…Tutti gli occhi dell’umanità stanno guardando il burrone dove stiamo tutti precipitando. La libertà non ci serve se voi non avete il coraggio di guardarci in faccia, di mangiare con noi, di bere con noi, di dormire con noi. Sono proprio i “cosiddetti sani” che hanno portato il mondo sull’orlo della catastrofe…
Era il 1983 e nelle sale cinematografiche si proiettava Nostalghia, un film di Andrej Tarkovskij scritto con Tonino Guerra. Sono passati pochi giorni dalla morte del nostro Tonino, poeta e sceneggiatore di fama internazionale [se ne legga nel nostro sito il ricordo cliccando qui, N.d.R.], e sono voluto partire proprio da lui per affrontare un tema tanto astratto quanto pratico, vale a dire la cultura sociale, con particolare riferimento a coloro che ancora oggi, nel 2012, si trovano a essere emarginati dalla società, le persone con disabilità.
Negli ultimi vent’anni ci hanno insegnato e spinto solo a spendere, a comprare, a consumare, a invidiare, a coltivare l’estetica, anche nel corpo, nell’immagine che vogliamo o dobbiamo fornire agli altri, in un gioco di specchi crudele, che esclude dalla festa e dalla ribalta, non a caso, chi non può competere: gli anziani, le persone con disabilità, i poveri e i quasi poveri.
Sono talmente esclusi dalla festa e dalla ribalta, che spesso lo Stato se ne dimentica, lasciando alle associazioni e al volontariato tutto il peso del lavoro, per far sì che anche chi presenta difficoltà possa avere il diritto di vivere la propria vita in modo dignitoso.
Ciò che più preoccupa, però, sono proprio i “cosiddetti sani”. È assai imbarazzante quel velo di ignoranza e indifferenza che copre gli occhi a ognuno di noi, quell’assenza di comunità civile che ogni Paese dovrebbe avere, quella spietata arroganza di chi invece dovrebbe dare un esempio o quanto meno un senso civico.
In una situazione di questo tipo si collocano coloro che per disgrazia vedono la vita da un’altra prospettiva e che assumono quel modo di pensare e agire che ogni buon Cittadino dovrebbe perseguire, un agire in comunità valorizzando il senso di appartenenza, un agire nelle relazioni umane, l’attenzione ai nostri cari, il tempo per una parola in più, per un gesto, per un pensiero non necessariamente costoso. La riscoperta dello stare insieme, nelle associazioni, nella vita pubblica, nei momenti di aggregazione reale e virtuale. La ricerca autentica di un senso, di una direzione, di una prospettiva.
Oggi essere disabile non è la “disgrazia” più grave, lo diventa nel momento in cui si esce dalle proprie mura e si prende coscienza di quanto sia enormemente grave essere disabili; si percepisce da un semplice sguardo, dall’imbarazzo, dalla sensazione di inadeguatezza, da parte di chi vive intorno a noi.
Ciò che invece accompagna fedelmente la vita di queste persone sono le barriere architettoniche, nonostante la Costituzione affermi espressamente che «è compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che, limitando, di fatto, le libertà e l’uguaglianza dei cittadini, impediscono il primo sviluppo della persona umana».
Mi è difficile e poco comprensibile pensare come, ancora oggi, sia impossibile per un disabile sia fisico sia sensoriale poter prendere un mezzo pubblico come l’autobus – che paradossalmente presenta la pedana accessibile, ma inutilizzata – o il treno o che non ci sia la possibilità di avere percorsi pedonali personalizzati all’interno della propria città.
Mi è ancor più incomprensibile, però, la superficialità e l’arroganza di chi ha il potere di fare e invece non fa, non perché non vuole fare, bensì per una mancata conoscenza della materia e per la difficoltà di misurarsi con un mondo così particolare e complesso come quello della disabilità.
Ecco che mancando un confronto diretto, si creano quelle barriere che ogni giorno ogni disabile deve affrontare nella vita quotidiana, come l’accesso a edifici pubblici o la semplice “passeggiata” sui pericolanti marciapiedi.
Potrei elencare moltissime altre cose, ma credo sia importante focalizzare l’obiettivo da realizzare e perciò da perseguire in modo perentorio, ossia quello di far capire alla gente come la disabilità sia “a portata di mano”, come essa abbia preso coscienza di se stessa, mettendosi in gioco per far valere i propri diritti, e per far questo ha bisogno di tutti noi, poiché la disabilità è una questione che ci riguarda tutti, prima o poi, e fa parte della vita, della normalità dell’esistenza.
È un processo culturale che richiederà tempo e fatica a tutti noi, e ancor di più a chi ha il potere di fare, e chissà se i “cosiddetti sani” che hanno portato il mondo sull’orlo della catastrofe non potranno – un giorno – mettere la persona al centro del mondo, per creare una società il meno discriminante possibile, in modo da far sentire anche il disabile “meno disabile” e parte integrante della nostra civiltà.
Alessandro Pecori fotografa certamente bene – purtroppo – lo sconforto che si può provare nel comprendere quanto enorme sia ancora il lavoro da fare, per approdare realmente – al di là delle leggi o degli atti formali – a una nuova cultura della e sulla disabilità.
Una piccola considerazione, però, la vogliamo fare: fortunatamente – e la quotidianità di quanto documenta il nostro sito lo dimostra – non è proprio «impossibile per un disabile sia fisico sia sensoriale poter prendere un mezzo pubblico come l’autobus o il treno o che non ci sia la possibilità di avere percorsi pedonali personalizzati all’interno della propria città». Diciamo che lo è ancora troppo spesso, ma che altrettanto spesso stiamo registrando, ad esempio, positive Sentenze di vari tribunali che condannano le discriminazioni determinate anche dalle barriere. Ed è già un bel passo in avanti. (S.B.)