso La malattia che cura il teatro. Esperienza e teoria nel rapporto tra scena e società, curato da Andrea Porcheddu e Cecilia Carponi e recentemente pubblicato dall’editore Dino Audino.

Nella nostra presentazione dell’evento di Bolzano, che aveva coinciso tra l’altro con la Giornata Mondiale della Salute Mentale del 10 ottobre, avevamo ripreso le parole degli organizzatori, secondo i quali «c’è un certo teatro, delle pratiche teatrali e delle attività laboratoriali che si sono diffuse in tutta Italia e che producono una innumerevole attività culturali con cifre quantitative impressionanti. Dalle grandi città fino ai piccoli paesi, questo teatro e questa attività, che si definisce teatro sociale, oppure teatro sociale d’arte o ancora, non amando scomparti ed etichette, semplicemente teatro, ha visto una vera esplosione e moltiplicazione. Nascono con necessità, vocazioni, urgenze e qualità diverse ma, tra loro, tra queste infinite diversità,  possiamo trovare con un’unica denominazione comune: tutte vedono il teatro come un atto politico vero e proprio, un luogo per l’impegno che cerca e trova un dialogo stretto con la parte più sofferente ed emarginata della nostra società. Su questo fenomeno vogliamo mettere la luce per rileggerlo in una visione nuova, tutta interna ai processi di trasformazione che il teatro è capace di fare mettendosi in gioco, ammalandosi, contagiandosi e infettandosi. E intorno a questi temi, abbiamo chiamato a Bolzano alcuni teatranti, alcuni studiosi, altri compagni di viaggio che su questi temi si interrogano quotidianamente dentro le loro pratiche teatrali. La premessa è impegnativa, ma vogliamo cercare di essere più semplici e aperti a tutte le esperienze, sia a quelle strettamente legate alla creazione teatrale sia a quelle che hanno valenza e pertinenza esclusivamente sociale. Un incontro tra due mondi diversi che, proprio in questa diversità hanno ragione di fare pezzi di strada comune».

Artisti, studiosi, critici e operatori si erano dunque ritrovati a Bolzano, allo scopo di avviare un confronto sul teatro, basandosi su un vero e proprio ribaltamento della prospettiva: non il teatro, quindi, a “curare le ferite”, ma la malattia, appunto, che “cura il teatro”, mettendo in luce le pratiche, i percorsi e i pensieri di quanti provano a cambiare i codici di quest’arte, facendone un elemento di rinnovamento non solo artistico, ma soprattutto umano. «Strade, queste, che muovono dall’incontro con l’Altro e con la differenza – come è stato scritto -, osteggiando la dittatura dell’Uguale e del Normale, scardinando regole e prassi consolidate».

«Grazie alla sollecitazione di Antonio Viganò [direttore artistico del Teatro La Ribalta, N.d.R.], in queste pagine – si legge nell’introduzione del libro La malattia che cura il teatro – ci siamo trovati tutti a girare binocolo, a cambiare punto di vista, a interrogarci al contrario. È così che accade con tanto teatro: rivolta, cambia, modifica. Non sempre succede, eppure il teatro, quello “che funziona”, fa questi effetti. Allora la domanda posta da Viganò è significativa perché allude e svela una realtà di fatto. È il teatro che necessita di “cura”, di essere risanato, o forse semplicemente, ritrovato nella sua funzione profonda, nella sua essenza di verità, di funzionalità. E la cura è, appunto, la ferita. Ossia tutto ciò che esce dal mondo perfetto del contemporaneo, da quella “levigatezza” caratteristica della superficialità posticcia dei nostri tempi virtuali. Occorre guardare l’Ombra, l’oscuro, il negativo: il teatro ha bisogno di tutto quel che la nostra società sembra espellere. Diversità, disagio, malattia, handicap, dolore. È il mondo Altro, o forse semplicemente il mondo dell’Altro, la sorgente da cui il teatro può trarre nuova energia, nuovo spirito, nuova ricerca». (S.B.)

La malattia che cura il teatro. Esperienza e teoria nel rapporto tra scena e società, a cura di Andrea Porcheddu e Cecilia Carponi, Roma, Dino Audino Editore, 2020.

Il Teatro La Ribalta-Kunst der Vielfalt (Accademia Arte della Diversità) di Bolzano
Già spesso presente sulle nostre pagine, anche con spettacoli come Superabile, il pluripremiato Teatro La Ribalta-Kunst der Vielfalt (Accademia Arte della Diversità) di Bolzano è una compagnia teatrale professionista costituita da uomini e donne con e senza disabilità.
I suoi attori non dissimulano in alcun modo la loro condizione, piuttosto vi fondano la ricerca di un’identità artistica. In scena, dunque, si vede sia la disabilità, sia un teatro dove la preparazione e la tecnica non costituiscono un involucro, né un sostegno esterno, ma sono tutt’uno con l’espressione, organicamente legati alla condizione del rappresentare.
Le capacità del tutto “speciali” degli attori e dei danzatori dell’Accademia non intervengono a “mettere in forma” la comunicazione, ma costituiscono la natura stessa della comunicazione, sostanziandone possibilità e verità. In altre parole, non c’è contenuto e contenitore (un’esistenza che abitualmente chiameremmo “svantaggiata” portata fuori di sé dallo strumento efficace di un corpo addestrato), perché l’organicità della presenza è tale che fonde corpo e mente, intenzione e azione, risorse tecniche e contenuti personali.
«Questi attori e queste attrici – è stato ribadito in diverse occasioni dalla Compagnia – non chiedono indulgenza e ci invitano a tenere la commozione a distanza; non rivendicano, nel loro agire sulla scena, alcuna azione terapeutica, perché la terapia è costretta a fermarsi sulla soglia di un mistero che appartiene all’inesplicabilità dell’arte».

Per ulteriori informazioni e approfondimenti: info@teatrolaribalta.it (Martina Zambelli).

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