Si è svolta il 30 marzo a Lamezia Terme (Catanzaro), l’annunciata conferenza stampa sul tema Lo sgombero dell’Istituto Papa Giovanni. Diamo voce a chi non ha voce (se ne legga la presentazione nel nostro sito, cliccando qui), promossa da alcune associazioni nazionali e locali impegnate nella difesa dei diritti delle persone con disabilità e con sofferenza psichica.
L’introduzione è stata affidata a Piero Piersante, portavoce del Forum per la Salute Mentale della Calabria, che ha delineato gli obiettivi dell’incontro, a partire dal ripristino di una corretta informazione su quanto avvenuto il 17 marzo scorso a Serra d’Aiello e che continua a svolgersi anche in questi giorni. «Lo sgombero – secondo Piersante – termine già di per sé infelice, è stato realizzato con modalità contrarie ad ogni principio di rispetto dei diritti umani, un trasferimento di pazienti in contrasto con le buone pratiche mediche, anche se condotto da personale medico e infermieristico del servizio sanitario, sotto l’assistenza della Polizia di Stato. Le persone, infatti, letteralmente “deportate” in luoghi forse strutturalmente migliori del Papa Giovanni, ma comunque escludenti e separati dal mondo civile, hanno visto interrompersi, con questa operazione, un percorso che mirava a restituir loro identità, dignità, autonomia, beni materiali e relazioni sociali. Oggi quelle persone vengono trasferite da una struttura all’altra, alla ricerca delle condizioni di trattamento meno inadeguate rispetto ai loro bisogni. Noi stessi abbiamo raccolto testimonianze di familiari e amministratori di sostegno che li hanno dovuti cercare a lungo, prima di ritrovarli privi di cartella clinica, quindi di terapia e perfino di vestiti».
Successivamente Nunzia Coppedé, presidente della FISH Calabria (Federazione Italiana per Il Superamento dell’Handicap) – della quale riportiamo in calce l’iontervento integrale – dopo aver sottolineato la modalità cruenta con cui si è svolto lo sgombero, ha dichiarato che la FISH stessa sta valutando di avviare azioni legali in base alla Legge 67/06 (Misure per la tutela giudiziaria delle persone con disabilità vittime di discriminazioni), mentre Pina Salvino, presidente dell’Associazione In direzione ostinata e contraria, fondata nel 2008 dagli amministratori di sostegno delle persone ricoverate all’Istituto di Serra d’Aiello, ha ripercorso le tappe dell’esperienza vissuta al fianco dei beneficiari – affidati loro da un giudice tutelare – fino al momento drammatico in cui sono stati costretti ad assistere impotenti alla “deportazione”, nonostante fosse stato esplicitamente chiesto in precedenza di essere consultati in caso di trasferimento.
Dal canto suo, Gisella Trincas, presidente nazionale dell’UNASAM (Unione Nazionale delle Associazioni per la Salute Mentale), ha voluto ricordare i momenti di orgoglio vissuti proprio a Serra d’Aiello, esattamente due anni fa, quando il Forum per la Salute Mentale aveva riunito la sua assemblea nei locali dell’Istituto Papa Giovanni, dove le persone convenute da tutta Italia si erano confuse con i ricoverati: «Sembrava – ha sottolineato Trincas – che non si potesse più tornare indietro da quel traguardo».
La presidente dell’UNASAM ha messo quindi a disposizione la propria organizzazione – che raccoglie soprattutto associazioni di familiari – per assistere legalmente chi abbia subìto lesioni dei diritti umani e studiare insieme iniziative di denuncia anche alla Corte Europea di Strasburgo.
Infine, il segretario della FP CGIL, Luigi Veraldi, ha espresso la piena disponibilità del proprio sindacato, ricordando «che esso non ha come missione solo la tutela dei lavoratori, ma è tra gli stessi soggetti fondatori del Forum per la Salute Mentale». In particolare Veraldi ha voluto assicurare che si batterà per la costruzione di un futuro degli ex ricoverati, «rispettoso delle leggi italiane», impedendo che essi «vengano collocati e dimenticati in nuovi manicomi».
Era proprio quello del futuro, del resto, l’altro obiettivo fondamentale della conferenza stampa di Lamezia, proporre cioè, anzi riproporre, un patto tra le istituzioni (Regione, Comuni, Dirigenza Sanitaria), le imprese sociali e i lavoratori, per realizzare ciò che manca ancora in Calabria e che in altre Regioni si è invece riusciti a realizzare. In tal senso un incontro verra chiesto al presidente della Regione Agazio Loiero, «per ottenere – come è stato ribadito unanimemente dai presenti – il rispetto delle leggi italiane, delle raccomandazioni europee e delle stesse linee guida già adottate dalla Giunta della Regione Calabria, che prevedono piccole strutture residenziali con misure di assistenza integrata e non solo posti letto con rette costose da ridistribuire. Lo dobbiamo agli ex ricoverati del Papa Giovanni, e non solo a loro». (S.B.)
di Nunzia Coppedé* La FISH Nazionale e quella della Calabria (Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap) si sono sempre interessate alla situazione delle persone ricoverate nell’Istituto Papa Giovanni XXIII di Serra d’Aiello, prendendo una posizione chiara di denuncia e chiedendo, sia ai proprietari dell’Istituto che alle istituzioni competenti, l’avvio di processi di deistituzionalizzazione e quindi la chiusura della struttura. Delle tante denunce alcune hanno fatto più scalpore altre meno, ma tutte hanno dimostrato un impegno continuo e chiaro: quello di pretendere l’applicazione delle leggi vigenti a favore della deistituzionalizzazione, restituendo ad ogni persona dignità attraverso percorsi individuali mirati.
Dopo il sequestro della struttura nel 2006, dopo le denunce e i fatti che tutti ormai conoscono, la gestione dell’Istituto è cambiata e ha portato a conoscenza dell’opinione pubblica situazioni incresciose, avviando tuttavia una trasformazione positiva sia strutturale che individuale (persona per persona). Tale processo – anche se tutti avevamo chiaro che l’Istituto Papa Giovanni XXIII dovesse essere chiuso – ha permesso: l’individualizzazione di autonomie possibili di alcune persone; l’avvio di processi di tutela, trovando amministratori di sostegno che hanno sostituito l’unico amministratore che aveva “in carico” più di cento persone; l’individualizzazione e la restituzione dei soldi personali; l’avvio, per alcuni, dell’autonomia in piccoli appartamenti o camere personalizzate dagli stessi.
Questa trasformazione è ciò che noi intendiamo definire come “processo di de-istituzionalizzazione”, poiché chi ha trascorso molti anni nel “ghetto” non può passare drasticamente in una situazione diversa dalla logica dell’istituzione; egli va infatti aiutato ad entrarci pian piano e i tempi possono essere più o meno lunghi a seconda dalla persona. L’ultimo atto, però, il preannunciato “sgombero” effettuato all’alba del 17 marzo – e già la parola in sé non prometteva nulla di buono – ci ha letteralmente sconvolto.
I fatti
Difficile immaginare che nel 2009 persone con gravi disabilità e sofferenza mentale possano essere “deportate” in un modo così cruento. In sovrappiù, sappiamo tutti che le immagini passate in televisione riprendono solo una parte di quello che è accaduto. Dai racconti e dai volti di tante persone che molti di noi conoscevano, si capiva infatti che ciò che succedeva dentro era molto più violento, le persone costrette ad uscire seminude, con le coperte appoggiate sulle spalle, gli occhi smarriti, i pianti disperati, i pulmini e le autoambulanze riempiti alla rinfusa, l’ansia che ha accompagnato tale “deportazione”, perché non solo non si sapeva dove andavano le persone, ma era impossibile identificarle, dal momento che sono state portate via e basta.
Ciò che ha più colpito è stata senz’altro la precedente assenza di coinvolgimento dei familiari, dei tutori e degli amministratori di sostegno. Tutti abbiamo visto che molti familiari hanno scoperto dalla televisione cosa stava accadendo e quando si sono recati lì, non solo non volevano farli entrare, ma – come se fosse la cosa più normale del mondo – nessuno sapeva nemmeno dire loro dove avessero portato i loro congiunti. La trasmissione televisiva di Raitre Chi l’ha visto, qualche giorno dopo si è prestata per il ritrovamento, su richiesta dei familiari, di alcune persone e solo da lì è stata avviata la procedura di identificazione, durata più di una settimana.
Se questa non è violazione dei diritti umani, come dobbiamo chiamarla? Era proprio necessario tutto questo e soprattutto in questo modo? Noi pensiamo che, considerato il lavoro fatto negli ultimi due anni, si poteva arrivare a un trasferimento – non allo sgombero – costruito sulla collaborazione di tutti, indirizzando le persone in luoghi consoni ai bisogni individuali e non inviandoli in strutture che erano state chiuse perché non idonee e riaperte per questa occasione, come delle RSA [Residenze Sanitario-Assistenziali, N.d.R.] di quaranta persone che in poche ore ne hanno raggiunte cento, sparse in tutta la provincia cosentina, senza tener conto dei nuclei familiari all’interno (madre e figli, fratelli e sorelle) o di chi aveva stretto profondi rapporti di conoscenza e amicizia. Assai triste, dunque, è pensare come una situazione che ha conosciuto momenti di immensa violenza prima e qualche spiraglio di speranza poi, possa essersi conclusa in modo simile.
Autonomia, partecipazione e dignità
Nell’estate scorsa un gruppo di persone ricoverate al Papa Giovanni XXIII di Serra d’Aiello aveva fatto parte del Campo Vacanza e Studio del Coordinamento Regionale Alogon, con un pieno coinvolgimento, all’insegna della simpatia e dei rapporti autentici. Quelle persone avevano partecipato con interesse ai lavori di gruppo e anche alla sintesi finale dei contenuti – che ha affrontato argomenti quali l’autonomia, la partecipazione e la dignità – realizzata con il metodo della scrittura collettiva. Insieme ad altri partecipanti, dunque, Nunzia, Vincenzo, Teresa, Corrado, Francecso, Grazia, Pasquale, Salvatore, Rosa, Anna e Umberto avevano detto e scritto questo.
Autonomia
Autonomia è essere in grado di fare tutto da solo, di parlare, di scrivere, di sorridere, di tacere, di amare, di essere, di vivere. Di muovermi liberamente, di villeggiare, di fare una passeggiata, di vivere a casa mia, di andare via dall’Istituto, di giocare, di bere una birra ghiacciata, di andare a casa da mio fratello. Di avere riconosciuti i miei diritti, di dire quello che penso, di essere indipendente, di pensare ciò che voglio, di essere rispettata, di avere quello che mi occorre.
Partecipazione
Fare tutto come gli altri, andare via dall’Istituto, poter gareggiare, poter dire, poter decidere, poter contare, decidere insieme, stare bene con gli altri, essere coinvolti in tutto ciò che ci spetta di diritto, avere responsabilità, decidere insieme.
Dignità
Essere fiera di me stessa, avere rispetto di se stessi e verso gli altri, quindi rispettarsi ed essere rispettati. La mia dignità consiste nell’avere avuto una camera tutta per me, stare bene con se stessi fisicamente e mentalmente, essere ascoltati e presi in considerazione, essere rispettati come persona malata, vivere a casa mia, essere felici ed avere una vita serena, non doversi vergognare di vivere, di amare, di sorridere, di essere.
A questo punto la FISH intende denunciare la violazione dei diritti umani che si è perpetrata ai danni di persone non in grado di potersi difendere da sole e a tal proposito sta ipotizzando di avviare azioni legali in base alla Legge 67/06 (Misure per la tutela giudiziaria delle persone con disabilità vittime di discriminazioni), il cui articolo 2 (Nozione di discriminazione) recita testualmente al comma 4: «Sono, altresì, considerati come discriminazioni le molestie ovvero quei comportamenti indesiderati, posti in essere per motivi connessi alla disabilità, che violano la dignità e la libertà di una persona con disabilità, ovvero creano un clima di intimidazione, di umiliazione e di ostilità nei suoi confronti».
*Presidente della FISH Calabria (Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap). Intervento pronunciato in occasione della Conferenza Stampa Lo sgombero dell’Istituto Papa Giovanni. Diamo voce a chi non ha voce, tenutasi il 30 marzo 2009 a Lamezia Terme (Catanzaro).
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