Un titolo drammatico, inquietante, quello riservato il 10 marzo dal quotidiano “la Repubblica” (a firma di Attilio Bolzoni) alla vicenda dell’Istituto Papa Giovanni XXIII di Serra d’Aiello: Cosenza, sparizioni e sospetti omicidi. Così si moriva nella clinica degli orrori (tale testo è disponibile cliccando qui). Un articolo, per altro, che ha costituito solo la punta dell’iceberg di un vero e proprio battage da parte degli organi d’informazione in questi giorni.
Si è trattato di un “pugno allo stomaco”, per noi che da anni seguiamo la tormentata storia di questa struttura, diventata una sorta di “simbolo di diritti negati”, la cui realtà è venuta alla luce anche grazie al costante impegno di associazioni come quelle aderenti alla FISH Calabria (Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap). E sono numerosi i nostri articoli – il cui elenco è riportato in calce – a testimoniare come abbiamo sempre voluto porre la tutela delle persone con disabilità ricoverate nell’Istituto davanti ad ogni altra considerazione economica, politica, commerciale e anche giudiziaria.
L’ultimo testo, significativamente intitolato Serra d’Aiello: si «sgomberano» i pacchi, non le persone!, è giusto di ieri e tramite la testimonianza degli Amministratori di Sostegno che compongono l’Associazione “In direzione ostinata e contraria” – formata nel 2008 proprio dentro all’Istituto Papa Giovanni – vi riferivamo delle insistenti e diffuse voci di “sgombero” della struttura.
E tuttavia, dopo lo sgomento per il terribile contenuto del reportage di “Repubblica”, ci siamo posti anche un paio di domande: perché “proprio ora” questo tipo di resoconto – insieme ad altri – quando risulta che l’inchiesta è stata aperta nel settembre del 2008, ovvero sei mesi fa? E perché scrivere oggi che il Papa Giovanni XXIII era «un manicomio lager, dove molti pazienti erano trattati come bestie, nel silenzio di tutti?». La FISH – sia quella della Calabria che quella Nazionale – e la nostra testata non sono certo stati a guardare e le loro azioni concrete datano ormai a molti anni fa.
Sul primo quesito (perchè “proprio ora”) abbiamo potuto notare con piacere che esso coincide del tutto con quello posto al direttore di “Repubblica” da Assunta Signorelli, designata dall’agosto del 2006, per conto del Tribunale di Paola, quale responsabile della Direzione Sanitaria della struttura e che tra mille difficoltà e ostacoli, ha cercato – e cerca tuttora – di svolgere al meglio il proprio lavoro, con risultati non certo disprezzabili.
Proprio alla sua lettera, dunque, cediamo ben volentieri la parola, ricordando, naturalmente, che ogni inchiesta giudiziaria è degna del massimo rispetto e che verrà da noi seguita giorno dopo giorno. A patto che qualunque azione consenta – sempre – alle persone con disabilità del Papa Giovanni di «esprimere al massimo la loro volontà di decidere sul proprio benessere e sul proprio progetto di vita», come hanno chiesto con forza su queste colonne gli esponenti dell’Associazione “In direzione ostinata e contraria”.
Gentile direttore de «la Repubblica», le scrivo in relazione all’articolo comparso sul suo giornale dal titolo Cosenza, sparizioni e sospetti omicidi. Così si moriva nella clinica degli orrori. Ho una domanda da porle, domanda che potrà sembrare pleonastica, ma che voglio comunque farle: “Perché proprio ora”?
Le notizie riportate sono vecchie e macinate. Già nel 2006, il Forum Salute Mentale Nazionale, come da sempre fa, in riferimento ai nuovi contenitori che hanno sostituito i manicomi, aveva denunciato le condizioni delle persone ricoverate e lavoratrici dell’Istituto Papa Giovanni XXIII di Serra d’Aiello (Cosenza), ma allora la cosa non suscitò interesse: il destino delle persone “senza” (diritti, lavoro, casa, affetti, documenti e così via) non è notizia “in sé”, lo diventa solo quando sostiene interessi e convenienze di chi “senza” non è, dal momento che ha tutto, potere politico, mediatico ed economico.
Sono consapevole che la cosa non è del tutto vera. Quella denuncia fu accolta da qualche protagonista di quella che sembrava poter essere la “stagione del riscatto della Calabria”. Il Centrosinistra aveva vinto le elezioni e dichiarava di voler assumere la sanità calabrese come questione centrale da affrontare nella direzione di una sua riorganizzazione e legalizzazione: efficacia ed efficienza dei servizi pubblici, controllo e attenzione di quelli privati, riconoscimento e rispetto del “diritto alla cura” per la cittadinanza dovevano essere le parole d’ordine del nuovo corso.
Fui tra quelli che credettero a questa promessa, perciò oggi mi ritrovo ancora qui, per conto del Tribunale di Paola (Cosenza), ad avere la responsabilità della Direzione Sanitaria dell’Istituto Papa Giovanni.
Ho iniziato nell’agosto 2006 e ho trovato quella situazione che oggi viene descritta, anche se, per amore di verità, già allora esistevano “isole felici”, luoghi dove il personale, in una situazione strutturalmente disastrata ed economicamente deficitaria, cercava d’impegnarsi nell’accudimento e nel sostegno delle persone.
Non mi soffermerò sul lavoro svolto in questi tre anni: mi limito a riportare il dato che questo lavoro ha sempre tenuto presente la necessità di rispondere alla domanda di legalità e rispetto che le persone ricoverate e il personale ponevano alle istituzioni tutte, dalla chiesa ai governi locali e centrali, passando attraverso i tribunali, la sanità e la politica, dal momento che a loro deve ricondursi la responsabilità della condizione di degrado e miseria nella quale i ricoverati e il personale (per anni a mezzo o senza stipendio) sopravvivono da più di dieci anni.
Questa necessità si è inverata in una pratica collettiva: molto del personale ha attivamente partecipato al processo di trasformazione istituzionale, teso a costruire spazi di vita che ridessero dignità, non solo alle persone ricoverate, ma alle istituzioni nel loro complesso.
Oggi la situazione è profondamente cambiata: le persone accolte non vivono più in reparti sovraffollati, hanno la possibilità di usufruire del loro denaro, alcune, circa trenta, abitano in piccoli alloggi dignitosamente arredati e tutte, nessuna esclusa, ricevono cure e assistenza secondo le loro necessità.
La revisione della situazione giuridica delle singole persone (interdette o in amministrazione di sostegno) ha prodotto, fra le altre cose, la nomina di Amministratori di Sostegno appartenenti al mondo del volontariato e della cooperazione sociale che hanno attivamente partecipato al lavoro di riabilitazione.
Certo, permangono i problemi strutturali più grossi, ma se si pensa che tutto è avvenuto senza un aumento di spesa, non si poteva fare di più!
Quanto precede non fa notizia, così come l’azzeramento del processo terapeutico riabilitativo, la deportazione delle persone ricoverate in luoghi forse meno vetusti, ma ugualmente escludenti, le famiglie del personale dipendente sul lastrico, non è cosa che merita un rigo di giornale!
Eh sì, perché nonostante il lavoro fatto, l’Istituto va sgomberato: così vuole il Governo della Regione che in questi ultimi anni non è stato in grado di elaborare un progetto di riconversione e rilancio dell’Istituto, come da impegni presi nel 2006 all’inizio dell’esperienza. Anzi, dopo una prima fase di condivisione, con il cambio di due assessori alla Sanità e di un direttore generale dell’Azienda Sanitaria Territoriale, ha fatto cadere proposte e progetti in grado di salvaguardare il bisogno di cura delle persone e un buon numero di posti di lavoro.
E questo fino ad arrivare alla fase attuale quando, a fronte della conclusione del procedimento giudiziario, altro non resta se non il fallimento e la chiusura definitiva dell’Istituto, con le persone ricoverate trasferite in altre strutture private del territorio e il personale sottoposto a trattamenti i più diversi: cassa integrazione, lavoro precario o “precariamente” garantito, secondo uno schema ben noto in questo nostro Paese.
Di quanto precede non si fa cenno nell’articolo in questione, del fatto che da dieci giorni si dia per imminente uno sgombero forzato dell’Istituto (si vocifera di circa mille poliziotti pronti ad intervenire), che alternativamente dovrebbe interessare il personale, le persone ricoverate o tutti insieme appassionatamente, non c’è riscontro alcuno.
Si informa solo di quanto accaduto nel passato: che importa, poi, se chi legge pensa che questo continui ad accadere e, così, chi sgombera e chiude ci fa pure una bella figura!
Dietrologia perversa di una psichiatra la mia? Non credo e il riscontro l’ho avuto nelle numerose telefonate ricevute: volevano sapere cosa stava succedendo al Papa Giovanni! Il battage mediatico di martedì 10 marzo (da Mediaset alla RAI tutti hanno confuso e sovrapposto i tempi) ha oscurato l’attualità e riproposto un passato ormai superato, facendo il gioco di chi tratta i “senza” come merce di scambio e la classe lavoratrice come zavorra inutile e fastidiosa!
*Psichiatra, responsabile dall’agosto 2006 della Direzione Sanitaria dell’Istituto Papa Giovanni XXIII di Serra d’Aiello.
– Serra d’Aiello: una bestemmia sociale, disponibile cliccando qui.
– La segregazione di Serra d’Aiello, disponibile cliccando qui.
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– Storia di abusi e indegnità, con coda paradossale, disponibile cliccando qui.
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– Serra d’Aiello: un brindisi al cambiamento, disponibile cliccando qui.
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– Un altro indagato illustre per Serra d’Aiello, disponibile cliccando qui.
– Serra d’Aiello: si «sgomberano» i pacchi, non le persone!, disponibile cliccando qui.