Quella Legge Regionale sulla vita indipendente che crea proficuo dibattito

«Va certamente salutata positivamente – scrive Simona Lancioni – quella Legge della Regione Lombardia che riconosce e disciplina il diritto alla vita indipendente di tutte le persone con disabilità, giacché ogni norma che si configuri come un’attuazione della Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità va considerata come un avanzamento nella creazione di una società più giusta. Vanno altresì accolte con favore anche le considerazioni critiche volte a migliorarla, poiché la critica è un elemento imprescindibile del processo evolutivo, sia a livello individuale che collettivo»

Particolare di uomo in carrozzina in movimentoLo scorso dicembre la Regione Lombardia ha approvato la Legge Regionale 25/22 che, come lascia intuire la sua denominazione – Politiche di welfare sociale regionale per il riconoscimento del diritto alla vita indipendente e all’inclusione sociale di tutte le persone con disabilità –, è volta a disciplinare la materia della vita indipendente delle persone con disabilità.
La norma si compone di tredici articoli e si configura come un sostanziale recepimento di una Proposta di Legge Regionale avanzata nel novembre del 2020 al Consiglio Regionale della Lombardia dalla LEDHA (Lega per i Diritti delle Persone con Disabilità), componente lombarda della FISH (Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap). Non sorprende dunque il compiacimento espresso, anche su queste pagine, dal presidente della LEDHA Alessandro Manfredi, a commento del traguardo raggiunto: «Siamo soddisfatti ed emozionati: questo voto rappresenta il raggiungimento di un obiettivo a cui lavoriamo da più di tre anni: garantire cioè a tutte le persone con disabilità il diritto a vivere nella società con la stessa libertà di scelta delle altre persone», né la valutazione di Giovanni Merlo, direttore della LEDHA, quando osserva che quella approvata in Lombardia «non è solo una nuova Legge Regionale, ma una grande e impegnativa assunzione di responsabilità verso le migliaia di persone con disabilità che ancora oggi, anche in Lombardia, vivonoin condizioni di isolamento e discriminazione. Una responsabilità che appartiene certo e in prima battuta alle Istituzioni Pubbliche, a partire da Regione e Comuni, ma che chiama in causa tutta la Società Civile, a incominciare naturalmente dalle nostre stesse Associazioni».
Entusiasta, infine, si è dichiarato anche Salvatore Nocera, presidente del Comitato dei Garanti della FISH che, da avvocato qual è, dopo una puntuale analisi della stessa, qualifica la norma in questione come «uno strumento prezioso che certamente migliorerà la qualità di vita delle persone con disabilità».

Di tutt’altro segno è invece la lettura proposta dalla Segreteria di ENIL Lombardia (la Rete per la Vita Indipendente in Lombardia) che, in un comunicato stampa di alcuni giorni fa, i cui contenuti sono stati ripresi anche su queste pagine, esordisce così: «Cosa c’è di Vita Indipendente nella “Legge regionale 8 dicembre 2022 n. 25”? Soprattutto poca chiarezza e molti fraintendimenti, almeno per noi che per Vita Indipendente intendiamo “possibilità di vivere in libertà e uguaglianza come e insieme a tutti gli altri cittadini e, soprattutto, di autodeterminare la propria vita”».
Nella nota di ENIL Lombardia si contestano diversi aspetti della norma in questione tra i quali i più rilevanti sembrano che nella Legge il progetto di Vita Indipendente sia denominato «progetto individuale, personalizzato e partecipato», ritenendo che il termine «partecipato» possa essere inteso sia come ingerenza di terzi nelle decisioni che riguardano la vita delle persone con disabilità, sia come modalità che apre alla compartecipazione alla spesa della stessa persona con disabilità e della sua famiglia; e ancora, che la figura chiave dell’assistente personale sia «considerata secondaria», e che la copertura dei costi avvenga come rimborso, costringendo le persone con disabilità ad anticipare le relative somme, e precludendo l’accesso al servizio a chi non ha disponibilità economica; infine, il timore, sotteso, di non essere ricompresi tra le «Associazioni maggiormente rappresentative delle persone con disabilità» coinvolte dalla Regione nelle successive tappe attuative della norma; che non vi sia alcuna distinzione tra la persona con disabilità che necessità di un supporto decisionale e chi no: «Riusciremo a far comprendere alla Giunta regionale che non tutte le disabilità necessitano di così tante intromissioni esterne a supporto delle decisioni sulla propria vita; e che occorre, quindi, riformulare gran parte di questa Legge per rendere più chiara ed esigibile la libertà di scegliere sia della propria quotidianità che delle proprie prospettive?».

Qualche osservazione sui contenuti della norma. All’articolo 1, che definisce Princìpi e finalità della Legge Regionale, è statuito che la Regione emana la norma «in attuazione della Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità, ratificata dall’Italia con la Legge 3 marzo 2009, n. 18»: questo dovrebbe precludere che in sede attuativa si possano introdurre misure che estromettano la persona con disabilità dal processo decisionale.
Entrando poi nello specifico della materia regolamentata, va osservato che la disciplina della Vita Indipendente contenuta nella Convenzione ONU (articolo 19*) non distingue tra persone con disabilità diverse – ad esempio, tra disabilità intellettive/psichiatriche e le altre – per il semplice motivo che il diritto «a vivere nella società, con la stessa libertà di scelta delle altre persone» è riconosciuto in ugual misura, e senza distinzione, a tutte le persone con disabilità. Va però rilevato che la Legge Regionale non affronta il problema che in Italia persistano ancora istituti di tutela che configurano regimi decisionali sostitutivi della volontà delle persone con disabilità. Un aspetto per il quale, nel 2016, siamo stati richiamati dal Comitato ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità.
In concreto, il Comitato ONU ha raccomandato all’Italia «di abrogare tutte le leggi che permettono la sostituzione nella presa di decisioni da parte dei tutori legali, compreso il meccanismo dell’amministratore di sostegno, e di emanare e attuare provvedimenti per il sostegno alla presa di decisioni, compresa la formazione dei professionisti che operano nei sistemi giudiziario, sanitario e sociale» (Osservazioni Conclusive al primo rapporto del nostro Paese sull’applicazione della Convenzione, punto 28). Ora, poiché la Legge Regionale Lombarda 25/22 contiene la seguente disposizione: «Qualora la persona con disabilità si trovi in condizioni di incapacità legale o naturale, si applicano le disposizioni previste dall’ordinamento civile, assicurando, per quanto possibile, la partecipazione della stessa alla elaborazione del progetto» (articolo 6, comma 1), devo concludere che essa non tiene conto del fatto che le «disposizioni previste dall’ordinamento civile» italiano sulla limitazione della capacità d’agire sono considerate illegittime dal Comitato ONU perché ritenute in conflitto con la Convenzione ONU (in specifico con l’articolo 12). La qual cosa non vuol dire che la Legge Regionale sia “da buttare”, ma che si dovrebbe trovare una formulazione volta a integrare anche questo aspetto. Se sostituirsi infatti nelle scelte di vita di una persona con disabilità motoria (per riprendere un’espressione usata dalla Segreteria di ENIL Lombardia) è illegittimo, e sono convinta che lo sia, lo è in ugual misura anche sostituirsi alle persone con altri tipi di disabilità.

Condivido invece con ENIL Lombardia la preoccupazione che le spese per l’assunzione di un/a assistente personale siano corrisposte come «rimborso delle spese sostenute» (articolo 8, comma 3), e non come un contributo rendicontabile (come avviene, ad esempio, in Toscana: si veda l’“Atto di indirizzo per la predisposizione dei progetti di Vita Indipendente”, contenuto nell’Allegato B della Delibera di Giunta Regionale Toscana  n. 117 del 7 febbraio 2022).

In conclusione saluto positivamente la Legge Regionale Lombarda sulla Vita Indipendente e dunque esprimo apprezzamento per il lavoro svolto dalla LEDHA, ritenendo che ogni norma che si configuri come attuazione della Convenzione ONU vada considerata come un avanzamento nella creazione di una società più giusta. Questo però non mi impedisce di salutare con favore anche le osservazioni critiche espresse da ENIL Lombardia, perché ritengo che la critica sia un elemento imprescindibile del processo evolutivo sia a livello individuale che collettivo. Impariamo per prove ed errori, il che non ci rende difettosi, ma semplicemente umani. Dunque auspico che tali osservazioni siano accolte come stimolo a migliorare la Legge stessa in sede attuativa.

E da ultimo, sempre con spirito costruttivo, voglio richiamare un passaggio del Preambolo della Convenzione ONU, laddove (alla lettera s) viene sottolineata «la necessità di incorporare la prospettiva di genere in tutti gli sforzi tesi a promuovere il pieno godimento dei diritti umani e delle libertà fondamentali da parte delle persone con disabilità». So che in seno alla LEDHA esiste un formidabile Gruppo Donne che, ne sono certa, saprà fornire le indicazioni adeguate ad incorporare nella Legge Regionale sulla Vita Indipendente anche la prospettiva di genere che, in contrasto con quanto previsto dalla Convenzione ONU, nel testo attuale non è considerata.

*Articolo 19 della Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità (Vita indipendente ed inclusione nella società)
Gli Stati Parti alla presente Convenzione riconoscono il diritto di tutte le persone con disabilità a vivere nella società, con la stessa libertà di scelta delle altre persone, e adottano misure efficaci ed adeguate al fine di facilitare il pieno godimento da parte delle persone con disabilità di tale diritto e la loro piena integrazione e partecipazione nella società, anche assicurando che:
(a) le persone con disabilità abbiano la possibilità di scegliere, su base di uguaglianza con gli altri, il proprio luogo di residenza e dove e con chi vivere e non siano obbligate a vivere in una particolare sistemazione;
(b) le persone con disabilità abbiano accesso ad una serie di servizi a domicilio o residenziali e ad altri servizi sociali di sostegno, compresa l’assistenza personale necessaria per consentire loro di vivere nella società e di inserirvisi e impedire che siano isolate o vittime di segregazione;
(c) i servizi e le strutture sociali destinate a tutta la popolazione siano messe a disposizione, su base di uguaglianza con gli altri, delle persone con disabilità e siano adattate ai loro bisogni.

Responsabile di Informare un’h-Centro Gabriele e Lorenzo Giuntinelli, Peccioli (Pisa), nel cui sito il presente contributo di riflessione è già apparso e viene qui ripreso, con minimi riadattamenti al diverso contenitore, per gentile concessione.

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