Testi di scuola e disabilità: non semplici aggiornamenti, ma una vera riscrittura

«Ma davvero persone che saranno assistenti sociali o educatori devono acquisire concetti superati e approssimativi come questi su un fenomeno tanto complesso come la disabilità?»: lo aveva scritto lo scorso anno Giuseppe Arconzo, docente dell’Università di Milano, a proposito dei concetti e dei termini del tutto fuori luogo e obsoleti adottati nei testi scolastici di un Istituto Professionale. Lo stesso professor Arconzo è stato poi coinvolto in una vera riscrittura e non in semplici aggiornamenti di quei testi, ma il problema non è ancora del tutto risolto, come racconta Elisabetta Rovatti

Testo scolasticoDedicato ad Antonio

La Scuola Superiore non è stata frutto di scelta. All’esito di ben sette colloqui in due anni e altrettanti Open Day a risposta identica, senza nemmeno avere visto lo studente – «troppa teoria… non va bene», «troppa pratica… non va bene» -, chiudo gli occhi ed effettuo direttamente l’iscrizione alla scuola di fronte a casa, l’Istituto Professionale Servizi per la Sanità e l’Assistenza Sociale. Virgola, si va avanti.
Procedo all’iscrizione in segreteria e l’impiegato scrive a pennarello nero sul fascicolo la nostra “stella di David”, “DVA” (“Diversamente abile”). Primo presentimento che qualcosa non va, ma, virgola, si va avanti.
Acquisto i libri. Arrivano e, incuriosita dai testi di Scienze Umane e Metodologie Operative (Percorsi di Metodologie operative di Carmen Gatto, Zanichelli e Il laboratorio delle scienze umane e sociali di Annuska Como e altri, Pearson Paravia; entrambe edizioni del 2019), leggo e resto basita.
Chiedo un confronto al professor Giuseppe Arconzo dell’Università di Milano che, sconcertato, ne scrive anche su queste pagine nel settembre dello scorso anno [“Ma è possibile dover studiare la disabilità su testi del genere?”, N.d.R.].
Ma quali sono precisamente gli aspetti che mi avevano colpito?

Testo Percorsi di Metodologie operative di Carmen Gatto (Zanichelli):
«[…] i bisogni del diversamente abile» (pagina 164); «la disabilità si manifesta a livello della persona [?] e limita lo svolgimento di quelle attività che per gli altri individui sono normali [?]», ossia un aperto e sincero invito agli studenti con disabilità presenti in classe a sentirsi inadeguati, diversi. Tralasciando la definizione di «normalità», sottolineo: «la disabilità può insorgere come conseguenza di una menomazione o come reazione psicologica alla limitazione fisica o sensoriale».
E ancora, «si definisce disabile colui che ha una minorazione che si differenzia dalla consuetudine».
Segue («La disabilità può interessare nell’individuo alcune parti del corpo») un elenco dei vari tipi di disabilità, in ottica prettamente medico assistenzialistica.
Sul ritardo mentale (mi pare che anche in termini medici sia preferibile esprimersi in termini di disabilità intellettiva e non di “ritardo mentale”), leggo a pagina 165: «Disabilità mentale lieve… il soggetto è EDUCABILE e scolarizzabile…» (????: la volontà di correggere la menomazione) e «L’accettazione [?] del diverso è legata a vari fattori…».

Testo Il laboratorio delle scienze umane e sociali di Annuska Como e altri (Pearson Paravia):
Pagina 336 e seguenti: «Diversamente abili e anziani»; «Quando si hanno abilità diverse»; «Ognuna di queste persone vive una condizione di DIVERSABILITÀ»; «l’universo della DIVERSABILITÀ»; «essere disabile significa essere costretti a un uso deficitario o comunque differente di una serie di abilità di cui una persona è normalmente in possesso».
Ed ecco, ancora, la definizione medico assistenzialistica: «L’OMS intende per disabilità qualsiasi restrizione o carenza della capacità di svolgere un’attività nei modi o nei limiti ritenuti normali per un essere umano».
Poi (pagina 338): «NUOVE PAROLE: Oggi [?] accanto ai termini “disabilità” e “disabile”… sono state introdotte nuove [?] parole ed espressioni come “DIVERSABILITA’”, e “DIVERSAMENTE ABILE… queste nuove voci intendono sottolineare un approccio positivo alla disabilità e mettere in evidenza il fatto che essere affetti da un deficit (fisico o mentale) non è un limite insormontabile…» (ma è un limite dunque della persona?).
Sempre a pagina 338 si fa riferimento all’International Classification of Impairment, Disabilities and Handicaps (ICIDH) «documento promulgato dall’OMS nel 1986» (????: in verità si dovrebbe utilizzare il modello bio-psico-sociale di cui alla Classificazione Internazionale del Funzionamento, della Disabilità e della Salute, l’ICF dell’OMS, che ha avuto già due revisioni, di cui l’ultima è del 2020).
Quindi, a pagina 343: «Alla prospettiva odierna si è arrivati quando finalmente le Nazioni Unite hanno promulgato la Convenzione sui diritti delle persone con disabilità, entrata in vigore il 3 maggio 2008 e ratificata da una ventina di Paesi nel mondo (la ratifica dell’Italia risale al 28 gennaio 2009 con la legge n. 1279»: beh, è quasi superfluo ricordare che la Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità è del 2006, è stata ratificata da 196 Paesi nel mondo, e l’Italia l’ha ratificata non con la Legge 1279, ma con la Legge n. 18 del 3 marzo 2009…
E infine ancora: «menomazione»; «handicap»; «accettare la diversità dell’altro»…

Gli scritti del professor Arconzo non sortiscono effetto. Mi decido dunque a scrivere direttamente alle case editrici e per conoscenza anche al Ministero, all’Ufficio Scolastico Regionale della Lombardia, e nuovamente inserisco tra i destinatari lo stesso professor Arconzo.
Le case editrici rispondono immediatamente, scusandosi del “disagio” involontariamente provocato. Precisazione di Giuseppe Arconzo: «Non è solo questione di disagio; si tratta di insegnare ai ragazzi che si formano – anche attraverso quei libri – che le persone con disabilità sono pienamente titolari di diritti; e parlare di “normalità”, “educabilità”, “consuetudini” significa implicitamente disconoscere questo assunto».
Il professor Arconzo è stato quindi coinvolto direttamente nella stesura delle nuove edizioni, intervenute poi nel febbraio di quest’anno. Gli sarò sempre grata. Al nostro percorso si sono affiancati in seguito altri amici che hanno preso a cuore la questione, tra cui «Superando.it» con Stefano Borgato e il compianto Antonio Giuseppe Malafarina. Il giovedì precedente alla sua dipartita, all’inizio di febbraio, Antonio mi scrive e mi chiede aggiornamenti, chiudendo con il suo solito sorriso e virgola. Gli rispondo che lo informerò non appena mi rapporterò con le case editrici. Non ho fatto in tempo. Virgola, si va avanti.

Ai primi di maggio, in occasione del Consiglio di Classe faccio presente ai docenti le intervenute nuove edizioni – che non consistono in un semplice aggiornamento, ma in una riscrittura per refusi contenutistici e terminologici – e la necessità di procedere alla sostituzione dei testi anche per le seconde classi, dal momento che quei libri si utilizzano nel primo biennio. Chiedo un colloquio, ma nulla. Nessuna risposta.

Proprio nei giorni scorsi, com’è noto, è stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale il Decreto Legislativo 62/24, attuativo della Legge Delega 227/21 in materia di disabilità, tra le cui norme si evidenzia l’articolo 4 (Terminologia in materia di disabilità), comma 1, lettera b: «le parole: “persona handicappata”, “portatore di handicap”, “persona affetta da disabilità”, “disabile” e “diversamente abile”, ovunque ricorrono, sono sostituite dalle seguenti: “persona con disabilità” [grassetto dell’Autrice, N.d.R.]»…

Per l’anno prossimo, nonostante le ottime votazioni conseguite, abbiamo optato per un altro Istituto, più confacente alle nostre attitudini. Punto, si riparte.

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