L’inclusione passa per i bisogni, ma anche per l’accoglienza e l’autonomia

«Ogni uomo e ogni donna con disabilità – scrive Salvatore Cimmino -, in qualunque Paese del mondo, ha il diritto ad una vita dignitosa. E non si tratta solo di soddisfare determinati bisogni, ma più ancora di vederne riconosciuto il desiderio di accoglienza e autonomia. È necessario, dunque, che l’inclusione diventi mentalità e cultura, e al tempo stesso che i legislatori e i governanti non facciano mancare a questa causa il loro coerente sostegno»

Immagine della locandina della terza Conferenza Regionale dell'Emilia Romagna sull'Inclusione delle Persone con Disabilità (Bologna, 18-19 giugno 2018)

Realizzazione grafica elaborata in occasione di un evento dedicato all’inclusione delle persone con disabilità

Ogni uomo e ogni donna con disabilità, in qualunque Paese del mondo, ha il diritto ad una vita dignitosa. E non si tratta solo di soddisfare determinati bisogni, ma più ancora di vederne riconosciuto il desiderio di accoglienza e autonomia. È necessario, dunque, che l’inclusione diventi mentalità e cultura, e al tempo stesso che i legislatori e i governanti non facciano mancare a questa causa il loro coerente sostegno.

Se ci troviamo oggi a riflettere, a confrontarci, a verificare lo stato della situazione concernente le disabilità, dal punto di vista culturale, istituzionale, legislativo e operativo, una prospettiva di riferimento è quella dei diritti di cittadinanza, costituzionalmente riconosciuti, osservati nella loro tutela ed esigibilità, nonché individuati nella loro caratteristica di diritti soggettivi universali.
Un’altra prospettiva di riferimento, invece è quella della valorizzazione della persona, dove lo Stato riconosce e sostiene le iniziative finalizzate al bene comune, alla solidarietà, alla corresponsabilità, in un’ottica di politiche sociali di Community Care, ossia con forme di assistenza e di supporto erogate tanto nella comunità quanto dalla comunità.
È necessario, pertanto, porre al centro e al cuore del sistema la difesa della persona con la propria dignità e il suo diritto a rimanere nelle proprie comunità, a contatto con le proprie reti familiari e sociali. Ma la persona al centro significa che non solo dev’essere oggetto del sistema di prestazioni e risposte, ma anche soggetto che collabora, partecipa, sceglie il processo di inclusione, pure laddove la gravità della compromissione del quadro clinico o comportamentale sia di notevole entità.

Diventa quindi prioritario pensare e attuare un welfare che miri ad affermare, richiedere ed esigere l’urgenza di un reale riconoscimento dei diritti di ogni uomo e ogni donna con disabilità ad una vita degna e vivibile. L’urgenza di promuovere una cultura del riconoscimento del desiderio esistenziale all’accoglienza e all’autonomia di ogni persona con disabilità e non solo all’appagamento dei bisogni. L’urgenza di propiziare i tempi differenziali e differenziati che segnano l’arco esistenziale della vita di ogni persona con disabilità. L’urgenza di promuovere la ricerca scientifica, che possa garantire ogni forma di prevenzione dell’evento lesivo. L’urgenza di tutelare la salute, anche e soprattutto in quelle forme di disabilità dove il curare non può garantire il guarire, dove non è possibile liberarsi della disabilità stessa, ma liberando invece quelle potenzialità che nessuna disabilità potrà mai cancellare. E ancora, l’urgenza di garantire il diritto allo studio, al lavoro, alla casa, all’abbattimento delle barriere, e di promuovere ricerche e sperimentazioni atte a sostenere e incrementare le potenzialità, ricordando che la riabilitazione è non solo restituzione di funzioni compromesse, è altresì barriera al decadimento, attivazione di funzioni compensative, evocazione di funzioni alternative.

L’inclusione rimane il punto fondamentale per l’abbattimento delle barriere: inclusione dei bambini nella scuola e nello sport, inclusione nel mondo del lavoro, nella società civile, all insegna della partecipazione, della conoscenza e del superamento di pregiudizi e diffidenze. Con il lavoro di tutti si potrebbe arrivare senz’altro molto lontano, mentre non riconoscere questa forte esigenza di totale inclusione può causare tre ordini di deficit: economico, in quanto non impiegare le risorse disponibili comporta una perdita onerosa; sociale, perché non includere qualsiasi categoria crea emarginazione; democratico, perché negare la partecipazione significa negare la piena cittadinanza.
Abbattere le barriere materiali e culturali che impediscono la piena partecipazione democratica di tutti i cittadini alla vita del Paese rappresenta infatti un grande segno di civiltà.

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