Ma sa contare i soldi?

Se lo è sentito chiedere una donna con cecità parziale, laureata in giurisprudenza e praticante avvocato, alla ricerca di una sistemazione residenziale in quel di Brescia, da una delle potenziali coinquiline, che alla fine hanno deciso di negarle la possibilità di abitare in quella casa, perché «non preparate a vivere con una persona disabile». Discriminazione fondata sulla disabilità o “semplicemente” crassa ignoranza?

Segnale stradale di divieto di transito ai disabili«Ciò che mi sta capitando è l’ennesimo caso di discriminazione, che rischia di lasciarmi letteralmente “senza una casa”. L’ho già denunciato agli organi d’informazione bresciani e alla Consigliera di Parità del Comune, oltreché alla LEDHA (Lega per i Diritti delle Persone con Disabilità), componente lombarda della FISH (Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap) e alle locali Sezioni dell’UICI (Unione Italiana dei Ciechi e degli Ipovedenti) e dell’ANFFAS (Associazione Nazionale Famiglie di Persone con Disabilità Intellettiva e/o Relazionali), ma ora, con le ferie alle porte, non credo che mi risulterà facile reperire un appartamento».

Laureata in giurisprudenza e praticante avvocato, con un diploma post-laurea, Arianna Colonnello è già iscritta per il prossimo anno accademico al corso di preparazione per l’esame di Magistrato Ordinario, presso l’Università Cattolica di Milano. Come spiega lei stessa, «sono affetta da cecità parziale, con invalidità del 70%, a causa di una retinopatia congenita, con complicanze post-operatorie che mi hanno portato ad avere l’atrofia ottica. Per questo motivo non posso rimanere in luoghi chiusi con sbalzi di luce e la luce naturale dev’essere omogenea, al fine di evitare sintomi molto forti, tra cui il dolore all’occhio operato e alla testa dalla parte di quello stesso occhio. Si tratta di malattie incurabili».
Ebbene, da due anni Arianna vive presso una residenza universitaria di Brescia, ma dal 31 agosto la dovrà lasciare, in quanto non più studentessa. Per tale ragione, si mette alla ricerca di una sistemazione residenziale, da condividere con altre persone – pur con una propria stanza singola – in modo tale da contenere le spese dell’affitto, visto che ancora non lavora.
Dopo tanti sforzi, dunque, riesce a trovare un appartamento idoneo, nel quale vivono due ragazze, una che lavora in un ospedale lombardo, mentre l’altra insegna in una scuola. «Il primo incontro – spiega – l’ho avuto con la proprietaria e da subito il marito ha sollevato alcune obiezioni, ma alla fine, giustamente, mi è stato detto che sarebbe stato opportuno sentire le due coinquiline. Dopo circa due settimane, ho avuto il secondo incontro al quale mi ha accompagnato un caro amico. E qui sia la proprietaria che la prima delle due coinquiline mi hanno posto una serie di domande molto umilianti e personali, chiedendomi ad esempio “se sono autonoma”. Mi sono quindi qualificata con i miei titoli e la mia situazione fisica, dicendo che il fatto di vivere da sola già da otto anni mi sembrava sufficiente. Invece non è stato così. La ragazza, infatti, ha chiesto al mio amico di prendersi la responsabilità, come se fossi una persona “incapace di intendere e di volere”. A quel punto ho dichiarato di sentirmi discriminata e offesa nella mia dignità, sia come persona sia come professionista».
«In sovrappiù – prosegue Arianna – sempre la potenziale coinquilina, non paga di avermi umiliato a sufficienza, mi ha chiesto come facessi “a fare la spesa” e “se sapevo contare i soldi”. Dal canto suo, la proprietaria ha detto che tutto ciò era “per il mio bene”, che per lei “prima viene la persona e poi tutto il resto”…». Bontà sua!

Alla fine dell’incontro, quindi, le due donne ritengono opportuno chiedere l’approvazione anche all’altra coinquilina e nei giorni scorsi, racconta Arianna, «ho avuto il colpo di grazia: la proprietaria, infatti, mi ha comunicato che le ragazze non se la sentono di avermi in casa perché non sono preparate a vivere con una persona disabile. Io le ho semplicemente risposto che questa è discriminazione in relazione alla disabilità».
Ci auguriamo a questo punto che aver dato visibilità a questa vicenda – che non merita troppi commenti – sia sufficiente per consentire ad Arianna Colonnello di trovare quanto prima una soluzione al suo problema residenziale.
Le nostre pagine, naturalmente, sono aperte a ogni eventuale spiegazione che volessero fornire le persone chiamate in causa dalla Lettrice, fermo restando che chiedere a una persona come Arianna se «sappia contare i soldi» già da solo ci sembra un fatto sufficiente a far parlare di discriminazione fondata sulla disabilità… O forse “semplicemente” di crassa ignoranza? (Stefano Borgato)

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