Ogni governo è tenuto a presentare al Comitato ONU di Ginevra i risultati del proprio monitoraggio interno sul rispetto della Convention on the Rights of the Child (CRC) (Convenzione sui Diritti dell’Infanzia e dell’Adolescenza).
Ai fini di garantire la correttezza delle informazioni consegnate, lo stesso monitoraggio viene affidato anche, “in parallelo”, ad altri gruppi, tra i quali, in Italia, il Gruppo di Lavoro per la Convenzione sui Diritti dell’Infanzia e dell’Adolescenza, di cui fanno parte UNICEF Italia e CND (Consiglio Nazionale sulla disabilità).
Sono stati appunto questi ultimi a redigere il Rapporto Supplementare di monitoraggio della CRC.
Dal rapporto emerge un dato drammatico: dopo il “collasso” dell’Unione Sovietica, il numero dei bambini con disabilità nell’Europa Centrale e Orientale, nella Comunità degli Stati Indipendenti e nei Paesi Baltici (CEE/CIS) è triplicato, passando da circa 500.000 unità nel 1990 a 1 milione e mezzo nel 2000. A questo si aggiunga un numero ipotetico di circa un milione di altre persone che non sono state registrate.
Inoltre, la qualità della vita di questi bambini è bassa, emarginata e discriminata, in condizioni di disagio, all’interno di istituti di accoglienza separati.
Ai tempi dell’Unione Sovietica, per decenni, un gran numero di bambini con disabilità veniva rinchiuso in istituti d’accoglienza e questa pratica è continuata durante il periodo della transizione postsovietica. In particolare, dal 2002, circa 317.000 bambini con disabilità vivono in istituti d’accoglienza.
Separati dalle proprie famiglie e comunità in tenera età, spesso segregati in grandi strutture d’accoglienza e scuole speciali, la loro prospettiva è di passare a un istituto per adulti e vivere in uno stato di negazione dei diritti umani.
«Sebbene i bambini con disabilità siano diventati più visibili dall’inizio della fase di transizione e l’atteggiamento verso di loro e le loro famiglie stia cambiando, molti rimangono semplicemente “cancellati” dalla società», spiega Marta Santos Pais, direttore dell’UNICEF Innocenti Research Centre. «Tutti i bambini hanno il diritto di crescere in un ambiente familiare e in condizioni che assicurino il rispetto della loro dignità, ne promuovano l’autostima e la partecipazione attiva alla vita sociale».
In linea con le motivazioni che hanno spinto la FISH (Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap) a partecipare per la prima volta alla Marcia per la Giustizia e la Pace Perugia-Assisi dell’11 settembre, il rapporto asserisce che la povertà e la condizione di disabilità vanno di pari passo, l’una alimentando l’altra. Le famiglie con bambini disabili tendono ad essere più povere delle altre. E ancora, la disabilità continua ad essere difficilmente diagnosticata e spesso non curata, diventando una condanna a vita a una situazione di perenne svantaggio. Mancando il necessario sostegno dello Stato, e con un limitato accesso ai servizi sociali di base per il trattamento e la cura dei bambini, i genitori, quindi, vedono l’inserimento in istituto come l’unica alternativa possibile.
«La povertà estrema e una cronica mancanza d’alternative si combinano ad approcci medici sorpassati, a scapito del preminente interesse del bambino, spiegando così gli altissimi tassi di abbandono di minori e di inserimento in istituti», aggiunge Santos Pais. «Molti genitori sentono di non avere altra scelta che separarsi dai propri figli. Ciò di cui hanno bisogno queste famiglie è di un solido sostegno sociale ed economico [grassetto nostro, N.d.R.]».
Il rapporto recentemente pubblicato esorta quindi a porre immediatamente fine alla pratica diffusa di inserire i bambini con disabilità in istituti e in scuole separate, invitando a:
– un cambiamento nell’atteggiamento pubblico;
– l’assunzione di misure per l’aumento degli introiti familiari, cosicché i bambini possano restare in casa e sviluppare al massimo il loro pieno potenziale;
– la garanzia di una maggiore partecipazione dei genitori nelle decisioni che coinvolgono i propri figli;
– sufficienti risorse per le famiglie e la comunità;
– una trasformazione dell’ambiente fisico che acuisce i disagi della disabilità.
«Dare ai genitori e alle comunità il potere di assumere le decisioni che li riguardano è di per sé un valido contributo al consolidamento della democrazia in questa regione», dichiara Maria Calivis, direttore dell’Ufficio Regionale dell’UNICEF per l’Europa Centrale e Orientale, la Comunità degli Stati Indipendenti e i Paesi Baltici. «Significa dare voce a coloro che sono più direttamente colpiti, dando loro sostegno mediante le necessarie risorse locali decentralizzate».
Il rapporto riconosce per altro alcuni progressi avvenuti sul territorio indagato, a livello di protezione dei diritti dei bambini con disabilità. Ci sono ad esempio segni precisi che sembrerebbero far pensare ad un atteggiamento diverso verso la disabilità: infatti, la maggior parte dei Paesi hanno ora una legislazione che guarda alla realtà di questi bambini e più bambini si stanno integrando nella società.
Ciò nonostante, secondo l’UNICEF, c’è ancora molta strada da fare.
«Le nazioni possono essere giudicate dal modo in cui trattano le persone più vulnerabili e più svantaggiate», ha sottolineato ancora Maria Calivis. «Se può essere difficile riparare il danno già arrecato ai bambini con disabilità, gli Stati, però, potrebbero e dovrebbero muoversi più velocemente per fermare la discriminazione e lo stigma che affligge le loro vite e quelle delle loro famiglie [grassetto nostro, N.d.R.]. Come sottolinea questo rapporto, è tempo di trasformare le cure e l’assistenza ai bambini da fonte di pubblica vergogna a misura di progresso umano».
Per informazioni:
UNICEF Innocenti Research Centre
Salvador Herencia, tel. 055 2033354, sherencia@unicef.org
Patrizia Faustini, tel. 055 203 3253, pfaustini@unicef.org